Sensualità e purezza: le Tre Grazie di Canova e Thorvaldsen a confronto


Un post per confrontare due capolavori del neoclassicismo: le Tre Grazie di Antonio Canova e quelle di Bertel Thorvaldsen

Quando Antonio Canova realizzò, su invito di Giuseppina di Beauharnais, le sue celeberrime Tre Grazie, riuscì di fatto a dare il via a una sfida, e il tema delle Grazie rappresentò un’importante prova per molti artisti del tempo: il primo a raccogliere la sfida fu il danese Bertel Thorvaldsen. Poi arrivarono le opere di James Pradier, John Gibson e Carlo Finelli, che però optò per la variante delle Ore danzanti. Ma il confronto più interessante è proprio quello con Thorvaldsen, da sempre considerato il principale rivale di Canova.

Non passò molto tempo prima che il danese si mettesse all’opera: iniziò il suo gruppo nel 1817, e Canova aveva terminato il suo appena un anno prima. L’opera vide la luce nel 1819 ed è oggi conservata al Thorvaldsens Museum di Copenaghen, mentre quella di Canova si trova all’Hermitage di San Pietroburgo.

Antonio Canova, Le Tre Grazie
Antonio Canova, Le Tre Grazie, 1812-1816, San Pietroburgo, Hermitage
Bertel Thorvaldsen, Le Tre Grazie
Bertel Thorvaldsen, Le Tre Grazie, 1817-1819, Copenaghen, Thorvaldsens Museum

Se fino ad allora Thorvaldsen era considerato come lo scultore che si atteneva più fedelmente all’estetica neoclassica, le sue Tre Grazie non fanno che confermare l’indole della sua arte. Che era, sostanzialmente, un’arte che cercava di sopire non soltanto qualsiasi moto dell’animo, ma cercava anche di evitare movimenti che potessero suggerire all’osservatore un certo coinvolgimento emotivo. In Canova invece avviene il contrario. Pur nella loro eccezionale bellezza formale che rispondeva ai canoni di bellezza ideale ricercati dagli artisti neoclassici, le Grazie canoviane si abbracciano con un certo trasporto, si guardano negli occhi, si accarezzano dolcemente, quella al centro addirittura abbandona la testa in direzione della compagna che ha alla sua destra. E inoltre, i loro corpi appaiono naturali. Questo perché Canova riteneva che il bello ideale avesse le sue basi nella natura: ovvero, non ci può essere una bellezza ideale che non parta dalla natura. Non a caso, dopo aver visto le opere di Fidia, ebbe a scrivere a Quatremère de Quincy che le statue dello scultore greco sono vera carne, cioè bella natura.

Thorvaldsen probabilmente sente il confronto. Non si spiegherebbe altrimenti la scelta di non riproporre lo schema antico secondo cui la figura centrale doveva essere rappresentata di spalle: un’innovazione introdotta dallo stesso Canova. E, come Canova, concede alle sue Tre Grazie quello scambio di sguardi e gesti che così profondamente caratterizzava le figure del rivale, seppur senza raggiungerne l’intensità. Gli sguardi delle Grazie di Thorvaldsen sono infatti fissi, i volti sono impassibili. Non vediamo in nessuna di loro il sospiro che sembra fuoriuscire dalla bocca della figura centrale del gruppo canoviano. Non vediamo lo sguardo quasi sognante di quella di sinistra, e non vediamo la partecipazione di quella di destra.

Antonio Canova, Le Tre Grazie, particolare
Antonio Canova, Le Tre Grazie, particolare

Troviamo invece un particolare aggiuntivo: il Cupido che suona la cetra ai piedi delle tre giovani, inserito probabilmente per meglio bilanciare la composizione, dato che lo spazio tra le gambe delle Grazie, in assenza di Cupido, sarebbe stato troppo vuoto. E anche qui notiamo la grande distanza che c’è tra Canova e Thorvaldsen. In Canova, le gambe delle Grazie si sfiorano, e questo espediente ci suggerisce quella sottesa sensualità spesso presente nelle sue opere. In Thorvaldsen, la lontananza è tale da dover richiedere l’inserimento di un Cupido a sinistra e di una colonnina a destra per colmare lo spazio vuoto. E chissà se le Grazie di Thorvaldsen hanno uno sguardo così fisso in quanto intente ad ascoltare la melodia della cetra.

Bertel Thorvaldsen, Le Tre Grazie, particolare
Bertel Thorvaldsen, Le Tre Grazie, particolare

Ma osserviamo poi i corpi. Le Grazie di Canova sono giovani ben formate e avvenenti. Quelle di Thorvaldsen sono poco più che bambine. L’impressione che ne ricaviamo è che le Grazie di Canova ci appaiono come tre donne rappresentate in un abbraccio sensuale, languido e raffinato, mentre quelle di Thorvaldsen ci sembrano, al contrario, tre adolescenti impegnate in un gioco innocente. Anche il gesto della figura di destra in Thorvaldsen, che tocca con un dito il mento della compagna, ci risulta scevro di qualsiasi intento erotico.

Sensualità in Canova, purezza e candore in Thorvaldsen: sono questi probabilmente i sentimenti che le rispettive Grazie suscitano in chi le osserva. Non è un caso se le fonti riportano che il re Ludovico di Baviera, dopo aver visto entrambe le opere, ebbe a dire che le Grazie di Canova ispirano lascivia, mentre quelle di Thorvaldsen castità. Il re, insomma, considerava le Grazie di Thorvaldsen come caratterizzate da una certa essenza divina. Accordando la preferenza, come è lecito e facile supporre, all’artista danese. Un giudizio, dunque, contrario a quello che potremmo dare noi contemporanei. I gusti, nel tempo, cambiano, ma i grandi capolavori rimangono. E ci consentono di apprezzare le grandi differenze tra due scultori apparentemente simili, ma dotati di due animi profondamente contrastanti. Impossibile stabilire oggettivamente quale sia l’opera migliore delle due: le Tre Grazie di Canova e di Thorvaldsen incarnano al meglio due diverse concezioni del neoclassicismo. Il giudizio spetta all’inclinazione personale dell’osservatore.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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