Francis Haskell, lo storico dell'arte contrario ai prestiti di opere alle mostre


Francis Haskell (1928 - 2000) fu sempre molto contrario ai prestiti di opere per mostre che non perseguissero interessi scientifici. Proviamo a comprendere il suo pensiero ancora di grande attualità.

Chissà cosa scriverebbe al giorno d’oggi Francis Haskell (1928 - 2000), indimenticato storico dell’arte inglese che forse fu quello che più di ogni altri avversò la pratica delle mostre di cassetta, delle cosiddette mostre blockbuster o anche, molto più semplicemente, delle mostre non necessarie. Il suo pensiero è ben riassunto in un volume pubblicato postumo, The ephemeral museum, che è stato tradotto in Italia da Skira e uscito con il titolo La nascita delle mostre.

Non è semplice riassumere i temi del libro in un solo post. Né, tantomeno, è facile riassumere in un solo post il pensiero di Francis Haskell sulle mostre. Ci limiteremo dunque a un aspetto fondamentale delle mostre: i prestiti. Haskell era contrario ai prestiti che non fossero utili. Ne parlò in un articolo uscito nel 1990 sulla rivista The New York Review of Books, per la quale scrisse per anni: il titolo, eloquente, dell’articolo era Titian and the Perils of International Exhibition, “Tiziano e i pericoli delle mostre internazionali”. Quell’anno si teneva, a Venezia prima e negli Stati Uniti poi, una importante mostra dedicata all’arte di Tiziano: ovviamente la movimentazione di capolavori fu cospicua.

Francis Haskell
Francis Haskell nella chiesa del Gesù di Roma (Haskell, peraltro, parlava un eccellente italiano)

Nell’incipit del suo articolo, Haskell scriveva che le mostre internazionali di capolavori antichi devono sempre confrontarsi con un dilemma: la tendenza, dei musei che prestano, a concedere le proprie opere d’arte solo nel caso in cui le mostre verso cui sono dirette siano di serio interesse scientifico e, viceversa, le mire dei musei o delle organizzazioni che richiedono le opere, il cui interesse sarebbe, al contrario, quello di richiedere capolavori per meglio promuovere la mostra, o per ragioni di prestigio e, ovviamente, di cassetta. Secondo Haskell, i necessari compromessi derivanti da questa pratica, sarebbero raramente soddisfacenti.

Come si è visto, Haskell individuava le ragioni dei prestiti in promozione, prestigio e guadagno. Oltre, ovviamente, a quella che dovrebbe essere l’unica ragione del prestito di un’opera: la sua importanza scientifica per una mostra seria. Tuttavia, osservava anche che negli ultimi tempi si erano moltiplicate le mostre che richiedevano opere per ragioni diverse da quell’unica che dovrebbe portare i musei a prestare le opere. La capacità di attirare prestiti (più che di concederli) andava poi a influire anche sulle attività del museo, ragion per cui anche la figura del direttore del museo è andata cambiando. Con grande perspicacia, Haskell, nel suo The ephemeral museum, scriveva che al giorno d’oggi il direttore ideale di un museo è una persona che ha buone conoscenze politiche, che ha una certa predisposizione nei confronti della pubblicità, energia ed entusiasmo. L’interesse per la salute delle opere d’arte della propria collezione, secondo Haskell, era venuto meno.

Rileggendo oggi queste parole pubblicate ormai quindici anni fa, è naturale pensare che la voce di Francis Haskell sia rimasta inascoltata: le ultime vicende che riguardano il nostro patrimonio artistico, e che ci parlano di illogiche richieste di prestiti, e di capolavori che viaggiano per il mondo con motivi sempre più pretestuosi e insignificanti, ci rende edotti del fatto che in pochi hanno dato retta a Francis Haskell. Certo, agli occhi di molti l’approccio di Haskell potrebbe sembrare radicale (e per molti aspetti probabilmente può essere considerato tale), e magari anche elitista. Ma possiamo dire che si trattava, semplicemente, dell’approccio di uno storico dell’arte che voleva che alle opere fosse garantita la massima incolumità.

Può sembrare paradossale, ma oggi il fulcro della disciplina della storia dell’arte sembra non essere più l’opera d’arte, che diventa sempre più spesso accessorio di un evento, contorno “esclusivo” di una location, oggetto di trattative della diplomazia internazionale. Haskell, che avrebbe sicuramente reagito con una forte indignazione (era questo il sentimento che gli suscitava il veder opere prestate per ragioni lontane dagli interessi della storia dell’arte), invece riteneva che il centro della storia dell’arte fossero, appunto, le opere d’arte: è in questi termini che va pensato il suo contributo. Un contributo ancora molto attuale.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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