Leonora Carrington e Max Ernst: la tormentata storia d'amore di due pittori surrealisti


Leonora Carrington e Max Ernst, due tra i più importanti pittori surrealisti, furono legati da una tormentata storia d'amore. Ve la raccontiamo sul nostro blog, anche attraverso i loro dipinti.

Negli ultimi tempi, si è sviluppato un vivo interesse per l’arte di Leonora Carrington (1917 - 2011), interessante pittrice surrealista scomparsa nel 2011, a novantaquattro anni d’età: basti pensare alla mostra che la Tate Liverpool le ha dedicato nei primi mesi di quest’anno, in occasione delle celebrazioni per l’evento Mexico-United Kingdom 2015 (l’artista infatti era inglese e passò la maggior parte della sua vita in Messico). E ad affascinare gli estimatori di Leonora Carrington, oltre alla sua arte, è la sua tumultuosa vicenda biografica, che è stata raccontata su libri, saggi, articoli di svariati giornali e riviste.

È soprattutto la sua storia d’amore con un altro grande pittore surrealista, Max Ernst (1891 - 1976), a essere considerata degna d’un romanzo. Fu un incontro quasi folgorante, avvenuto nell’estate del 1937: per Leonora, figlia un po’ ribelle di una ricca famiglia di industriali, e ragazza sognatrice con la grandissima passione per l’arte, l’occasione di visitare la mostra dei surrealisti, che si teneva proprio in quell’anno a Londra, non poteva essere sprecata. “Mi sono innamorata dei dipinti di Max prima di innamorarmi di lui”, avrebbe poi detto Leonora: e infatti conobbe l’artista tedesco poco tempo dopo aver visitato la mostra, durante una festa. Erano divisi dalla loro età (Max Ernst era di ben ventisei anni più vecchio), dalle loro origini, e anche dalla loro situazione sentimentale, perché Max era sposato: però tutte queste diversità non impedirono ai due artisti di innamorarsi subito.

Leonora Carrington e Max Ernst
Lee Miller, Leonora Carrington e Max Ernst (1939; Archivio Miller)

I due si trasferirono a Parigi, soprattutto per trovare un maggior senso di libertà e un clima culturale più fervente di quello di Londra. E Parigi poté dar loro ciò che cercavano: Leonora e Max iniziarono a frequentare personaggi come André Breton, Pablo Picasso, Salvador Dalí, Joan Miró, Man Ray. Ma presto anche l’atmosfera della grande città cominciò a non esser più adatta alla coppia: Leonora e Max cominciarono a desiderare la tranquillità più assoluta, la serenità, la lontananza dalla frenetica vita di città. Si trasferirono così a sud, a Saint-Martin d’Ardèche, dove comperarono una casa di campagna: Max la decorò con affreschi e sculture, mentre Leonora si dilettava nella sua amatissima pittura. Le giornate trascorrevano tra passeggiate, visite degli amici di Londra e Parigi, conversazioni su arte e letteratura: Leonora avrebbe detto, a un’intervista al Guardian nel 2007 (e condotta peraltro da una sua lontana parente, la giornalista Joanna Moorhead), che tutto ciò che imparò, lo imparò da Max. E questo malgrado Leonora avesse ricevuto una formazione di alto livello, nelle migliori accademie, e con anche un soggiorno a Firenze: Max, oltre che il suo amante, era anche il suo faro, il suo principale punto di riferimento artistico e culturale.

Leonora Carrington, Ritratto di Max Ernst (1939; collezione privata)
Leonora Carrington, Ritratto di Max Ernst (1939; collezione privata)
La loro permanenza idilliaca in campagna si interruppe però bruscamente nel 1939, quando la Francia dichiarò Guerra alla Germania: Max, nonostante il suo convinto antinazismo, fu considerato straniero nemico e venne quindi internato in un campo di reclusione. La prigionia non impedì comunque a Leonora di vederlo: andò spesso a fargli visita, e diverse volte lo trovò impegnato a dipingere anche da detenuto. Alla fine, grazie all’intercessione di alcuni amici, Max venne rilasciato e i due poterono per qualche tempo riunirsi nella loro casa di campagna a Saint-Martin d’Ardèche. Fu durante questo periodo, alla fine del 1939, che Leonora dipinse il ritratto di Max Ernst, in cui l’amato indossa una bizzarra pelliccia che lo fa sembrare una sirena, in un paesaggio ghiacciato. Un dipinto che ispira un senso di isolamento e di alienazione, con probabili rimandi alla situazione che il pittore stava vivendo in quei giorni, mentre la sirena probabilmente allude alle figure mitologiche (tra cui la sirena stessa) che Max spesso inseriva nelle sue opere, e vuole quindi richiamare l’immaginario dell’artista.

Ma appena pochi mesi dopo, nel maggio del 1940, Max fu nuovamente catturato in quanto sospettato, senza fondamenti, di essere in comunicazione coi nemici: fu ancora imprigionato, e la stabilità mentale di Leonora iniziò a risentire delle vicende che la coppia stava subendo. Max riuscì a lasciare il campo, ma quando tornò a casa non trovo più la ragazza: insieme ad alcuni amici si era infatti recata in Spagna, nella speranza di ottenere un visto che potesse permettere alla coppia di vivere senza problemi. Tuttavia, in Spagna, in seguito all’aumentare dei suoi stati d’ansia, Leonora fu rinchiusa in una clinica psichiatrica di Santander, gestita dal medico filonazista Luis Morales: nella clinica, la giovane subì pesanti trattamenti a base di cardiazol, un farmaco che, se somministrato in dosi massicce, causa tremende convulsioni. L’esperienza avrebbe segnato parecchio Leonora. Tuttavia riuscì a uscire grazie all’intercessione del padre, che voleva però spedirla in una clinica in Sudafrica. Ma quando Leonora giunse a Lisbona, dove avrebbe dovuto imbarcarsi, riuscì a rifugiarsi nell’ambasciata del Messico: il diplomatico messicano Renato Leduc (1897 - 1976), che lavorava lì, era infatti un suo amico dai tempi di Parigi, e riuscì ad aiutarla.

Nel frattempo, Max Ernst riparò a Marsiglia dove ritrovò alcuni amici pittori che gli presentarono la collezionista americana Peggy Guggenheim (1898 - 1979), che ebbe l’idea di far scappare Max negli Stati Uniti per metterlo al sicuro: anche loro due si recarono a Lisbona per poi partire alla volta delle Americhe. E Peggy si innamorò di Max. Il pittore tedesco diventò il suo compagno, ma non la amava: Peggy lo sapeva, tanto che avrebbe sempre detto che “Leonora fu l’unica donna che Max abbia mai amato”. A Lisbona, Max e Leonora si incontrano di nuovo, ma la fiamma della passione ormai era spenta: troppo distanti i loro obiettivi e troppo diverse le vie che le loro esistenze avevano preso. Leonora, infatti, onde sottrarsi alla sua opprimente famiglia e al fine di non correre più rischi in Europa, aveva in progetto di acconsentire a un matrimonio di convenienza con Leduc, per ottenere la cittadinanza messicana. Peggy Guggenheim avrebbe raccontato che Max non voleva che si sposasse, perché desiderava che lui e Leonora si rimettessero assieme, ma la ragazza aveva già deciso di iniziare una nuova vita.

Le due nuove coppie si imbarcarono così, nel 1941, alla volta di New York, dove Max e Leonora continuarono a frequentarsi per qualche tempo, rimanendo amici. Ma Leonora, pochi mesi dopo l’arrivo negli Stati Uniti, per l’esattezza nell’estate del 1942, si separò da Leduc ponendo fine al suo matrimonio e si trasferì in Messico, dove rimase per il resto della sua vita: Max, che nello stesso periodo si era sposato con Peggy Guggenheim (avrebbe poi divorziato nel 1943, per un altro dei suoi brevissimi matrimoni), non la rivide mai più. Rimane però quella che probabilmente è la più alta testimonianza del suo amore verso Leonora: il dipinto Leonora nella luce della mattina, realizzato poco dopo che Max riuscì a uscire per la prima volta dal campo di reclusione, durante gli ultimi giorni di pace a Saint-Martin d’Ardèche. In una lussureggiante giungla dall’aspetto onirico, con queste stranissime piante sinuose che tutto avvinghiano, l’amata Leonora appare, con la sua folta chioma nera, facendosi largo tra la vegetazione, con un vestito che par confezionato con lo stesso fogliame della foresta. È un’apparizione quasi mitologica, sembra di assistere all’epifania di una ninfa dei boschi, di una madre natura, o di una dea della terra. Una creatura, insomma, più divina che umana. Così, probabilmente, Max doveva vedere l’unica donna che avesse mai amato: la sua Leonora.

Max Ernst, Leonora nella luce della mattina (1940; collezione privata)
Max Ernst, Leonora nella luce della mattina (1940; collezione privata)


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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