Charlotte Salomon: l'ebrea che si rifugiò nell'arte


Nella Giornata della Memoria ricordiamo la figura di Charlotte Salomon, artista ebrea tragicamente scomparsa ad Auschwitz.

La parola d’ordine di oggi è “PER NON DIMENTICARE”. Ma, in sostanza, cosa non dobbiamo dimenticare? Probabilmente si potrebbe definire con una sola parola: il male. Il male delle guerre, il male del razzismo, il male delle persecuzioni nei confronti di persone innocenti, il male commesso per fervide convinzioni rispetto a ideologie uniche e superiori, a detta di molti. Una semplice parola che evoca e racchiude i più atroci avvenimenti della storia, i più crudeli sentimenti che si possano provare, le pulsioni più brutte scaturite da un odio accecante. Per questo dobbiamo ripetere “PER NON DIMENTICARE”: per far sì che tutto ciò non accada mai più. Anche se a cancellare l’odio e il male dalla faccia della Terra non ci siamo ancora riusciti, purtroppo!

Tutto dovrebbe partire dal ricordo, dalla MEMORIA. L’importanza di ricordare e di tramandare la memoria attraverso documenti, filmati, letture e addirittura interviste ai pochi superstiti della Shoah è fondamentale per non ripetere gli stessi errori.

È impressionante vedere nei filmati la moltitudine di persone che cammina verso la morte o che, ammassata su vagoni da bestiame, viene inumanamente trasportata verso i campi di sterminio; le folle sono impressionanti, ma esse sono formate da singole persone con una propria vita e con sentimenti propri. Pensiamo a quante storie di vita sono state stroncate, ognuna diversa ma nello stesso tempo simile all’altra, e compito della memoria è proprio non permettere la totale cancellazione di tutte queste, se possibile.

In occasione della Giornata della Memoria, raccontiamo dunque la storia di Charlotte Salomon, una pittrice di nazionalità tedesca, ma ebrea, morta giovanissima nel campo di concentramento di Auschwitz.

Charlotte Salomon, Autoritratto
Charlotte Salomon, Autoritratto (1940; guazzo su cartone, 53,9x49,2 cm; Amsterdam, Joods Historisch Museum)

Nata nell’aprile 1917 a Berlino, Charlotte appartenne a una famiglia benestante in cui le donne di casa, tra cui la madre, si suicidarono per crisi depressive. Si avvicinò poi con sentimenti alterni alla compagna di suo padre, che era una cantante, e fu grazie a lei che scoprì la musica, ma soprattutto l’arte, facendole nascere la passione verso questa disciplina. Ciò la portò a studiare alla Scuola Nazionale dell’Accademia di Belle Arti di Berlino, ma qui, essendo ebrea, venne più volte discriminata. La svolta artistica avvenne in seguito al tentato suicidio della nonna: quando tutto sembrava andare per il cattivo verso, Charlotte si rifugiò con tutta la sua forza nell’arte per culminare, nel 1942, nella creazione della sua unica opera Leben? Oder Theater? (“Vita? O teatro?”).

Più di mille dipinti in cui si intrecciano teatro, musica e pittura (i dipinti sono accompagnati da scritti e da musiche) realizzati con la tecnica del guazzo (o gouache, in francese), ovvero con un colore simile alla tempera, ma dall’aspetto più opaco per l’aggiunta di gesso o biacca e di un composto di gomma arabica. In quest’opera, la pittrice raccontò la storia della sua famiglia sullo sfondo dell’ascesa al potere di Hitler e dell’inizio delle leggi razziali e delle persecuzioni ebree. A differenza di quanto si potrebbe pensare riguardo allo stile, quest’ultimo si presenta vivace, gioioso, come se la sua arte fosse completamente distaccata dalla realtà circostante. È proprio attraverso l’arte che riesce a superare le disgrazie che hanno colpito la sua famiglia, che riesce a riaffermare se stessa; l’arte la sprona ad andare avanti, a continuare a vivere, nonostante le crudeltà e le atrocità del periodo in cui vive.

Emblematico è uno dei suoi dipinti appartenenti a “Vita? O teatro?”: partendo dall’angolo in alto a sinistra per arrivare al centro del dipinto, Charlotte raffigura se stessa in tre momenti consecutivi mentre sta disegnando e dipingendo tenendo tra le mani una tavoletta; intorno a lei ruotano diversi oggetti, come cappelli, sedie, scarpe, strumenti musicali, e fiori, come il grande girasole in primo piano. Ciò sta a indicare probabilmente la sua inarrestabile passione per la pittura mentre tutto scorre intorno a lei, o forse sono raffigurati gli oggetti che sta disegnando sulla tavoletta. Tuttavia, quello che colpisce è che in questo dipinto non compare neanche il minimo riferimento alla realtà storica, alla Shoah.

La sua vita finisce tragicamente quando, insieme al marito e in dolce attesa, viene arrestata e portata nel campo di concentramento di Auschwitz, dove muore in una camera a gas a soli 26 anni. La sua opera, che Charlotte affidò a un’amica americana, è oggi conservata allo Joods Historisch Museum di Amsterdam.

Charlotte Salomon, Vita? O Teatro?
Charlotte Salomon, uno dei dipinti del ciclo Vita? O Teatro? (1942 circa; guazzo su carta, 32,5x25 cm; Amsterdam, Joods Historisch Museum)


Se ti è piaciuto questo articolo abbonati a Finestre sull'Arte.
al prezzo di 12,00 euro all'anno avrai accesso illimitato agli articoli pubblicati sul sito di Finestre sull'Arte e ci aiuterai a crescere e a mantenere la nostra informazione libera e indipendente.
ABBONATI A
FINESTRE SULL'ARTE

Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, sono co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. Sono nata a Carrara nel 1987 e mi sono laureata a Pisa. Sono responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.

Leggi il profilo completo



A che cosa serve la storia dell'arte?
A che cosa serve la storia dell'arte?
22 febbraio 1943 - 22 febbraio 2013: 70 anni dalla condanna di Hans e Sophie Scholl
22 febbraio 1943 - 22 febbraio 2013: 70 anni dalla condanna di Hans e Sophie Scholl
27 gennaio: l'arte è memoria. L'opera di Roman Halter
27 gennaio: l'arte è memoria. L'opera di Roman Halter
La musica che accompagnò l'orrore di Mauthausen e il fotografo che la salvò
La musica che accompagnò l'orrore di Mauthausen e il fotografo che la salvò
La storia di Otto Freundlich, l'artista “degenerato” che sognava una sola razza e morì nel campo di concentramento di Majdanek
La storia di Otto Freundlich, l'artista “degenerato” che sognava una sola razza e morì nel campo di concentramento di Majdanek
La tragedia dell'Olocausto in tre opere di Voltolino Fontani
La tragedia dell'Olocausto in tre opere di Voltolino Fontani


Commenta l'articolo che hai appena letto



Commenta come:      
Spunta questa casella se vuoi essere avvisato via mail di nuovi commenti





Torna indietro



MAGAZINE
primo numero
NUMERO 1

SFOGLIA ONLINE

MAR-APR-MAG 2019
secondo numero
NUMERO 2

SFOGLIA ONLINE

GIU-LUG-AGO 2019
terzo numero
NUMERO 3

SFOGLIA ONLINE

SET-OTT-NOV 2019
quarto numero
NUMERO 4

SFOGLIA ONLINE

DIC-GEN-FEB 2019/2020
Finestre sull'Arte