“Musei in forma” in Umbria: l'ennesimo uso azzardato degli spazi museali


A proposito della manifestazione 'Musei in forma': praticare ginnastica dentro a un museo ha senso?

È vero: la “sensibilizzazione sull’importanza dell’attività motoria” è probabilmente l’ultimo argomento a cui pensano gli assaltatori seriali di buffet alle inaugurazioni delle mostre, figure alle quali è sicuramente abituato chiunque frequenti l’ambiente dell’arte e dei musei. Occorre però dire, a loro discolpa, che spesso i vassoi stracolmi di cibarie grasse e sugnose non assumono l’aspetto dello “spuntino con frutta di stagione a chilometro zero”, bensì quello di invitanti quanto annichilenti bombe di lipidi e carboidrati che scacciano via tutti i buoni propositi circa dieta, alimentazione corretta e attività fisica.

Tuttavia, siamo perfettamente consapevoli che l’attività motoria sia importantissima e che occorra sensibilizzare su un tema al quale molte persone, appassionate d’arte e non, dedicano pochissima attenzione. Il problema è che ci sono luoghi e modi per condurre campagne sull’argomento: fare pilates e yoga dentro a un museo non è forse il metodo più indicato per raggiungere l’obiettivo. Anche perché si tratta di un’idea tutt’altro che inedita, come vorrebbero farci credere i promotori di "Musei in Forma“, ovvero ”l’evento del circuito Terre & Musei dell’Umbria dedicato al benessere del corpo e della mente“, che tradotto significa: attività che tipicamente si svolgono all’interno di palestre verranno traslate, per una manciata di fine settimana tra settembre e ottobre, all’interno dei musei di alcune cittadine umbre (Amelia, Bettona, Bevagna, Cannara, Deruta, Marsciano, Montefalco, Montone, Spello, Trevi, Umbertide). Dicevamo che è tutt’altro che una ”inedita contaminazione", come orgogliosamente e pomposamente declama il manifesto dell’evento: con la Sport Week in Santa Maria della Scala a Siena (evento che ha fatto parecchio discutere, e ovviamente non in senso positivo) pensavamo di aver già toccato il fondo, ma non eravamo stati sufficientemente originali da prevedere non solo che ci sarebbero state ancora persone in grado di ritenere le sale dei musei luoghi idonei a ospitare pratiche ginniche, ma anche che le suddette persone avrebbero avuto cura di strutturare il tutto in un evento con tanto di programma, hashtag d’ordinanza, volantino a forma di fumetto à la page e call center 199 per prenotare il proprio posto alla lezione di tecniche di rilassamento o alla dimostrazione di judo.

Evento di Musei in Forma
Un evento della rassegna “Musei in Forma”, dalla pagina Facebook di Terre e Musei dell’Umbria

Certo, se non altro rispetto a Santa Maria della Scala abbiam fatto dei passi in avanti: alla zumba e alle arti marziali si sono sostituite più tranquille lezioni di “postural training”, “flexibility” e “ginnastica dolce” (i partecipanti suderanno probabilmente meno riducendo il rischio di alterare il microclima delle sale, e le opere non correranno il pericolo di ricever calci volanti da qualcuno un po’ troppo preso dalla lezione di kickboxing). E occorre sottolineare che, almeno, gli eventi sono aperti a tutti (quindi mille volte meglio la dimostrazione di judo davanti a Luca Signorelli che l’addio al celibato cafonal per pochi invitati a Palazzo Pitti). Ma non è comunque chiaro quale sia l’obiettivo di “Musei in Forma”. “Sensibilizzare sull’importanza dell’attività motoria”? Dalle foto, sembra che i partecipanti siano pienamente in forma, abituati all’attività fisica e dunque per niente bisognosi di essere sensibilizzati. E poi per quale bizzarra ragione la sensibilizzazione deve avvenire entro le sale di un museo? Oppure, dato che lo slogan recita “Io sono in forma. Vado al museo” (quindi in apparente contrasto con l’obiettivo dichiarato: se sono già in forma, perché devo essere sensibilizzato?), scopo dell’iniziativa è portare il popolo delle palestre nei musei? Ma siamo sicuri che il metodo corretto per raggiungere tale obiettivo sia permettere agli appassionati di “flexibility” di esibirsi nella loro attività preferita di fronte a una pala d’altare?

Chi scrive è lontano anni luce dall’idea di un museo ingessato, piegato su se stesso, autoreferenziale, poco incline a ripensarsi in un’ottica nuova e aperta al mondo. Ma è anche poco attratto dall’idea che il museo possa assumere le sembianze di un contenitore all’interno del quale le opere diventano muti orpelli, o tutt’al più “splendida cornice” (come da abusatissima espressione utilizzata nella locandina di “Musei in Forma”) per manifestazioni che con il fine del museo poco hanno a che vedere (sì, lo sappiamo che la cultura e la cura del corpo sono strettamente collegate: ma zompettare dentro a una pinacoteca non ci sembra il modo migliore per estrinsecare il nesso). Occorre evitare gli eccessi, ma sono ancora pochi i musei che hanno la lungimiranza, l’intelligenza e l’eleganza per capire che il modo migliore per vivere un museo è trovare una giusta via di mezzo tra il custode che ti apostrofa in malo modo se ti becca seduto scomposto mentre contempli una scultura barocca, e la distesa di tappetini da stretching sotto ai lacerti di affreschi del Trecento. Altrimenti, se tutto è concesso, non sarebbe una cattiva idea se ci mettessimo d’accordo fin da ora per organizzare una sessione di balli di gruppo sulle note dei successi di Betobahia in tour nei musei italiani. Chi apprezza il genere, sicuramente gradirà.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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