Della Robbia a stelle e a strisce


Recensione della mostra 'Della Robbia. Sculpting with Color in Renaissance Florence' (a Boston e Washington tra 2016 e 2017).

Ha chiuso il 4 dicembre la mostra Della Robbia. Sculpting with Color in Renaissance Florence, curata da Marietta Cambareri, presso il Museum of Fine Arts di Boston. La stessa riaprirà il 5 di febbraio alla National Gallery of Art di Washington D.C., dove sarà visitabile fino al 4 di giugno. L’esposizione si propone come una carrellata, lunga più di cento anni, attraverso la tecnica della terracotta invetriata. La storia di questo medium ha inizio negli anni ‘30 del Quattrocento a Firenze, quando Luca della Robbia, dopo essersi confrontato con Donatello nella realizzazione delle cantorie per Santa Maria del Fiore, inventa e si specializza in una nuova produzione. Dopo di lui, suo nipote Andrea e il figlio di questi, Giovanni, proseguiranno la tradizione di famiglia, diffondendo terrecotte invetriate (o “robbiane”) oltre i confini municipali e perfezionando la tecnica.

Della  Robbia. Sculpting with Color in Renaissance Florence riaprirà il 5 febbraio a Washington
Della Robbia. Sculpting with Color in Renaissance Florence riaprirà il 5 febbraio a Washington

La nascita di queste particolari sculture (o “figure di vetro”, com’erano percepite dai contemporanei) rimane tuttora avvolta in un alone di mistero. Certo, indagini diagnostiche e studi pionieristici molto hanno aggiunto alla conoscenza di questi manufatti, eppure tuttora poco sappiamo di come gli stessi apparissero prima della cottura. Quel che è sicuro è che la loro produzione è strettamente legata al luogo in cui nacquero: la particolare composizione dell’argilla proveniente dall’Arno, ricca di minerali, li rendeva oggetti non riproducibili se non facendo ricorso al medesimo materiale. Alla loro fortuna contribuì anche la peculiare natura, a metà strada tra pittura e scultura; con la prima condividevano l’uso del colore, con la seconda la tridimensionalità. Viceversa, l’invetriatura rendeva queste opere più resistenti rispetto ad un dipinto, ma anche più economiche rispetto ad un’opera in marmo.

Lo show di Boston è diviso in tre sezioni, intitolate alle tre virtù cardinali, e rinuncia a una scansione cronologica precisa (che sarebbe forse risultata pedante) per proporre, invece, alcune categorizzazioni nelle quali far ricadere le opere in mostra. Partendo dalla devozione privata e dagli ambienti domestici, attraverso collocazioni pubbliche e il dialogo con l’antico, il visitatore è accompagnato lungo un percorso di scoperta delle tecniche e delle dinamiche di una bottega che rimase a lungo unica nel suo genere. Ciò che accomuna tutte le opere in mostra, provenienti in larghissima parte da musei americani, è la loro elevata qualità e l’eccellente stato di conservazione.

La rassegna si apre con uno straordinario rilievo rappresentante la Resurrezione di Cristo, opera di Giovanni, il membro più giovane della famiglia a cimentarsi in questa tecnica, ormai nel Cinquecento. Ai rilievi bianchi e blu del prozio Luca cede il passo un’assai più ampia varietà cromatica che include ormai il verde, il bruno e il viola. L’unicità di questa lunetta sta anche nella sua prestigiosa provenienza. Infatti, due stemmi Antinori (famiglia fiorentina che tuttora produce vini e che ha sponsorizzato generosamente la mostra) sono ben visibili nella ricca ghirlanda di frutta che circonda la scena. Ricerche documentarie hanno confermato l’originaria collocazione di questo rilievo, composto da più di quaranta pezzi, e che una volta decorava il portone di una villa nella campagna toscana. All’interno della ricchissima ghirlanda, formata da sedici distinte sezioni, Giovanni si cimentò nella rappresentazione di diversi vegetali, facendo ricorso anche a calchi dal vero. Oltre al mondo vegetale, in essa trova spazio anche una grande varietà di animaletti che sembrano rincorrersi e quasi fatti apposta per intrattenere i più piccoli durante la visita. Nella mostra sono poi numerose le Madonne con Bambino e le Natività, temi propri della devozione privata, che pure vedono piccoli aggiornamenti e una progressiva aggiunta di colori col passare delle generazioni e il miglioramento delle tecniche.

Giovanni della Robbia, Resurrezione
Giovanni della Robbia, Resurrezione (1500-1524 circa; terracotta invetriata, 174,6 x 364,5 x 33 cm; New York, Brooklyn Museum)


Particolare della Resurrezione
Particolare della Resurrezione

Strepitosa, pur nella sua monocromia, è la Visitazione proveniente dalla chiesa pistoiese di San Giovanni Fuorcivitas, capolavoro degli anni ’40 del capostipite Luca. Quest’opera, alla cui originaria sistemazione si cerca di alludere collocandola su di un podio e incorniciandola in una nicchia, è anch’essa smontabile in pezzi, ma le giunture sono abilmente celate dall’artista all’interno delle pieghe delle vesti delle due figure femminili. L’incontro della Vergine e di Sant’Elisabetta, e il conseguente sommovimento di San Giovanni Battista che avverte vicino a sé, in un altro ventre, il Salvatore, sono resi con una particolare iconografia: la più anziana Elisabetta cade sulle ginocchia e abbraccia la cugina, lasciando visibile allo sguardo del fedele, anch’egli inginocchiato davanti all’altare, il volto della giovane Maria.

Luca della Robbia, Visitazione
Luca della Robbia, Visitazione (1445 circa; terracotta invetriata, altezza 184 cm; Pistoia, San Giovanni Fuorcivitas)


Particolare della Visitazione
Particolare della Visitazione

La produzione di robbiane nel Cinquecento, quando ormai, come decretava Vasari, la tecnica stava vivendo un rapido declino, chiude la rassegna. Il segreto familiare, uscito dalla bottega, era ormai giunto nelle mani di Benedetto e Santi Buglioni, autore quest’ultimo del terzetto di Santi francescani a tutto tondo oggi diviso in tre diverse collezioni. Colpisce la vivacità di queste statue che riescono davvero a catturare l’atteggiamento dei predicatori davanti ai quali si radunavano torme di fedeli. L’esplosione della parte inferiore del San Giovanni da Capestrano, rattoppata con nuova argilla, ma comunque tuttora visibile, è forse indice di un ultimo tentativo di sperimentazione attraverso un medium che tornerà a essere apprezzato solo secoli dopo.

Santi Buglioni, San Bernardino da Siena
Santi Buglioni, San Bernardino da Siena (1550 circa; terracotta invetriata; Collezione privata)

Infatti, preceduti dal Museo di Kensington, l’attuale Victoria and Albert di Londra, alcuni collezionisti e musei americani, soprattutto all’inizio del Novecento, cominciarono a interessarsi alle terrecotte invetriate, causando un revival che portò anche alla loro contraffazione. Numerosi oggetti in mostra, tra cui la suddetta Resurrezione di Cristo, entrata nel 1899 nelle collezioni del Brooklyn Institute, oggi Brooklyn Museum di New York, fecero il loro ingresso nelle collezioni americane, accompagnati da trionfalistici articoli di giornale che ne celebravano l’arrivo.

Nel catalogo della mostra, uno dei sei saggi scritti da Marietta Cambareri, curatrice delle raccolte di scultura ed arti decorative del museo di Boston, ha per oggetto proprio la fortuna della terracotta invetriata negli Stati Uniti, cui spianò la strada quella già incontrata nel Regno Unito e la mediazione di storici dell’arte e conoscitori americani e italiani. Se tra il Quattro e il Cinquecento terrecotte invetriate avevano raggiunto, a dorso di muli, Urbino, Napoli e la Sicilia e poi, imbarcatesi, il Portogallo, la Francia e l’Inghilterra, all’inizio del secolo scorso le robbiane giunsero finanche nel Nuovo mondo, ispirando nuove suggestioni e ricerche.

Luca, Andrea e Giovanni sarebbero stati certamente fieri della resistenza di cui diedero prova le loro opere, superando indenni viaggi transoceanici e mantenendo intatta la vividezza dei loro colori e “l’atmosfera autentica da cittadina toscana” per le quali furono tanto apprezzate dai collezionisti all’inizio del secolo scorso.


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L'autore di questo articolo: Vincenzo Sorrentino

Nato a Napoli nel 1990, si è laureato a Pisa in Storia dell’arte nel 2014 e si è addottorato a Firenze nel 2018, all’interno del programma “Pegaso” in cui sono consorziate le Università toscane. Ha svolto un internship di sei mesi nel dipartimento di scultura della National Gallery of Art di Washington D.C. e da gennaio 2019 è iscritto alla Scuola di Specializzazione in beni storico artistici dell’Università di Firenze.




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