Nella Roma del Cinquecento: Sebastiano del Piombo, Raffaello e Michelangelo

La nota

2012, Quinta puntata

Nella Roma del Cinquecento avremmo potuto vedere all'opera grandissimi artisti: tra questi Sebastiano del Piombo, Raffaello e Michelangelo. Il primo aveva un modo di fare arte simile a quello di Michelangelo, quindi ne conseguì che il veneziano, appena giunto a Roma, strinse amicizia con Michelangelo Buonarroti e diventò rivale di Raffaello Sanzio. Anselmo nel suo articolo ci racconta quelle contese tra Sebastiano del Piombo e Raffaello, a cui fece da sfondo una duratura amicizia con il grande pittore e scultore toscano.

Sebastiano Luciani (successivamente detto “Del Piombo”) nacque a Venezia intorno al 1485. Iniziò la sua carriera nella città lagunare intorno al 1505 e, come scrisse Carlo Volpe, vi svolse il ruolo di mediatore fra l'antico (Bellini) ed il nuovo (Giorgione). Nell'agosto del 1511 Sebastiano entrò a far parte del seguito del ricchissimo banchiere e mecenate Agostino Chigi, trasferendosi pertanto a Roma. Nella Città Eterna l'artista trovò, come afferma Claudio Strinati, un “momento di apparente fervore artistico”. Era avvenuto il primo scoprimento della volta della Cappella Sistina nonché il trionfo di Raffaello nelle Stanze Vaticane, ma “al di fuori dell'area di San Pietro e dei palazzi vaticani, non sembrava che ci fosse granché da fare”. Teneva comunque banco lo scontro fra il Sanzio e Michelangelo, rivalità accentuata dal clima fortemente competitivo della corte papale. Sebastiano ingaggiò una dura sfida con Raffaello e strinse una strettissima amicizia con Buonarroti. La disfida fra Luciani ed il Sanzio, fatta di diffidenza e di aspra lotta, iniziò fin dal loro primo incontro, nell'odierna Villa Farnesina, dimora suburbana del mecenate del pittore veneziano: qui Raffaello dipinse la Galatea, Sebastiano il Polifemo che l'accompagna nonché gli affreschi delle lunette. La rivalità fra i due artisti si accese ulteriormente durante il loro servizio presso Giulio de' Medici, poco prima della morte dell'urbinate. Quest'ultimo, per il motivo della guarigione nella figura del fanciullo sonnambulo dipinto nella sua celeberrima Trasfigurazione s'ispirò alla Resurrezione di Lazzaro, opera realizzata da Sebastiano che, a sua volta, negli affreschi in San Pietro in Montorio, citerà il Cristo del dipinto del Sanzio.

Prima del maggio 1516 Sebastiano realizzò per Giovanni Botonti, chierico della Camera Apostolica, un quadro raffigurante la Pietà per l’altare della cappella gentilizia del committente ubicata nel transetto sinistro della chiesa di San Francesco alla Rocca di Viterbo (l'opera è oggi conservata nel locale Museo Civico). Il dipinto è la prima importante opera di collaborazione tra Sebastiano e Michelangelo. Le indagini diagnostiche condotte sull'opera dall’Opificio delle Pietre Dure nel 2004 hanno permesso d'ipotizzare il probabile utilizzo di un vero cartone preparatorio (oggi scomparso) fornito da Michelangelo, per la composizione del dipinto. A favore di questa ipotesi è l’evidenziazione, nelle figure, di un disegno soggiacente accurato, nitido, e anatomicamente dettagliato.?La realizzazione del suddetto cartone fu probabilmente preceduta da quella di un foglio di studi, conservato a Vienna, raffigurante alcuni disegni preparatori, quasi concordemente attribuiti al maestro toscano, fra cui la raffigurazione di un busto maschile, modello per la robusta Vergine della Pietà. Sebastiano sintetizza in quest'opera il disegno toscano con il colorito veneziano e fonde armonicamente il pittorico paesaggio e le possenti figure di palese ispirazione michelangiolesca. La Madonna è ritratta in una posa affine a quella della Rachele della tomba di Giulio II. Il corpo di Cristo cita la figura di Adamo della Cappella Sistina, soprattutto nella posa della gamba destra e della mano sinistra. Nell'opera viterbese le raffigurazioni di Maria e di Gesù sono nettamente contrapposte dal punto di vista cromatico: la prima presenta un colore scultoreo e pietrificato mentre il secondo è caratterizzato da una delicatissima graduazione tonale, una morbidezza ed una trasparenza tipicamente veneziane. Sebastiano non raffigura il tradizionale tema iconografico della Pietà nordica in cui la Vergine tiene sulle ginocchia il corpo senza vita del Figlio (come nella celeberrima opera michelangiolesca conservata in San Pietro). L'opera viterbese raffigura piuttosto una “lamentazione” ed un “compianto”: il corpo di Cristo non è adagiato sul grembo di sua madre, ma steso in terra. Tramite questa separazione fra le due figure il pittore raffigura, secondo Strinati, una sorta di “compianto universale in cui la storia sacra e la Natura partecipano della stessa situazione e la dimensione notturna si erge a simbolo assoluto”. Va infatti notato come questa sia la prima pala d’altare della storia dell’arte in cui è rappresentata una scena notturna.

Nel 1531 l'artista veneziano otterrà la carica di piombatore pontificio (da cui deriverà il nome “Del Piombo” con cui è maggiormente noto), ossia di guardasigilli delle bolle e delle lettere apostoliche, con l'obbligo di indossare la tonaca di frate. Così ne scriverà al Buonarroti: “se me vedessi frate credo certo ve la rideresti. Io sono il più bel fratazo di Roma. Cossa in vero non credo pensai mai”. Tre anni dopo la loro amicizia si romperà: Michelangelo doveva realizzare il Giudizio Universale e Sebastiano gli consigliò di dipingerlo con la tecnica dell’olio su muro, di sua invenzione, che asciugando lentamente permetteva all'artefice di annullare tutti gli eventuali errori in fase di stesura. Buonarroti, che mai avrebbe accettato una lezione da parte di un allievo, ebbe una reazione spropositata: non solo non accettò il suggerimento dell’amico, ma non gli rivolse mai più la parola.

Anselmo Nuvolari Duodo








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