Gli artisti nell'Ottocento: tra Accademia e mercato

Percorsi contemporanei

2010, Quinta puntata

Salve a tutti!
Con questo nostro appuntamento entreremo nel sistema del mercato artistico dell'Ottocento, segnato dal passaggio dal sistema delle Accademie a quello delle esposizioni e delle mostre d'arte. Sapere quali sono i meccanismi che muovono il mercato dell'arte è fondamentale: non dobbiamo mai dimenticarci che le opere d'arte sono beni di mercato, le più importanti sono veri e propri pezzi di lusso, oggetti che segnalano (e segnalavano) lo status sociale del proprietario in virtù della loro preziosità.

Il valore delle opere d'arte nel mondo medievale e moderno era legato soprattutto al costo del materiale: il prezzo di una pala d'altare, per esempio, dipendeva strettamente dalla quantità di foglia d'oro e di blu oltremare (ricavato dai lapislazzuli, costosissimi) che si voleva impiegare per dipingere sfondo e panneggi. Il ruolo dell'artista si riduceva in alcuni casi alla semplice esecuzione tecnica (spesso la composizione del quadro veniva decisa dai committenti, alla cui volontà gli artisti dovevano adeguarsi).
Fino all'Ottocento, con la nascita della borghesia moderna, il sistema artistico di produzione e commercio di opere d'arte era affidato sia al sistema di bottega, che si fondava sull'assimilazione dell'attività artistica a quella artigianale e sull'interazione diretta dell'artista con il committente, sia all'influenza delle Accademie di Belle Arti.

Nel corso dell'Ottocento due fenomeni contribuirono a modificare questo sistema: la crisi delle Accademie e la nascita di un mercato d'arte esteso a un ceto sociale vasto al punto da stimolare una forte concorrenza tra artisti, scuole, generi.
Le Accademie delle Belle Arti, nate nel Seicento ma consolidatesi nel XVIII secolo, erano istituzioni designate alla formazione dei giovani artisti (i quali spesso ricevevano delle borse di studio fornite dai sovrani); l'Accademia controllava e direzionava il gusto estetico dei giovani artisti, fondando l'insegnamento (nel caso della pittura) sullo studio delle composizioni classiche e dei dipinti del Rinascimento italiano. Esse pertanto miravano a formare artisti la cui produzione artistica celebrasse emblematicamente il monarca seguendo canoni compositivi ed espressivi aulici, facendo largo uso delle allegorie mitologiche, immediatamente comprensibili sia agli eruditi chc agli ambasciatori degli altri paesi.
In quanto conservatrici di un gusto estetico orientato alla celebrazione delle virtù aristocratiche, le Accademie riflettevano il potere della classe nobile: un potere che entra in crisi per la prima volta nella Francia di fine Settecento (e non è un caso che sia stato proprio David, il pittore per eccellenza della rivoluzione francese, a proporre per primo l'abolizione delle Accademie), e che si ripercuoterà sull'andamento del mercato artistico.
Essere accettato nell'Accademia delle belle Arti significava infatti raggiungere un notevole prestigio e vedere le proprie opere già potenzialmente acquistate dalle famiglie nobiliari o persino dalla casata reale. Se fino al tardo Settecento erano i direttori d'Accademia a segnalare al sovrano i giovani più meritevoli, nei tormentati anni della rivoluzione e del periodo napoleonico si va consolidando, in Francia, un ritorno fortissimo al sistema delle botteghe d'arte, riaprendo la conduzione delle trattative artistiche ad uno spettro più ampio di interlocutori.

Il sistema più comunemente usato dalle Accademie per la promozione dei propri artisti si affidava a esposizioni ufficiali (in Francia chiamati Salon) nei quali venivano assegnati dei premi in denaro agli artisti migliori, le cui opere potevano essere acquistate dallo Stato. Gli artisti che non provenivano dall'Accademia dovevano sottoporre le proprie opere al giudizio di una Giuria, che ne decideva l'ammissione o l'esclusione dal Salon.
Nel 1855 Gustav Courbet aprì un'esposizione personale, parallela al Salon ufficiale, nel quale esponeva le proprie opere, rifiutate dalla giuria accademica. Si trattò del primo atto di ribellione esplicitamente provocatorio che suscitò un enorme clamore e un grande scandalo. Qualche anno dopo, Napoleone III allestì il Salon des Refusés, creando una vetrina alternativa per quegli artisti emergenti le cui opere erano state rifiutate, come quelle di Courbet.

La pratica di esporre le proprie opere parallelamente al Salon ufficiale si consolidò nel giro di pochissimi anni, e fu contemporaneamente il frutto e la causa prima dell'intrecciarsi di una rete di rapporti tra gruppi di artisti accomunati da affini ricerche pittoriche. Essa determinò anche un cambiamento fondamentale nella vita dei giovani emergeni: non più protetti dalle Accademie, essi erano costretti a vendere i propri quadri giorno dopo giorno, a produrre senza la garanzia di acquisto, scontrandosi spesso con il gusto ancora attardato di molti borghesi, trovando conforto in pochi collezionisti illuminati. Nasce anche la figura dell'artista che si distingue tra gli altri per carisma, capacità tecniche, espressione artistica: le valutazioni del mercato iniziano a dipendere in misura sempre maggiore dalla firma che accompagna l'opera. Il tubetto di colore acrilico, economico e trasportabile ovunque, è il responsabile non solo della nascita dell'impressionismo, ma anche dell'immagine dell'artista moderno.
Figure centrali di questo processo furono i mercanti d'arte: uomini come Alfred Bruyas, Ambroise Vollard, critici come Louis Vauxcelles, stabilirono i contatti tra i vari artisti, tra i primi compratori, organizzarono le prime esposizioni e le relative forme pubblicitarie, fondarono le prime riviste di critica d'arte, contribuirono alla formazione di veri e propri quartieri dedicati alle gallerie d'arte. Soprattutto, furono in grado di tessere i rapporti con la nuova borghesia cittadina, attirata dall'acquisto di opere d'arte, sempre più orientata verso un collezionismo volto alla raccolta di tante opere mediamente costose, scelte in base alla modernità di esecuzione e di soggetto.

Il collezionismo borghese presenta un doppio volto: da una parte, le opere d'arte erano scelte in base all'immagine che il collezionista voleva trasmettere al suo entourage: la scelta dei temi variava, per esempio, a seconda dell'ambiente cui erano desinati: i quadri di paesaggio erano destinati ai salotti femminili, i ritratti e i quadri di storia trovavano posto nei salotti maschili, ecc.
Ma non dobbiamo mai dimenticarci che dipinti e sculture, soprattutto se appartenenti ad artisti che avevano raggiunto una certa notorietà, erano segno di potere economico e di aggiornamento culturale: valore artistico e valore economico si legano indissolubilmente, determinando o riflettendo la fortuna critica degli artisti e l'influenza dei collezionisti, e il prestigio dei mercanti: solo i più abili erano infatti in grado di dettare i tempi del gusto e delle tendenze artistiche, spesso convincendo gli artisti a esporre le proprie opere d'arte alle Esposizioni Universali e Internazionali, luoghi della celebrazione della nuova società borghese e dell'industrializzazione incipiente ma anche ottime vetrine di promozione agli occhi dei numerosissimi visitatori.

In Italia la rivolta contro il sistema delle Accademie era condotta in nome di uno svecchiamento culturale. Il mercato artistico, così come si era configurato in Francia, si formò nella seconda metà del XIX secolo. La promozione dei giovani artisti era affidata alle Società promotrici delle Belle Arti, che rilasciavano borse di studio e sponsorizzavano mostre temporanee e monografiche. Si dovrà aspettare l'unità d'Italia per richiamare l'attenzione internazionale sul nostro panorama artistico, tramite l'organizzazione delle Esposizioni Universali (Firenze 1867) e della Biennale di Venezia (1895).

Per approfondire.. -A. Vollard, Ricordi di un mercante di quadri. Prefazione a cura di Maria Mimita Lamberti. Einaudi. Il libro è fuori commercio ma si trova spesso sulle bancarelle dei mercatini o nei rigattieri: tantissimi libri d'arte si trovano nei posti più impensabili! ;) - C. Nicosia, Arte e Accademia nell'Ottocento. Evoluzione e crisi della didattica artistica, Minerva Edizioni.

Antoniettachiara Russo








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