Quando un grande vedutista veneziano viaggiò in Toscana. Bernardo Bellotto a Lucca


Recensione della mostra “Bernardo Bellotto 1740. Viaggio in Toscana”

Non dev’essere stato facile essere il nipote di Antonio Canal, meglio conosciuto come il Canaletto (Venezia, 1697 – 1768), uno dei più grandi vedutisti veneziani, che immortalò sulla tela paesaggi della laguna; tuttavia Bernardo Bellotto (Venezia, 1722 – Varsavia, 1780) si guadagnò una carriera artistica di tutto rispetto, riuscendo a non cadere nell’ombra dello zio. Il rischio era infatti quello di non distinguersi dal grande artista, di essere a lui continuamente paragonato, in un confronto dove Bellotto poteva essere il pittore meno vincente, ma egli in realtà non viveva male questa parentela, anzi, spesso si firmava “Io Bernardo B. detto il Canaletto”, testimonianza che documenta il buon rapporto con il suo maestro.

Fin da bambino frequentò presumibilmente lo studio dello zio, dove quest’ultimo raffigurava quegli scenarî spettacolari con vedute che tutti abbiamo visto dal vivo o sui libri, ma è circa nel 1736 che Bellotto iniziò l’apprendistato dal Canaletto, cominciando a prendere confidenza con la rappresentazione delle tipiche architetture prospettiche del maestro. Inoltre da quello studio passavano gli esponenti più importanti dell’ambiente culturale veneziano, nonché nobili britannici e viaggiatori del Grand Tour. Venezia e l’atelier dello zio furono perciò luoghi di grande fermento culturale e artistico, dove ebbe modo d’imparare e di muovere i suoi primi passi nel mondo dell’arte, mostrando via via i suoi progressi sia ai suoi familiari che ai personaggi di quell’ambiente, ma il salto avvenne nel 1740, quando Bellotto si trasferì in Toscana per un soggiorno prima a Firenze e poi a Lucca. È proprio a questo periodo che la Fondazione Ragghianti di Lucca ha deciso di dedicare la mostra Bernardo Bellotto 1740. Viaggio in Toscana, visitabile al pubblico fino al 6 gennaio 2020. La curatela è di Bożena Anna Kowalczyk, tra le massime esperte al mondo di Canaletto, e si nota l’attenzione con cui quest’ultima ha realizzato una mostra piccola, concentrata, ma molto raffinata, sia nel percorso espositivo e allestitivo che negli apparati, nonché nello stesso catalogo dell’esposizione interamente scritto da lei, che contiene un saggio introduttivo e le schede di tutte le opere in esposizione; e addirittura di opere che la curatrice ha inserito nel catalogo per meglio comprendere alcuni aspetti del contesto e della produzione di Bellotto, ma che non sono presenti nella rassegna.

Sala della mostra Bernardo Bellotto 1740. Viaggio in Toscana
Sala della mostra Bernardo Bellotto 1740. Viaggio in Toscana


Sala della mostra Bernardo Bellotto 1740. Viaggio in Toscana
Sala della mostra Bernardo Bellotto 1740. Viaggio in Toscana

Autori, prima di Bellotto, della maggior parte delle vedute veneziane erano Luca Carlevarijs (Udine, 1663 – Venezia,1730) e il Canaletto ed entrambi erano presenti nelle collezioni settecentesche lucchesi, in particolare in quella di Stefano Conti: il mercante possedeva dipinti contemporanei, solamente di scuola veneziana e bolognese, eccezion fatta per Guercino e Correggio. Gli artisti più “di moda” in quel periodo venivano ingaggiati dal pittore veronese Alessandro Marchesini e successivamente Conti commissionava loro dipinti. Tra i primi pittori di scuola veneziana a essere introdotto nella galleria di quest’ultimo fu Carlevarijs con tre vedute della città della laguna, mentre il Canaletto venne scelto perché, come si legge in una lettera indirizzata a Conti scritta da Marchesini, il “signor Lucca Carlevari” è “superato di maggior stima dal signor Antonio Canale, che fa in questo paese stordire universalmente ognuno che vede le sue opere, che consiste sul ordine di Carlevari ma vi si vede lucer entro il sole”. Da questi presupposti prende il via l’attuale mostra lucchese, dando dunque una prima testimonianza della connessione tra questi artisti e la città: l’opera di Carlevarijs, Il Molo con la Libreria e la Zecca verso la Punta della Dogana e la Salute, Venezia, del 1706, apre la rassegna. Un dipinto realizzato applicando le regole dell’ottica e della prospettiva, seguendo le orme di Gaspar van Wittel, e utilizzando la camera ottica, oltre a una serie di piccole figure che appartenevano a un frequente repertorio dei suoi dipinti. Lo stesso artista descrisse l’opera nella documentata attestazione ch’egli fece a Stefano Conti di aver rappresentato “la pescaria di Venezia con la Frabica della Ceccha, è granari Publichi, con una parte del Canal Grande, oltre il qualle di vede la Chiesa di Santa Maria della Salute, et la Dogana di Mare, con Barche d’ogni sorte, è quantità di figurine”.

Conti commissionò invece a Canaletto due coppie di vedute di Venezia: due del Canal Grande, uno del Ponte di Rialto e uno del Campo Santi Giovanni e Paolo, ma nessuna di queste è visibile in esposizione. Anche il Canaletto si serviva della camera ottica ed è qui presente un piccolo esemplare, portatile e utilizzabile perciò all’aria aperta, che riporta sulla ribalta l’iscrizione “A.Canal” e che proviene dal Museo Correr di Venezia: uno strumento che imparò a conoscere anche Bellotto nello studio dello zio. Il funzionamento era simile a quello dell’occhio umano, ovvero l’immagine veniva proiettata su uno schermo di vetro collocato nella parte superiore della camera ottica; a riflettere l’immagine, introdotta attraverso un foro con lente concava, era uno specchio interno; appoggiando la carta oleosa e trasparente sul vetro era possibile disegnare i contorni dell’immagine, riflessa invertita. Fondamentale per l’esecuzione di un dipinto era il disegno: Bellotto apprese molto abilmente dal suo maestro le tecniche prospettiche alla base delle sue vedute, ch’egli compiva con l’aiuto di strumenti, quali il compasso e il righello, utili per costruire riferimenti per l’intera composizione dell’opera, come la linea dell’orizzonte che tirava da un margine all’altro. Risulta molto evidente quest’aspetto nel disegno presente in esposizione proveniente dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, raffigurante L’Arno verso il Ponte alla Carraia, Firenze: l’utilizzo del compasso è ben visibile nel disegno del ponte, e il righello non solo nelle principali linee costruttive, ma persino nelle finestre delle case. Si tratta di fatto dell’unico disegno fiorentino noto ed è la composizione per il più tardo omonimo dipinto del Fitzwilliam Museum di Cambridge. Si ha testimonianza in numerosi schizzi e riproduzioni della grande capacità del nipote di riportare sul foglio i dettagli delle architetture e di delineare i contorni dei piccoli personaggi raffigurati, come faceva il suo maestro, ma nei dipinti fece un passo ulteriore: usò la tecnica delle incisioni impresse sulla tela con la punta del manico del pennello, soprattutto nelle scoloriture, per accrescere l’intensità del quadro. Le conoscenze e le tecniche apprese dal Canaletto gli servirono perciò come punto di partenza da cui costruire una sua identità, per cominciare a differenziarsi dal suo maestro.

Camera ottica appartenuta al Canaletto (XVIII secolo; legno, vetro e specchio, 38 x 24,2 x 22,5 cm; Venezia, Museo Correr, inv. C1 XXIX, s.n. 30)
Camera ottica appartenuta al Canaletto (XVIII secolo; legno, vetro e specchio, 38 x 24,2 x 22,5 cm; Venezia, Museo Correr, inv. C1 XXIX, s.n. 30)


Luca Carlevarijs, Il Molo con la Zecca e la Libreria, verso ovest, Venezia (1706; olio su tela, 63 x 92 cm; Lucca, Museo Nazionale di Palazzo Mansi, inv. 751)
Luca Carlevarijs, Il Molo con la Zecca e la Libreria, verso ovest, Venezia (1706; olio su tela, 63 x 92 cm; Lucca, Museo Nazionale di Palazzo Mansi, inv. 751)

Come già affermato, lo studio del Canaletto era frequentato dai principali esponenti dell’ambiente culturale veneziano, tra cui figura Anton Maria Zanetti di Girolamo (Venezia, 1706 – 1778); collezionista e antiquario, era divenuto una sorta di agente dell’artista, grazie a cui quest’ultimo otteneva importanti commissioni da parte soprattutto del mondo anglosassone. A Zanetti era legata un’altra personalità di rilievo, il marchese Andrea Gerini, originario di una famiglia di mercanti e banchieri connessa ai Medici e ai Lorena; Zanetti divenne ben presto il principale consulente artistico del marchese, occupandosi di aggiornare la sua collezione pittorica con dipinti di artisti veneziani contemporanei e di portare avanti insieme a Gerini le due serie di stampe dedicate al nascente vedutismo fiorentino, dal titolo Scelta di XXIV vedute delle principali contrade, piazze, chiese e palazzi della città di Firenze e Vedute delle ville e d’altri luoghi della Toscana.

Zanetti e Gerini decisero di puntare proprio su Bellotto: si tratta infatti della prima documentazione sul vedutismo fiorentino di Bellotto, e inoltre concordarono nell’inviare a Firenze il giovane artista con l’idea azzardata, ma che si rivelò fortunata, di dare vita al vedutismo fiorentino settecentesco partendo dalle tecniche del Canaletto.

Dopo una prima sezione della mostra focalizzata dunque sul contesto entro il quale si muoveva Bellotto nella fase iniziale della sua produzione, ricordando il rapporto con lo zio-maestro, la rassegna entra nel vivo del periodo in cui l’artista lasciò Venezia per giungere in Toscana, in un primo momento a Firenze. Della sua attività fiorentina si hanno precise testimonianze: “Io appié sottoscritto ho ricevuto dall’Illustrissimo Signore Marchese Andrea Gerini Zecchini ottantaquattro, e paoli 18 – per valuta di 4 – quadri di vedute vendutili, e fattigli a posta per detto prezzo di accordo a me contanti --- Zecchini 84. 18 – Io Bernardo B. detto il Canaletto”. Il documento è datato 30 settembre 1740, quando Bellotto si trovava già a Firenze, poiché giuntovi dopo il 22 aprile di quell’anno. Tra questi quadri, L’Arno al Tiratoio verso il Ponte Vecchio e L’Arno dalla Vaga Loggia, con San Frediano in Cestello, entrambi in collezione privata e non presenti in mostra, ma accuratamente schedati nel catalogo. Si tratta di una “coppia complementare”, come li definisce la curatrice, poiché nel primo l’Arno è raffigurato a monte del Ponte Vecchio, mentre nel secondo a valle. Sono le prime opere documentate e precisamente datate dell’artista e la certezza che queste siano due delle quattro opere a cui l’artista si riferisce nel menzionato documento si deve alla ricostruzione delle loro vicende antiquarie: facevano parte della collezione di Otto Beit, ma subirono una serie di furti a partire dagli anni Sessanta del Novecento che danneggiarono in particolare il primo dipinto (nel corso dell’ultimo furto, il quadro venne tolto dal telaio e arrotolato, con la conseguente perdita di frammenti di colore). Grazie al recente ritrovamento delle ricevute di pagamento nell’archivio Gerini si è potuto identificare i dipinti della collezione Beit con le due vedute di Firenze che l’8 marzo 1879 apparvero accompagnate dalla scritta “From the Gerini Collection” e con il nome di Canaletti a Londra, da Christie’s, e il 3 maggio 1884, citate allo stesso modo, di nuovo da Christie’s; inoltre il codice di vendita 233 T impresso sul solo telaio vecchio della coppia di dipinti, ovvero quello del secondo, li attesta come i dipinti della collezione Beit. Modello per L’Arno dalla Vaga Loggia era un disegno di Giuseppe Zocchi (Firenze, 1717 – 1767), l’artista di casa Gerini che, secondo gli intenti di quest’ultimo e di Zanetti, avrebbe dovuto apprendere le tecniche del vedutismo da Bellotto. Gli altri due dipinti commissionati dal marchese rimangono tuttora ignoti. Esposte invece in mostra sono altre vedute dell’Arno: L’Arno dal Ponte Vecchio fino a Santa Trinita e alla Carraia, Firenze, proveniente dal museo Szépművészeti di Budapest, caratterizzato dalla fila di case illuminate sull’Arno, è complementare al dipinto proveniente da Cambridge realizzato nel 1743-44, L’Arno verso il Ponte Vecchio, Firenze, costruito quasi in modo simmetrico rispetto al primo, ma il suo pendant (poiché appartenenti entrambi alla collezione del marchese Vincenzo Riccardi registrati nel 1741) è Piazza della Signoria, verso est, Firenze, custodito nello stesso museo di Budapest. Nei due dipinti di Budapest, Bellotto rappresenta l’Arno come fosse un canale veneziano, a cui aggiunge maggiori contrasti di luce e un accenno di prospettiva aerea per quanto riguarda gli elementi più in lontananza.

Bernardo Bellotto, L’Arno verso il ponte alla Carraia, Firenze (1743-1744; olio su tela, 73,7 x 105,4 cm; Cambridge, Fitzwilliam Museum, inv. 195)
Bernardo Bellotto, L’Arno verso il ponte alla Carraia, Firenze (1743-1744; olio su tela, 73,7 x 105,4 cm; Cambridge, Fitzwilliam Museum, inv. 195)


Bernardo Bellotto, L’Arno verso il Ponte Vecchio, Firenze (1743-1744; olio su tela, 73,3 x 105,7 cm; Cambridge, Fitzwilliam Museum, inv. 192)
Bernardo Bellotto, L’Arno verso il Ponte Vecchio, Firenze (1743-1744; olio su tela, 73,3 x 105,7 cm; Cambridge, Fitzwilliam Museum, inv. 192)


Bernardo Bellotto, L’Arno dal Ponte Vecchio fino a Santa Trinita e alla Carraia, Firenze (1740; olio su tela, 62 x 90 cm; Budapest, Szépművészeti Múzeum, inv. 647)
Bernardo Bellotto, L’Arno dal Ponte Vecchio fino a Santa Trinita e alla Carraia, Firenze (1740; olio su tela, 62 x 90 cm; Budapest, Szépművészeti Múzeum, inv. 647)

La mostra si chiude con la sezione dedicata al rapporto dell’artista con Lucca, città in cui si tiene la stessa esposizione. Ed è proprio in questa sezione che è stato collocato il vero protagonista dell’intera rassegna: Piazza San Martino con la cattedrale, Lucca, proveniente da York. Bellotto giunse nella città toscana nel settembre-ottobre 1740 e della sua attività artistica a Lucca si ha testimonianza nel dipinto appena menzionato, che di fatto è l’unico dipinto noto della città, e nei quattro disegni che lo accompagnano, appartenenti alla collezione topografica del re Giorgio III. Osservando quindi questi quattro disegni e questo dipinto si comprende in modo dettagliato e preciso come si presentava realmente a quell’epoca la celebre piazza lucchese e ciò che la circondava: i disegni infatti raffigurano le varie prospettive da cui si guarda la cattedrale, ovvero frontalmente (come nel disegno), il fianco con San Giovanni dalla Piazza degli Antelminelli, la parte absidale e la parte absidale con l’aggiunta del campanile.

Per la realizzazione del dipinto, l’artista studiò accuratamente la scena da una finestra del piano nobile di palazzo Bernardi e la somiglianza stilistica per dimensioni e per colorismo alla coppia di dipinti della collezione Beit ha fatto pensare a una vicinanza cronologica rispetto al soggiorno fiorentino (forse dopo aver ricevuto da Gerini un prestito di venti zecchini il 30 agosto 1740). Il corrispettivo disegno non è che un abbozzo: nel dipinto l’artista si sofferma meticolosamente su ogni dettaglio, persino sulle ombre, sulle nuvole, sulla vegetazione, sulle pietre sparse sul terreno battuto, e le piccole figure dei personaggi che abitano lo scenario della piazza sono dipinte a punta di pennello. Dal punto di vista prospettico, l’opera rimanda alla fiorentina Piazza della Signoria rappresentata nel quadro di Budapest: Palazzo Vecchio risulta in posizione frontale similarmente alla Cattedrale di San Martino, mentre le case sulla sinistra e la Loggia dei Lanzi sulla destra sono paragonabili alla prospettiva degli edifici che circondano la piazza di Lucca.

Bernardo Bellotto, Piazza San Martino con la cattedrale, Lucca (1740; olio su tela, 50,8 x 72 cm; York, York Art Gallery, inv. YORAG 771) © York Museums Trust
Bernardo Bellotto, Piazza San Martino con la cattedrale, Lucca (1740; olio su tela, 50,8 x 72 cm; York, York Art Gallery, inv. YORAG 771) © York Museums Trust


Bernardo Bellotto, Piazza della Signoria, Firenze (1740; olio su tela, 61 x 90 cm. Budapest, Szépm&x0171;vészeti Múzeum, inv. 645)
Bernardo Bellotto, Piazza della Signoria, Firenze (1740; olio su tela, 61 x 90 cm. Budapest, Szépm&x0171;vészeti Múzeum, inv. 645)


Bernardo Bellotto, Piazza San Martino con la cattedrale, Lucca (1740; penna e inchiostro bruno, 25,3 x 36,8 cm; Londra, British Library, Maps Room, K. Top. LXXX-21a)
Bernardo Bellotto, Piazza San Martino con la cattedrale, Lucca (1740; penna e inchiostro bruno, 25,3 x 36,8 cm; Londra, British Library, Maps Room, K. Top. LXXX-21a)


Bernardo Bellotto, San Giovanni dalla Piazza degli Antelminelli, con il fianco della cattedrale, Lucca (1740; penna e inchiostro bruno su traccia di matita, 25,2 x 37 cm; Londra, British Library, Maps Room, K. Top. LXXX-21b)
Bernardo Bellotto, San Giovanni dalla Piazza degli Antelminelli, con il fianco della cattedrale, Lucca (1740; penna e inchiostro bruno su traccia di matita, 25,2 x 37 cm; Londra, British Library, Maps Room, K. Top. LXXX-21b)


Bernardo Bellotto, La cattedrale di San Martino, dalla parte absidale, con il chiostro, Lucca (1740: penna e inchiostro bruno su traccia di matita, 24,8 x 37 cm; Londra, British Library, Maps Room, K. Top. LXXX-21c)
Bernardo Bellotto, La cattedrale di San Martino, dalla parte absidale, con il chiostro, Lucca (1740: penna e inchiostro bruno su traccia di matita, 24,8 x 37 cm; Londra, British Library, Maps Room, K. Top. LXXX-21c)


Bernardo Bellotto, La cattedrale di San Martino dalla parte absidale con il campanile, Lucca (1740; penna e inchiostro bruno su traccia di matita, 24,7 x 36,7 cm; Londra, British Library, Maps Room, K. Top. LXXX-21d)
Bernardo Bellotto, La cattedrale di San Martino dalla parte absidale con il campanile, Lucca (1740; penna e inchiostro bruno su traccia di matita, 24,7 x 36,7 cm; Londra, British Library, Maps Room, K. Top. LXXX-21d)


Bernardo Bellotto, Santa Maria Forisportam, Lucca (1740; penna e inchiostro bruno su traccia di matita, 23,5 x 37,1 cm; Londra, British Library, Maps Room, K. Top. LXXX-21e)
Bernardo Bellotto, Santa Maria Forisportam, Lucca (1740; penna e inchiostro bruno su traccia di matita, 23,5 x 37,1 cm; Londra, British Library, Maps Room, K. Top. LXXX-21e)

Il progetto di Bellotto di cogliere da quattro punti di vista differenti la cattedrale era un’assoluta novità nel vedutismo, che replicò in altre occasioni: tra il 1756 e il 1758 nelle vedute della fortezza di Königstein e tra il 1776 e il 1777 nei dipinti del Castello di Wilanòw.

Esiste inoltre un altro disegno della città di Lucca, che tuttavia non riguarda la Cattedrale di San Martino, bensì un’altra chiesa romanica: Santa Maria Forisportam, oggi custodito alla British Library di Londra.

Anche il soggiorno lucchese dovette essere organizzato da Zanetti e Gerini, i quali contattarono un loro comune “amico di Lucca”, ma quest’ultimo non è stato ancora identificato.

La mostra ha il merito di aver presentato gli inizî della carriera di Bernardo Bellotto e la sua svolta compiuta con il viaggio in Toscana, prima a Firenze e poi a Lucca, facendo nascere il vedutismo fiorentino, nell’ambito del quale riuscì ad aggiungere novità alle tecniche apprese nello studio del Canaletto. Inoltre la curatrice, come già affermato tra i massimi esperti di Canaletto, ha compiuto recenti ricerche che hanno permesso d’identificare i dipinti Beit con quelli commissionati da Gerini.

Un viaggio nella Toscana del Settecento attraverso cui il visitatore è accompagnato da uno degli artisti e vedutisti più significativi del panorama italiano.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, sono co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. Sono nata a Carrara nel 1987 e mi sono laureata a Pisa. Sono responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.

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