Dalle nature morte al neoplasticismo: lo straordinario percorso di Piet Mondrian


Oggi tutti conosciamo Piet Mondrian per le sue composizioni geometriche con i colori primari, ma questi dipinti sono il risultato di un lungo percorso. Lo vediamo in questo articolo.

Mulini, boschi, paesaggi marini, fattorie, mucche, corsi d’acqua, tramonti: osservando gli esordî di Piet Mondrian (Pieter Cornelis Mondriaan; Amersfoort, 1872 - New York, 1944), all’insegna di una pittura fatta soprattutto di vedute e nature morte, difficilmente si crederebbe che l’artista che stiamo ammirando è lo stesso che, appena pochi anni dopo, avrebbe radicalmente cambiato l’arte occidentale introducendo le sue celeberrime composizioni fatte di linee nere entro cui si dispongono i tre colori primarî. Quello di Mondrian è uno dei percorsi d’artista più sorprendenti e repentini della storia dell’arte, e lo portò dall’essere un artista sì talentuoso, ma poco innovativo e abbastanza allineato a tendenze che già da diversi anni erano state esplorate e scandagliate in ogni direzione da decine d’altri suoi colleghi, a diventare un visionario in grado di assurgere a straordinario protagonista del suo tempo, un “pittore-profeta” dotato di una “fede assoluta in un linguaggio visivo che tende a coincidere con l’universale razionalità del reale” (così lo definì lo storico dell’arte Alberto Busignani), per raggiungere la quale l’artista, nella fase matura della sua carriera, limitò al massimo il suo vocabolario di forme e colori dando luogo alle opere per le quali è universalmente noto.

Quello di Mondrian non fu un percorso di rottura, come si potrebbe immaginare, ma si trattò di un processo lineare: l’artista stesso vedeva le sue ricerche geometrizzanti in continuità con quanto aveva prodotto nelle fasi giovanili della sua carriera. Nel celebre Dialoog over de Nieuwe Beelding (“Dialogo sulla nuova plastica”), pubblicato in due numeri della rivista De Stijl (febbraio e marzo 1919), Mondrian immagina un dialogo tra “A”, un cantante, e “B”, un pittore, dove il primo chiede al secondo lumi sulla sua nuova arte. “Ammiro i tuoi lavori precedenti”, dice il cantante. “E siccome significano molto per me, vorrei capire il tuo attuale modo di dipingere. Non vedo niente in questi rettangoli. A cosa ambisci?”. E il pittore: “I miei nuovi dipinti hanno gli stessi obiettivi dei precedenti. Tutti hanno lo stesso scopo, ma gli ultimi lo fanno emergere in maniera più chiara”. Alla domanda su quale sia questo scopo, il pittore risponde: “Esprimere le relazioni plasticamente attraverso opposizioni di colore e linea”. E all’obiezione del cantante (“ma i tuoi lavori precedenti non rappresentavano la natura?”), il pittore replica dicendo: “Mi esprimevo attraverso i mezzi della natura. Ma se tu osservi attentamente la sequenza del mio lavoro, vedrai che ha progressivamente abbandonato l’apparenza naturale delle cose e ha gradualmente enfatizzato l’espressione plastica delle relazioni”.

Questi “mezzi della natura”, nel primo Mondrian, sono quelli che lo portano a raffigurare una realtà fenomenica declinata comunque secondo quelle pulsioni simboliste che caratterizzano la prima parte della sua carriera. Una riduzione del paesaggio che gli arrivava dai suoi contatti con l’art nouveau (e dal momento che Mondrian si concentrò soprattutto sul tema vegetale fin dagli albori della sua carriera, questa tendenza a razionalizzare il paesaggio non poteva che esser già connaturata alla sua arte) e che, tolte forse solo le primissime opere, già si apprezza in alcuni acquerelli eseguiti sul finire del secolo e oggi nella collezione del Kunstmuseum dell’Aia (l’istituto che, fino al settembre 2019, era noto come “Gemeentemuseum”), che ospita la più vasta raccolta al mondo di opere di Mondrian (incluse alcune sue opere precoci: varrà la pena citare almeno una Natura morta del 1891 per individuare un punto di partenza). Occorrono però pochi anni perché i paesaggi di Mondrian comincino a distaccarsi sempre più dal piano fenomenico per incontrare una più spiccata tendenza alla scansione geometrica che peraltro, intorno al 1905, si fonde con elementi espressionisti che lo avvicinano sorprendentemente a Munch: è quanto ci viene in mente se osserviamo un’immagine come il Bosco a Oele, opera del 1908. Una sorpresa, dal momento che Munch, a quella data, in Olanda era sconosciuto (il primo articolo dedicato al pittore norvegese sarebbe uscito, nei Paesi Bassi, soltanto tre anni più tardi). Questa vicinanza si deve alla similarità degl’intenti dei due artisti: anche Mondrian, in questo periodo, cercava di dar vita a una pittura capace di evocare un’atmosfera, una pittura quasi contemplativa, una pittura in cui forme e colori traducono uno stato.

All’epoca, Mondrian lavorava da tempo sulle vedute del fiume Gein: una di queste, Alberi sul Gein all’alba, del 1907-1908, è uno degli snodi fondamentali della sua arte. Qui, ha scritto lo storico dell’arte Serge Fauchereau, “è il quasi monocromo che colpisce l’osservatore, più che la struttura rigorosamente frontale: il cielo, la terra, il fiume, tutto è rosso, e anche la massa scura e forte degli alberi e la discreta luna non si sottraggono a questo rosso così invadente”. Con questo dipinto, l’arte di Mondrian ha compiuto uno scatto ulteriore: non più soltanto la struttura, ma anche la scelta dei colori ha abbandonato la sfera della percezione per abbracciare quella dell’intelletto e della soggettività. Carlo Ludovico Ragghianti, primo studioso italiano a sottoporre l’arte di Mondrian a un’analisi attenta e meticolosa, pose l’accento su diversi elementi che rendono questo dipinto uno dei capisaldi della pittura mondrianesca: la “ricerca sul rapporto tra verticali e orizzontali”, le “determinazioni dove ogni forma o massa elaborata non può e non vuole nascondere lo scheletro geometrico”, il “ritmo ordinatore della scacchiera” che è “anche qui trasparente”.

Piet Mondrian, Canestra con mele (novembre 1891; olio su tela, 49,5 x 72,8 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Canestra con mele (novembre 1891; olio su tela, 49,5 x 72,8 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)


Piet Mondrian, Foresta (1899; acquerello e gouache su carta, 45,5 x 57 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Foresta (1899; acquerello e gouache su carta, 45,5 x 57 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)


Piet Mondrian, Bosco a Oele (1908; olio su tela, 128 x 158 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Bosco a Oele (1908; olio su tela, 128 x 158 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)


Piet Mondrian, Alberi sul Gein all'alba (1907-1908; olio su tela, 79, x 92,5 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Alberi sul Gein all’alba (1907-1908; olio su tela, 79, x 92,5 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)

È tuttavia dalla serie dell’albero che si desume in maniera più tangibile il progressivo incedere di Mondrian verso il rigore geometrico, acquisito peraltro nel giro di poco tempo: tra i dipinti di carattere più percettivo e quelli in cui è invece l’astrazione geometrica a dominare il campo non passano neanche cinque anni. Punto d’avvio di questa ricerca può essere individuato ne L’albero rosso, opera del 1908 dipinta nella cittadina costiera di Domburg, raffigurante un grande melo che occupa tutta la composizione. La tendenza alla pura bidimensionalità è ormai un dato acquisito: non c’è profondità tra i rami del grande albero (che disegnano elaborati arabeschi producendosi in articolate evoluzioni che rimandano a certi esiti del primissimo Mondrian: è l’ultima volta che i rami di un albero di Mondrian si fanno così intricati) e il cielo blu della sera sul mare, né l’orizzonte appena accennato contribuisce a suggerire al riguardante la distanza tra i diversi piani. E ancora, Mondrian procede spedito nella sua strada verso la semplificazione cromatica, già ampiamente avviata negli Alberi sul Gein all’alba, e qui ancor più evidente. L’albero rosso sarà seguito a stretto giro da un’opera meno nota, L’albero blu, che raffigura la stessa pianta, ma con un grado d’astrazione ancor più elevato, dal momento che qui vengono meno anche le nodosità e la ruvidezza del tronco de L’albero rosso, e la figura del melo diventa una silhouette in contrasto col cielo.

Il 1911 rappresenta un anno fondamentale per l’artista di Amersfoort: è infatti l’anno in cui Mondrian visita per la prima volta Parigi: si ferma per qualche tempo, deciso a tornare (andrà infatti a viverci nel gennaio del 1912). Nella capitale francese, Mondrian entra a contatto con l’avanguardia dei cubisti, e in particolare con Pablo Picasso (Malaga, 1881 - Mougins, 1973), Georges Braque (Argenteuil, 1882 - Parigi, 1963) e Fernand Léger (Argentan, 1881 - Gif-sur-Yvette, 1955), tutti più giovani di lui d’una decina d’anni, ma in grado di suggerire a Mondrian una lezione fondamentale: la possibilità di adoperare le linee e i colori per arrivare all’essenza delle cose. Picasso e colleghi erano stati infatti i primi, sulla scorta dei risultati di Cézanne, ad adoperare elementi plastici puri (colori, linee, piani) per costruire i volumi. Attraverso il contatto con i cubisti, l’arte di Mondrian perse qualsiasi connotato espressionistico o soggettivo, ma restava comunque una barriera che rendeva l’olandese incompatibile con gli avanguardisti di Parigi: il fatto che i cubisti rimanessero infatti ancorati alla realtà, dalla quale, al contrario, Mondrian intendeva distaccarsi. L’incontro è comunque decisivo, e la prima opera che ne scaturisce è un’altra delle pietre miliari della carriera di Mondrian, L’albero grigio, eseguito nel breve lasso di tempo in cui Mondrian tornò in Olanda prima di trasferirsi definitivamente a Parigi nel 1912 (dove rimase per due anni e, a seguito di un’ulteriore parentesi olandese durata fino al 1919, Mondrian tornò a Parigi nel 1919 dove risiedette per diciannove anni, fino al 1938, prima dell’ultimo trasferimento, prima a Londra e poi a New York). In questo dipinto, il soggetto è ulteriormente ridotto alla sua essenzialità: ci sono ancora legami con la pittura della realtà, ma Mondrian comincia a recidere i legami in maniera netta. Ce ne accorgiamo anche perché, per la prima volta, c’è continuità tra l’albero e lo sfondo: i rami dell’albero, procedendo verso l’alto, sbiadiscono e dànno quasi l’impressione di confondersi con le nuvole, e all’aumentare dell’altezza la forma curvilinea dei rami cerca di assumere un andamento sempre più orizzontale, quasi che le sezioni di circonferenza debbano esser piegate per diventare rette (un risultato cui Mondrian sarebbe arrivato di lì a pochi anni, eliminando anche l’elemento curvo dalle sue composizioni).

L’ultimo passo verso la “svolta cubista” di Mondrian è il Melo in fiore del 1912: l’albero diventa qui insieme di forme geometriche e di piani che richiamano i varî frammenti di cui la pianta è composta. Il tronco è ancora l’elemento attorno al quale si dispongono tutte le parti dell’albero, ma assume una più evidente struttura geometrica, non riesce più a tenerle unite (rami e foglie si staccano: è un’ulteriore conquista verso un’arte capace di slegarsi dalla percezione) e diventa ancor più il fulcro centrale della composizione, caratterizzato dalla sua forma verticale sulla quale si innestano, anche se con maggior libertà, i rami e le foglie. Da non trascurare, inoltre, il fatto che il tronco acquisisca una cromia molto più terrosa rispetto a quella dell’Albero grigio: segno di una marcata vicinanza di Mondrian a Picasso, in questa fase. Due anni dopo, l’artista olandese avrebbe fornito una sorta di sunto per spiegare il percorso che l’aveva condotto sino a quel punto: “se per molto tempo si ha amato la superficie delle cose, alla fine si cercherà qualcosa di nuovo. L’interiorità delle cose si svela attraverso la superficie, quindi l’immagine si forma nelle nostre anime attraverso il modo in cui noi guardiamo la superficie. Questa è l’immagine che dovremmo rappresentare. Perché la superficie naturale delle cose è bellissima, ma la sua imitazione è priva di vita. L’arte sta più in alto della realtà e non ha un rapporto diretto con la realtà. Tra la sfera fisica e la sfera spirituale c’è una barriera dove i nostri sensi finiscono di funzionare. Lo spirituale penetra il reale”.

Piet Mondrian, Albero rosso (1909; olio su tela, 70 x 99 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Albero rosso (1909; olio su tela, 70 x 99 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)


Piet Mondrian, Albero blu (1909 circa; tempera su cartone, 75,5 x 99,5 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Albero blu (1909 circa; tempera su cartone, 75,5 x 99,5 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)


Piet Mondrian, Albero grigio (1911; olio su tela, 79,7 x 109,1 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Albero grigio (1911; olio su tela, 79,7 x 109,1 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)


Piet Mondrian, Melo in fiore (1912; olio su tela, 78,5 x 107,5 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Melo in fiore (1912; olio su tela, 78,5 x 107,5 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)

La tendenza a rettificare le curve procede con un dipinto come Composizione 3, dove la forma curvilinea di rami e foglie viene ancora ridotta in brevi segmenti che, soprattutto nella parte alta, assumono ormai un andamento retto, per poi scomparire definitivamente nella Composizione ovale con piani di colore 2: sono entrambi dipinti del 1914. Da notare come Mondrian introduca la forma dell’ovale, quasi voglia bilanciare la progressiva geometrizzazione degli elementi del dipinto e la loro riduzione in strutture verticali e orizzontali inscrivendo però il tutto in un ovale (una soluzione che comunque l’artista avrebbe lasciato di lì a poco). Un dipinto come Composizione in blu, grigio e rosa, realizzato anch’esso nel 2014, sancisce anche la rinuncia alle linee curve: rimane da superare l’elemento cromatico, ancora saldamente legato alla realtà che Mondrian vuole oltrepassare. Un ulteriore punto di svolta è dato dalla Composizione n. 10 (Molo e oceano), che Mondrian dipinge nel 1915, al ritorno in Olanda (l’artista aveva infatti lasciato la Francia allo scoppio della prima guerra mondiale). Qui, il paesaggio è ridotto a sintesi estrema: i moli, ispirati da quelli che l’artista vedeva a Domburg, sono semplici croci, e l’oceano altro non è che una distesa bianca, ancora ovale. Si tratta dell’opera più estrema dell’artista olandese a questo punto della sua carriera (anche se, curiosamente, il titolo ancora non risolve il legame della pittura con la realtà).

L’ultimo snodo importante sulla via del neoplasticismo è l’incontro, nel 1917, con un grande connazionale, Bart van der Leck (Utrecht, 1876 - Blaricum, 1958), con cui Mondrian fondò la rivista De Stijl e da cui mutuò l’utilizzo dei soli colori primarî nella composizione, che Van der Leck già da qualche tempo praticava, anche se in dipinti dove la componente figurativa era ancora dominante: l’artista di Utrecht era infatti giunto a un procedimento (lo chiamava doorbeelding, un termine che si potrebbe tradurre con “scomposizione”) attraverso il quale le sue figure venivano ai minimi termini (ovvero in tratti verticali, orizzontali oppure obliqui, di diverse dimensioni), pur conservando una disposizione organica e iconica, riconoscibile. Quello tra Mondrian e Van der Leck fu uno scambio alla pari: Mondrian fu affascinato dalle cromie di Van der Leck, e quest’ultimo era invece attratto dal mondo in cui Mondrian intendeva adoperare gli elementi plastici della pittura per giungere a composizioni astratte. Fu proprio grazie a Mondrian che Van der Leck prese a chiamare “composizioni” i suoi dipinti, e intraprese la via dell’astrazione.

Da parte di Mondrian, uno dei primi tentativi di ridurre anche la cromia a colori piatti e puri è la Composizione n. 3 con piani di colore del 1917, un tentativo di posizionamento di diverse aree di colore (anche se il pittore non è ancora giunto alla purezza dei colori primarî, preferendo delle tonalità più tenui), giustapposti secondo logiche di libera aggregazione. È la cifra che contraddistingue il Mondrian di questi anni: il passo successivo è la rigida regolamentazione delle aree di colore in forme geometriche, come avviene in Composizione con griglia 9: composizione a scacchiera dai colori vivaci, dipinto del 1919 che fa tesoro della lezione di Van der Leck, e che desta anche scalpore quando viene esposto per la prima volta ad Amsterdam nel 1920: addirittura, in una recensione apparsa su di un giornale olandese si poteva leggere che “la cosa più lontana dall’idea di pittura che abbiamo, è il dipinto di Piet Mondrian”. Yves-Alain Bois, uno dei massimi esperti di Mondrian, ha scritto che “la griglia modulare è puramente autoreferenziale, la sua configurazione mappa alla perfezione il campo in cui è iscritta: è un segno indicativo, simile a un’orma sulla sabbia. Ma si tratta comunque di un elemento statico (una griglia è una griglia): non c’è un equilibrio precario, non c’è l’atto del bilanciamento”. Per raggiungere una nuova tensione, occorreva dunque uscire dalla logica della griglia, cosa che avviene con Composizione con rosso, blu e giallo-verde del 1920, il passaggio ultimo prima di arrivare al 1921 di opere come Composizione con grande piano rosso, giallo, nero, grigio e blu che segnano l’inizio della fase della carriera di Mondrian più nota, quella del neoplasticismo compiuto che si esprime attraverso composizioni fatte di linee nere su campi bianchi che, con grande libertà compositiva, delineano aree che Mondrian riempie di colori primarî puri, o in alcuni casi lascia vuote, sempre cercando il giusto bilanciamento tra colore, bianco e nero.

Piet Mondrian, Composizione n. 3 (1913; olio su tela, 95 x 80 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Composizione n. 3 (1913; olio su tela, 95 x 80 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)


Piet Mondrian, Composizione ovale con piani di colore n. 2 (1914; olio su tela, 113 x 84,5 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Composizione ovale con piani di colore n. 2 (1914; olio su tela, 113 x 84,5 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)


Piet Mondrian, Composizione n. 10 (Molo e oceano) (1915; olio su tela, 85 x 108 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum)
Piet Mondrian, Composizione n. 10 (Molo e oceano) (1915; olio su tela, 85 x 108 cm; Otterlo, Kröller-Müller Museum)


Piet Mondrian, Composizione n. 3 con piani di colore (1917; olio su tela, 48 x 61 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Composizione n. 3 con piani di colore (1917; olio su tela, 48 x 61 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)


Piet Mondrian, Composizione con griglia 9: composizione a scacchiera dai colori vivaci (1919; olio su tela, 86 x 106 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Composizione con griglia 9: composizione a scacchiera dai colori vivaci (1919; olio su tela, 86 x 106 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)


Piet Mondrian, Composizione con rosso, nero, giallo, blu e grigio (1921; olio su tela, 80 x 50 cm; L'Aia, Kunstmuseum Den Haag)
Piet Mondrian, Piet Mondrian, Composizione con rosso, nero, giallo, blu e grigio (1921; olio su tela, 80 x 50 cm; L’Aia, Kunstmuseum Den Haag)

Con queste composizioni, Mondrian aveva raggiunto gli obiettivi che andava rincorrendo da tempo. Si possono premettere alcuni passaggi di un importante articolo, intitolato De nieuwe beelding in de schilderkunst (“La nuova immagine nella pittura”) che l’artista (che fu anche un fine e prolifico teorico, anche se spesso ripetitivo) pubblicò su De Stijl nel 1918: “la vita dell’uomo moderno e colto”, scriveva l’artista, “si sta gradualmente allontanando dal naturale: sta diventando sempre più astratta. [...] La vita dell’uomo veramente moderno non è focalizzata dal materiale né è dominata dal sentimento, ma si presenta come una vita più indipendente dello spirito umano che diventa cosciente. L’uomo moderno, un’unità di corpo, anima e spirito, dimostra una coscienza mutata: tutte le espressioni della vita assumono un aspetto diverso, e si tratta di un aspetto più astratto. Questo vale anche per l’arte: inizia a esprimersi come prodotto di una nuova dualità (ovvero come prodotto di un’esteriorità colta e di un’interiorità più profonda e consapevole), come pura immagine dello spirito umano, e si esprime secondo forme visuali puramente estetiche, in un aspetto astratto”. Quello che Mondrian intendeva dire era che l’arte, che fino ad allora era rimasta a suo avviso un modo d’esprimersi puramente descrittivo (e, di conseguenza, individuale), doveva cercare di cogliere l’universale, di avvicinarvisi il più possibile: “lo spirito nuovo”, avrebbe scritto in Le néo-plasticisme: principe général de l’équivalence plastique del 1920, “distrugge la forma delimitata nell’espressione estetica, e ricostruisce un’apparenza equivalente del soggettivo e dell’oggettivo, del contenuto e del contenente: una dualità equilibrata dell’universale e dell’individuale e con questa dualità nella pluralità crea il rapporto puramente estetico”.

E questa universalità si esprimeva in una ricerca di semplicità ed essenzialità, tema peraltro di grande attualità negli anni che immediatamente seguirono la prima guerra mondiale (si avverte il dramma del tempo nel momento in cui, sempre nello scritto del 1920, Mondrian afferma che “lo squilibrio è una maledizione per l’umanità”). Il neoplasticismo era la forma d’arte che rispondeva a questa esigenza, così detto in quanto intento di Mondrian era quello di rifondare l’espressione plastica: un’“espressione plastica pura” contro l’“espressione descrittiva”, per adoperare i termini della contrapposizione utilizzati dallo stesso artista. Un arte in bilico tra ordine e disordine, un’arte alla ricerca dell’equilibrio tra la dualità che costituisce il problema principale della pittura di Mondrian, e dove alle linee, ai colori, ai vuoti (che rimangono sempre elementi indipendenti nelle sue composizioni) è demandato il compito d’esprimere le diverse tensioni delle forze della vita.

Bibliografia di riferimento

  • Piet Mondrian, Tutti gli scritti, Mimesis, 2019
  • Hans Janssen, Piet Mondriaan: Een nieuwe kunst voor een ongekend leven, Hollands Diep, 2016
  • Leah Dickerman (a cura di), Inventing Abstaction, 1910-1925, catalogo della mostra (New York, Museum of Modern Art, dal 23 dicembre 2012 al 15 aprile 2013), Museum of Modern Art, 2012
  • Serge Fauchereau, Mondrian and the Neo-Plasticist Utopia, Rizzoli International, 1994
  • Tim Threlfall, Piet Mondrian: His Life’s Work and Evolution, Garland, 1988
  • Maria Grazia Ottolenghi, L’opera completa di Mondrian, Rizzoli, 1974
  • Alberto Busignani, Mondrian, Sadea, 1968
  • Carlo Ludovico Ragghianti, Mondrian e l’arte del XX secolo, Edizioni di Comunità, 1963


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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