Un racconto di marmo. Il pavimento del Duomo di Siena


Il pavimento del Duomo di Siena è una delle opere più straordinarie del Rinascimento: un vero racconto di marmo (ma non solo) che si dipana ai piedi di chi entra nella Cattedrale senese.

Entrando nel Duomo di Siena, dedicato alla Vergine Assunta, che con le sue forme gotiche si erge maestoso sull’acropoli della città toscana, lo sguardo deve essere indirizzato a trecentosessanta gradi, perché si possono osservare capolavori d’arte non soltanto intorno a noi, ma anche sotto ai piedi. Infatti nel cuore religioso di questa città si trova quello che Vasari definì “il più bello…grande e magnifico pavimento che mai fosse stato fatto”. Oggi alcune sezioni del pavimento del Duomo di Siena vengono svelate solo in alcuni periodi, mentre solitamente sono coperte per rendere la superficie calpestabile, permettendone una corretta conservazione. La sua realizzazione durò per sei secoli, dal XIV fino al XIX secolo, e vi lavorarono grandi nomi dell’arte senese, che fornirono i disegni. La principale tecnica che viene impiegata, insieme a quella del graffito, è quella del commesso marmoreo: il marmo (o pietre dure) di diverse tonalità viene tagliato ed accostato per realizzare la composizione.

Già sul sagrato della Cattedrale, in corrispondenza dei tre portali, si trovano le rappresentazioni di tre ordinazioni sacerdotali, frutto di un intervento ottocentesco, che hanno il compito di trainare verso l’ingresso del luogo sacro.

Accedendo attraverso il portale centrale, ci si imbatte nell’ammonizione “castissimum virginis templum caste memento ingredi” (“Ricordati di entrare castamente nel castissimo tempio della Vergine”). Il riquadro soprastante vede la rappresentazione del sapiente dell’antichità Ermete Mercurio Trismegisto, realizzata negli anni Ottanta del XVI secolo su disegno di Giovanni di Stefano (Siena, 1443 – 1506 circa), figlio di Stefano di Giovanni detto il Sassetta (Cortona?, 1400 circa – Siena, 1450). Questo personaggio antico, riscoperto in epoca rinascimentale, era colui che aveva consegnato le lettere e le leggi al popolo d’Egitto (così come inciso nel libro che regge tra le mani). L’iscrizione che accompagna questo riquadro, oltre a identificare Ermete Trismegisto, lo ricorda come contemporaneo di Mosè. Il riferimento letterario sono le Divine istituzioni di Lattanzio (III-IV secolo), nelle quali viene argomentato come Ermete, e altre figure dell’antichità quali Orfeo, le Sibille, Socrate e Platone, avrebbero intuito la Verità, ma senza raggiungerla. In quest’ottica, tra mondo antico pagano e mondo rivelato cristiano, vi sarebbe continuità, così come si può osservare sul pavimento del Duomo di Siena. Infatti, proseguendo lungo le navate laterali, si incontrano le rappresentazioni delle Sibille, figure profetiche femminili del mondo antico in cui la cultura cristiana riconobbe la rivelazione di Cristo e del suo messaggio di salvezza. Sono dieci (cinque per navata), così come fissate da Varrone (Rieti, 116 a.C. - Roma, 27 a.C.).

Il pavimento del Duomo di Siena. © Opera della Metropolitana di Siena
Il pavimento del Duomo di Siena. © Opera della Metropolitana di Siena


Il pavimento del Duomo di Siena. © Opera della Metropolitana di Siena
Il pavimento del Duomo di Siena. © Opera della Metropolitana di Siena


Il pavimento del Duomo di Siena. © Opera della Metropolitana di Siena
Il pavimento del Duomo di Siena. © Opera della Metropolitana di Siena


L'ammonizione
L’ammonizione


Giovanni Paciarelli, Pianta del pavimento del Duomo di Siena (1884)
Giovanni Paciarelli, Pianta del pavimento del Duomo di Siena (1884)


Veduta del Duomo di Siena
Veduta del Duomo di Siena

I loro nomi sono indicativi della loro provenienza geografica: la Persica, l’Ellespontica, l’Eritrea, la Frigia, la Samia e la Delfica rappresentano il territorio orientale e greco, la Libica proviene dall’Africa, la Cumea, la Cumana e la Tiburtina indicano l’Occidente (in particolare, l’Italia). Vennero realizzate da diversi artisti senesi tra il 1482 e il 1483. Ogni sibilla, lavorata in marmo bianco (tranne quella libica, per la cui carnagione ne venne impiegato una tipologia scura), è rappresentata su sfondo nero e appoggia su un piano color mattone. Ciascuna è corredata da due citazioni: una che consente la loro identificazione univoca, l’altra contente la loro profezia su Cristo. Anche i simboli che compaiono accanto a queste donne riguardano le loro rivelazioni. Entrando dal portale sulla destra della facciata, la prima sibilla raffigurata è quella Delfica, il cui disegno è attributo a Giovanni di Stefano o Antonio Federighi (Siena, 1420/25 - 1490) e rifatta a causa del deterioramento nel 1866-69. La sua profezia concerne alla natura divina di Cristo.

Successivamente si incontra la sibilla Cumea, presumibilmente riconducibile a Giovanni di Stefano: l’iscrizione che la accompagna rimanda alla resurrezione di Cristo. Sempre allo stesso artista è da attribuire la virgiliana sibilla Cumana, che profetizzò l’arrivo di Gesù. La quarta profetessa è quella Eritrea, disegnata dal Federighi (ma anche in questo caso bisogna segnalare successivi rifacimenti). L’iscrizione apposta sul suo libro riguarda la nascita di Cristo. Conclude la serie della navata destra la sibilla Persica, attribuita a Benvenuto di Giovanni (1436-1509): la sua profezia riguarda il miracolo dei pani e dei pesci. Entrando dalla porta sulla sinistra della facciata, la prima figura che si incontra è la sibilla Libica, attribuita a Guidoccio Cozzarelli (Sienam, 1450 – 1517) che profetizzò la flagellazione di Cristo. La figura seguente, la sibilla Ellespontica, rivela la paternità del disegno di Neroccio di Bartolomeo Landi (Siena, 1447 – 1500) e porta come vaticinio i momenti finali della passione e morte di Gesù. La sibilla Frigia è attribuita, anche se permane qualche incertezza, a Benvenuto di Giovanni (Siena, 1436 – 1509/1518): nel libro che regge, si allude all’unità della divinità mentre nell’iscrizione il riferimento è al giudizio finale. Concludono la serie la sibilla Samia, di Matteo di Giovanni (Borgo Sansepolcro, 1430 – Siena, 1495) e quella Tiburtina, messa in relazione con Benvenuto di Giovanni, portatrici rispettivamente dello scetticismo degli ebrei nel riconoscere il Cristo come messia e dell’annuncio della sua nascita.

Giovanni di Stefano, Ermete Trismegisto
Giovanni di Stefano, Ermete Trismegisto


Guidoccio Cozzarelli (attribuita), Sibilla libica. © Opera della Metropolitana di Siena
Guidoccio Cozzarelli (attribuita), Sibilla libica. © Opera della Metropolitana di Siena


Giovanni di Stefano, Sibilla cumea. © Opera della Metropolitana di Siena
Giovanni di Stefano, Sibilla cumea. © Opera della Metropolitana di Siena


Giovanni di Stefano, Sibilla cumana. © Opera della Metropolitana di Siena
Giovanni di Stefano, Sibilla cumana. © Opera della Metropolitana di Siena


Benvenuto di Giovanni, Sibilla tiburtina. © Opera della Metropolitana di Siena
Benvenuto di Giovanni, Sibilla tiburtina. © Opera della Metropolitana di Siena


Matteo di Giovanni, Sibilla samia. © Opera della Metropolitana di Siena
Matteo di Giovanni, Sibilla samia. © Opera della Metropolitana di Siena


Neroccio di Bartolomeo Landi, Sibilla ellespontica. © Opera della Metropolitana di Siena
Neroccio di Bartolomeo Landi, Sibilla ellespontica. © Opera della Metropolitana di Siena

Tornando nella navata centrale, nel riquadro successivo all’Ermete Trismegisto, è raffigurata la Lupa che allatta i gemelli. Nonostante l’iscrizione Sena, che induce a pensare che i due gemelli rappresentati siano Ascanio e Senio, leggendario fondatore della città, è stato osservato che la pianta di fico è associata piuttosto al mito di Romolo e Remo. Intorno, inseriti in altri cerchi più piccoli, sono rappresentati gli animali simbolo delle più importanti città del territorio toscano e del centro Italia: il cavallo (Arezzo), il leone (Firenze), la pantera (Lucca), la lepre (Pisa), l’unicorno (Viterbo), la cicogna (Perugia), l’elefante (Roma), l’oca (Orvieto). Agli angoli del riquadro, si trovano altri quattro animali: il leone con i gigli (Massa Marittima), l’aquila (Volterra), il drago (il drago), il grifone (Grosseto). Dal punto di vista della tecnica, questo è l’unico punto in cui venne utilizzata la tecnica del mosaico. L’attuale rappresentazione presente nel Duomo è del 1865, opera di Leopoldo Maccari, mentre alcuni frammenti della composizione originale risalente al 1372 sono conservati presso il vicino Museo dell’Opera del Duomo.

Nel riquadro successivo, anch’esso frutto di un rifacimento ottocentesco ma ideato intorno al 1373, si osserva la riproduzione di un grande rosone di cattedrale con al centro un’aquila imperiale, simbolo di continuità con Roma. L’aquila è inoltre un simbolo di Cristo risorto.

La quarta scena della fascia centrale è una delle più interessanti e note dell’intero ciclo: l’Allegoria del Monte della Sapienza, datata 1505. Fu commissionata a Bernardino di Betto Betti detto Pinturicchio (Perugia, 1452 circa – Siena, 1513), unico artista non senese ad essere coinvolto in quest’impresa, probabilmente in quanto già impegnato, sempre all’interno del duomo, anche nella decorazione della Libreria Piccolomini. Un gruppo di savi sta salendo verso la cima del colle, dove si trova la Sapienza, raffigurata con una palma e un libro nelle mani. I saggi sono arrivati fino a quell’isola condotti dalla Fortuna, rappresentata come una fanciulla nuda che regge con una mano una vela e con l’altra una cornucopia, mentre con un piede appoggia su una sfera e con l’altro su un’imbarcazione con l’albero maestro spezzato, trasmettendo una certa sensazione di instabilità. Ai lati della Sapienza si trovano Socrate, a cui viene offerta la palma, e Cratete, che svuota in mare un cesto di oggetti preziosi, rinunciando così alle cose effimere della vita, e a cui viene offerto un libro. La strada verso la Sapienza non è un percorso semplice, ma una volta raggiunta, ad attendere vi è la serenità, simboleggiata dall’altipiano.

Leopoldo Maccari, La lupa di Siena (1865)
Leopoldo Maccari, La lupa di Siena (1865)


Ignoto, L'Aquila imperiale
Ignoto, L’Aquila imperiale


Pinturicchio, Allegoria del colle della Sapienza
Pinturicchio, Allegoria del colle della Sapienza


Dettaglio della figura della Fortuna
Dettaglio della figura della Fortuna

La quinta e ultima sezione, prevede la rappresentazione della Ruota della Fortuna, simbolo delle vicende umane. Viene rappresentata con un re seduto in trono nella parte alta della ruota: alte tre figure sono appese alla stessa. Le quattro figure assumono il significato di Regno, Regnavi, Sum sine regno, Regnabo (derivato dai Carmina Burana) Agli angoli del riquadro all’interno di esagoni mistilinei sono inseriti Epitteto, Aristotele, Euripide e Seneca che recano dei cartigli con iscrizioni riguardanti la fortuna. È il risultato di un rifacimento ottocentesco a cura di Leopoldo Maccari su disegno di Luigi Mussini (Berlino, 1813 – Siena, 1888), mentre l’originale risale al 1373.

Nella zona del transetto non si trovano più raffigurazioni che traggono ispirazione dal mondo classico, ma si passa alle vicende del popolo ebraico e in alcuni casi vi si trovano riferimenti agli eventi della storia senese recente. Inoltre, le raffigurazioni si fanno più complesse, vere e proprie scene narrative.

Partendo dalla sezione inferiore del transetto sinistro, la prima scena è la Cacciata di Erode di Benvenuto di Giovanni, realizzata tra il 1483 e il 1485. La storia è raccontata nelle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio. La sconfitta di Erode Antipa per mano del suocero Areta, re d’Arabia, è vista come la punizione divina per l’uccisione del Battista, di cui Erode si era macchiato. Proseguendo verso l’alto si incontra la Strage degli Innocenti, raccontata nel Vangelo di Matteo: Erode il Grande, padre dell’omonimo del riquadro precedente, ordina di uccidere tutti i bambini con età inferiore ai due anni. Il compito di rappresentare quell’orrore fu affidato a Matteo di Giovanni e realizzato nel 1481 (la scena fu restaurata nel 1790). È una composizione estremamente concitata e con una forte carica drammatica. La scelta di questo soggetto è stata interpretata anche come un riferimento ad un episodio della storia contemporanea: la strage compiuta dai Turchi nel 1480 dopo aver conquistato Otranto, che turbò profondamente il mondo della cristianità. Di seguito, si incontra la Storia di Giuditta, l’eroina biblica che liberò la sua città e il suo popolo dall’assedio di Oloferne, tenendo salda la sua fede nel Signore. All’interno dello stesso riquadro vengono raffigurati diversi momenti della storia. Dopo vari nomi, oggi l’attribuzione è orientata su quello di Francesco di Giorgio Martini (Siena, 1439 –1501) e anche in questo caso fu restaurata nel 1790.

Leopoldo Maccari, La ruota della fortuna (1865)
Leopoldo Maccari, La ruota della fortuna (1865)


Benvenuto di Giovanni, La cacciata di Erode
Benvenuto di Giovanni, La cacciata di Erode


Matteo di Giovanni, Strage degli innocenti
Matteo di Giovanni, Strage degli innocenti


Francesco di Giorgio Martini, Storia di Giuditta
Francesco di Giorgio Martini, Storia di Giuditta

Avviandosi verso la zona del presbiterio, si incontrano le storie dedicate ai reggitori del popolo ebraico, accompagnate dalle figure delle virtù. Tra le figure di Salomone e Giosuè viene rappresentato l’episodio biblico di Giosuè che vince gli Amorrei, attribuita non senza problemi, dato lo stato di consunzione, al Sassetta. Nella zona immediatamente sotto l’altare maggiore, vi sono tre riquadri che riguardano Davide: Davide fromboliere, Davide salmista e infine Golia colpito. Intorno, si stende un fregio con fanciulli. Anche queste figure furono ritoccate nel 1777. Sulla destra, entro le due figure di Mosè e Giuda Maccabeo, si prosegue con la scena di Sansone abbatte i filistei con la mascella d’asino del Sassetta. Sansone, a causa della moglie, provocò la perdita del raccolto di grano dei filistei. I giudei, per paura, consegnarono Sansone ai nemici. Egli, appena li vide, fu pervaso dallo Spirito del Signore, si liberò e si scagliò contro di loro, in particolare li colpì con una mascella d’asino. Anche in questo caso Sansone, che combatte ispirato dal Signore, è visto come una prefigurazione di Cristo.

Attorno all’altare, all’interno di quattro tondi, vengono raffigurate le virtù cardinali: Fortezza, Giustizia, Prudenza e Temperanza insieme alla Misericordia.

Nella zona del transetto destro, se si escludono la Storia di Iefte e la Morte di Assalonne, non si trovano altre raffigurazioni bibliche. Davanti alla Cappella del Voto una particolare composizione di sei esagoni con una losanga al centro accoglie la raffigurazione delle Sette Età dell’Uomo (Infanzia, Fanciullezza, Adolescenza, Gioventù, Virilità, Vecchiaia, Decrepitezza). È un tema tipico ricorrente nella cultura medievale, collegato al numero sette che indica la perfezione cosmica. Anche se sono state interamente rifatte tra il 1869 e il 1878 da Leopoldo Maccari e Giuseppe Radicchi su cartone di Alessandro Franchi, l’ideazione è da ricondurre a Antonio Federighi intorno al 1475-1476 (si conservano alcuni frammenti nel museo dell’opera). Proseguendo verso la Cappella del Voto, si trovano le figure allegoriche della Religione e delle Virtù Teologali, eseguite nel 1789 e sostituite già nel 1870 con un intervento di Alessandro Franchi. Nella zona superiore, viene raffigurato L’imperatore Sigismondo III di Lussemburgo con i suoi ministri. Per questa scena venne pagato Domenico di Bartolo (Asciano, 1400 – Siena, 1445). È l’unico riquadro del pavimento a raffigurare un personaggio dell’età contemporanea. Egli soggiornò a Siena per 10 mesi tra il 1432 e il 1433. Secondo Friedrich Ohly, i senesi vollero inserire la figura di Sigismondo tra le lotte di liberazione dell’Antico Testamento sperando di poter ottenere il suo aiuto negli attuali scontri con Firenze. Proseguendo verso destra, si incontra l’episodio della Morte di Assalonne, realizzata da Pietro di Tommaso del Minella (Siena, 1391 – 1458) nel 1447. Assalonne era il figlio prediletto di David e godeva della simpatia del popolo. Per questo organizzò un complotto nei confronti del padre. David lo sconfisse nella foresta di Efraim. Il figlio tentò di fuggire, ma rimase impigliato con i capelli tra i rami di un albero e un generale di David lo colpì, contravvenendo alle indicazioni reali. L’episodio è messo in relazione con il tradimento di Giuda nei confronti di Gesù. Il successivo commesso marmoreo racconta la Storia di Iefte e l’ideazione è stata accostata ai nomi di Neroccio di Bartolomeo Landi e Francesco di Giorgio Martini. Alla guida dell’esercito nella battaglia tra Israele e gli Ammoniti, fece voto a Dio che avrebbe sacrificato la prima persona incontrata al rientro a casa, che si rivelò essere sua figlia. Iefte viene visto in parallelismo con Cristo: così come Iefte libera il suo popolo e sacrifica sua figlia, Cristo libera dal peccato sacrificando se stesso. Dal punto di vista compositivo, anche in questo caso sono raccontate diverse sequenze della storia all’interno dello stesso spazio.

Pietro di Tommaso del Minella, Morte di Assalonne
Pietro di Tommaso del Minella, Morte di Assalonne


Neroccio di Bartolomeo, Storia di Iefte
Neroccio di Bartolomeo, Storia di Iefte


Sassetta, Sansone abbatte i filistei
Sassetta, Sansone abbatte i filistei


Domenico di Niccolò dei Cori, Davide salmista
Domenico di Niccolò dei Cori, Davide salmista


Antonio Federighi, Le sette età dell'uomo
Antonio Federighi, Le sette età dell’uomo


Domenico Beccafumi, Patto tra Elia e Acab
Domenico Beccafumi, Patto tra Elia e Acab


Domenico Beccafumi, Mosè sul Sinai
Domenico Beccafumi, Mosè sul Sinai

Nella zona sotto alla cupola la raffigurazione è organizzata in esagoni che ne vanno a formare uno più grande. Questa sezione (e quelle a ridosso dell’altare maggiore) sono caratterizzate dall’intervento di uno degli artisti più importanti del Cinquecento senese, Domenico Beccafumi (Montaperti, 1486 – Siena, 1551). Beccafumi perfezionò a tal punto la tecnica del commesso marmoreo da realizzare inediti giochi chiaroscurali con le lastre di marmo. Nel grande esagono l’intervento beccafumiano riguarda la parte superiore e la sezione centrale, riconducibili agli anni 1519-1524, e non ha subito rifacimenti nei secoli. Vengono raccontate le Storie di Elia e Acab, nelle quali si assiste al trionfo del profeta sull’idolatria, con tema centrale quello del sacrificio. Ogni esagono è accompagnato da un’iscrizione, ma è stata riscontrata una leggera discrepanza tra quanto raffigurato e quanto scritto. Elia viene visto come Gesù, ma anche come Giovanni Battista. La zona inferiore, non toccata da Beccafumi, fu risistemata nell’Ottocento da Alessandro Franchi. Oltre alla precedente continuazione delle storie di Elia e di Acab, da ascrivere a Giovanni Battista Sozzini, erano raffigurate alcune parabole.

Il successivo intervento di Beccafumi è in perfetta continuità spaziale e temporale con quello precedente: egli fu chiamato a raffigurare l’episodio Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia, il cui cartone si trova presso la Pinacoteca Nazionale di Siena. La conformazione di questo riquadro lo rende quasi come una predella rispetto alla figurazione superiore, sempre opera di Beccafumi, in cui vengono rappresentate le Storie di Mosè sul monte Sinai. Infine, l’ultimo intervento di Beccafumi riguarda l’episodio del Sacrificio di Isacco, eseguito durante un periodo in cui l’artista senese era impegnato anche in lavori per il duomo. Questa storia è posizionata proprio davanti all’altare maggiore, lo spazio ecclesiastico dove, durante ogni celebrazione liturgica, si realizza il sacrificio di Cristo. È dunque immediata la comprensione della scelta di questa scena biblica in questa posizione: a ridosso dell’altare maggiore viene esaltato il tema del sacrificio, qui massimamente esaltato e rafforzato dalla presenza di altri sacrifici biblici, come quelli di Abele e Melchisedec. È il culmine e la conclusione dell’intero programma iconografico del pavimento. Dall’inizio della conoscenza umana, rappresentata da Ermete Trismegisto, si attraversano l’antichità classica, le storie del popolo ebraico, le vicende della storia della salvezza per giungere infine al sacrificio del Figlio di Dio, sempre evocato ma mai raffigurato, che libera gli uomini dal peccato originale.


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Francesca Interguglielmi

L'autrice di questo articolo: Francesca Interguglielmi

Storica dell'arte, laureata in Arte Medievale presso l'Università degli Studi di Siena. Attualmente si sta formando in didattica museale presso l'Università degli Studi Roma Tre.



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