Il Trasporto di Cristo al sepolcro. La complessa realizzazione di un capolavoro giovanile di Raffaello


La Deposizione Baglioni, capolavoro del giovane Raffaello Sanzio, è anche una delle sue opere più complesse: per chi fu realizzata? Quale è il suo significato? Da quali fonti deriva? Se ne parla in questo articolo.

Agli inizi del Cinquecento una nobildonna umbra, Atalanta Baglioni, si ritrovò coinvolta tanto in un sanguinoso episodio che ne distrusse la famiglia, segnando profondamente la storia della città di Perugia, quanto nella vicenda artistica che contribuì in modo decisivo all’affermazione del giovane Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 – Roma, 1520).

Nel luglio del 1500, infatti, il figlio di Atalanta, Federico Baglioni, detto “Grifonetto” dal nome del padre Grifone morto quando lui era bambino, prese parte a una congiura ai danni di alcuni membri della sua stessa famiglia, pagando in seguito questa scelta con la vita.

All’epoca, i prozii di Grifonetto per parte paterna, i fratelli Guido e Rodolfo Baglioni, erano a capo dell’oligarchia cittadina di Perugia, ed esercitavano, di fatto se non di diritto, il controllo della vita politica e civile. Stando alla cinquecentesca Cronaca della città di Perugia 1492-1503 fu proprio contro i due uomini e contro i loro figli che Carlo Baglioni detto “Bargiglia”, fratello di Guido e Rodolfo, con l’appoggio del duca di Camerino, Giulio Cesare Varano, ordì un complotto, al quale aderirono altri membri del suo casato tra i quali il giovanissimo Grifonetto. Tuttavia, uno dei figli di Guido, Giampaolo, riuscì a sottrarsi all’assalto dei congiurati, lasciò la città e vi fece ritorno il giorno successivo, con numerosi uomini al suo seguito, per vendicarsi. Fu così che, poco più che ventenne, morì Grifonetto.

Vasari nella sua Vita di Raffaello scrive che, anni dopo tali sanguinosi eventi, Atalanta commissionò al pittore una tavola raffigurante “un Cristo morto portato a sotterrare”. Si tratta, dunque, del Trasporto di Cristo al sepolcro, più noto come Deposizione Baglioni o Pala Baglioni, che è oggi custodito presso la Galleria Borghese di Roma.

Una delle più importanti conferme circa l’identità della persona da cui pervenne la commissione è costituita da una lettera scritta dal pittore marchigiano mentre si trovava a Firenze (sul recto di un foglio su cui è disegnata una Sacra Famiglia oggi conservato al Museo Wicar di Lille) e inviata al suo allievo e amico Domenico Alfani, che era a Perugia; con la missiva Sanzio chiedeva ad Alfani di sollecitare la nobildonna perugina a retribuirlo per un quadro.

Raffaello, Deposizione Borghese (1505-1507; olio su tavola, 174,5 x 178,5; Roma, Galleria Borghese)
Raffaello, Deposizione Borghese (1505-1507; olio su tavola, 174,5 x 178,5; Roma, Galleria Borghese)

Rimane aperta, invece, la questione del legame tra tale committenza e la tragica fine di Grifonetto. A partire dal XIX secolo e soprattutto grazie al contributo di Jacob Burckhardt che trattò della tavola nel suo Die Kultur der Renaissance in Italien, del 1860, guadagnò credibilità la tradizione secondo cui alla base della decisione di Atalanta di far realizzare la tavola al Sanzio, vi fosse il desiderio di commemorare il figlio ucciso. Si tratta di un’ipotesi che ottenne, negli anni, grandissima fortuna.

Konrad Oberhuber fu tra coloro che la accettarono, e nella sua monografia del 1986, propose di individuare nel gesto della Maddalena raffigurata nel Trasporto mentre stringe una mano di Cristo, un’allusione al dolore di Atalanta per la tragica perdita, anziché rintracciarla, come la gran parte degli altri studiosi, nello svenimento di Maria, la quale compare “sul fondo collocata troppo lontana per essere coinvolta in emozioni così squisitamente umane”, scrive Oberhuber.

Tuttavia Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese, in un suo saggio contenuto nel catalogo della mostra del 2006 da lei curata, Raffaello da Firenze a Roma, osserva che la lettura sostenuta da Burckhardt “si confaceva piuttosto al pathos romantico e letterario di gusto ottocentesco e poté forzare la realtà dei fatti, considerato che forse Grifonetto non fu neppure sepolto nella cappella”.

D’altronde la scelta del soggetto, un momento della Passione, era del tutto appropriata per una pala da porsi su un altare dedicato al Salvatore. Ma è allo stesso tempo innegabile, pur in assenza di riscontri, e pur sempre considerando che l’opera venne commissionata cinque anni dopo la morte di Grifonetto, che il tema del Trasporto sarebbe risultato assolutamente efficace come allusione al dolore di Atalanta, e che avrebbe funzionato perfettamente per un’opera commemorativa richiesta, appunto, da una madre che piange il figlio, soprattutto nello svolgimento che ne fece Raffaello. Già Vasari, infatti, lodando l’abilità del pittore nella rappresentazione verosimile delle emozioni, rimarca come l’artista nel dipingere l’opera fosse riuscito a immaginare ed elaborare “il dolore che hanno i più stretti ed amorevoli parenti nel riporre il corpo d’alcuna più cara persona, nella quale veramente consiste il bene, l’onore e l’utile di tutta una famiglia”.

Il corpo morente di Gesù compare in primo piano sulla tavola, circondato da cinque monumentali personaggi. La Maddalena giunge di corsa (lo si deduce dal movimento dei capelli) e stringe una mano del suo maestro ormai esanime; accanto alla donna, alla sua destra, compaiono san Giovanni e un uomo avanti con l’età non meglio identificato, forse Nicodemo o Giuseppe d’Arimatea, o forse san Pietro (a cui sono generalmente riservati i colori oro e verde qui impiegati per le vesti), che indirizza chiaramente lo sguardo verso lo spettatore. Alle due estremità della salma vediamo Nicodemo o Giuseppe d’Arimatea, da una parte, e un bellissimo giovane dall’altra, entrambi intenti al trasporto. Alla destra del dipinto, invece, tre donne sorreggono la Vergine che, sopraffatta dal dolore, sviene. Su di loro incombono le croci del monte Calvario, punto di partenza del corteo funebre, mentre a sinistra, in primo piano, uno dei due trasportatori ha già un piede poggiato sui gradini che conducono al sepolcro, il punto di arrivo, di cui si vede l’apertura d’ingresso. In profondità il dipinto si apre alla descrizione di un paesaggio collinare, dominato in alto a destra da quello che Alessandra Oddi Baglioni (e Coliva raccoglie questa suggestione) identifica come il castello di Antognolla, possedimento del casato Baglioni.

Dettaglio del gruppo di sinistra
Dettaglio del gruppo di sinistra


Dettaglio del giovane al centro, presunto ritratto di Grifonetto Baglioni
Dettaglio del giovane al centro, presunto ritratto di Grifonetto Baglioni


Dettaglio dello svenimento di Maria
Dettaglio dello svenimento di Maria

Dunque la composizione narrativa dell’evento è articolata in due poli, il trasporto della salma e lo svenimento di Maria, separati dalla presenza di uno dei trasportatori, il giovane, la cui bellezza fu comprensibilmente celebrata nell’Ottocento come una tra le più felici espressioni della rinata perfezione antica. Una tradizione tanto radicata e suggestiva quanto priva di concrete evidenze che la supportino identifica questo personaggio, che occupa una posizione preminente e per il quale in effetti non si è rintracciato alcun precedente iconografico in raffigurazioni di tale soggetto, con lo stesso Grifonetto Baglioni, di cui Raffaello avrebbe quindi eseguito un ritratto idealizzato. Afferma in merito Oberhuber che potrebbe trattarsi di un’interpretazione accettabile, se inserita, però, in una lettura complessiva più articolata della figura: “si è portati a cercare intuitivamente un significato più profondo; è come se in questa scena di morte Raffaello abbia sentito il bisogno di introdurre un simbolo di resurrezione e di vita futura: è l’anima dell’uomo che è salvata, con Grifone, dalla morte di Cristo”.

In ogni caso viene da sé che, qualora l’identificazione del misterioso personaggio con Grifonetto fosse provata, si rafforzerebbe in modo decisivo anche l’ipotesi per cui la tavola sarebbe stata esplicitamente richiesta da Atalanta con l’intenzione di celebrare la memoria del ragazzo ucciso.

Appena conclusa, l’opera fu posta nella cappella Baglioni, all’interno della chiesa di San Francesco al Prato a Perugia. In origine essa costituiva la parte centrale di un complesso pittorico, ed era accompagnata da una cimasa raffigurante L’Eterno tra gli angeli, da un fregio con Putti e Grifi, e da una predella con raffigurazione a monocromo di Virtù.

Tuttavia, un secolo più tardi il Trasporto o Deposizione attirò l’attenzione del potentissimo cardinal nepote, nonché famelico collezionista, Scipione Borghese, che con l’avallo dello zio, papa Paolo V, nel marzo del 1608 ne ordinò il trafugamento, facendola prelevare nottetempo dalla chiesa umbra perché fosse condotta a Roma nella sua villa. Tante furono le proteste dei perugini che il pontefice fu costretto a emanare, pochi giorni dopo, un motu proprio in virtù del quale Scipione riceveva ufficialmente l’opera in dono. Inoltre, per sedare definitivamente il malcontento popolare, i Borghese commissionarono, in seguito, delle copie dell’opera raffaellesca, una a Giovanni Lanfranco e l’altra a Giuseppe Cesari, più noto come Cavalier d’Arpino. Del primo dipinto non si hanno più notizie, tanto che non è inverosimile che Lanfranco non lo abbia mai realizzato e che quella stessa commissione sia passata successivamente al Cesari; del quadro che quest’ultimo eseguì, invece, sappiamo che fu collocato prima in San Francesco, poi nell’annesso oratorio di San Bernardino, nuovamente in San Francesco, e infine, nella seconda metà dell’Ottocento, trasferito presso l’attuale Galleria Nazionale dell’Umbria, dove ancora si trova. La medesima struttura museale oggi ospita anche la cimasa Baglioni, dai più attribuita a Domenico Alfani su disegno di Raffaello, senza che tuttavia si sappia con certezza se si tratti della cimasa originale o di un copia, e il fregio anch’esso di attribuzione incerta. La predella a grisaglia, che è invece riconosciuta al Sanzio, fu sottratta dall’esercito napoleonico nel 1797 e finì in Francia fino al 1816, quando venne restituita allo Stato della Chiesa e acquisita dai Musei Vaticani.

Perugia, chiesa di San Francesco al Prato. Ph. Credit Paolo Emilio
Perugia, chiesa di San Francesco al Prato. Ph. Credit Paolo Emilio


Cavalier d'Arpino, Trasporto di Cristo al sepolcro (1608; olio su tela, 176 x 175 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria)
Cavalier d’Arpino, Trasporto di Cristo al sepolcro (1608; olio su tela, 176 x 175 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria)


Domenico Alfani (attribuito), Eterno e angeli (olio su tavola, 64,5 x 72 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria)
Domenico Alfani (attribuito), Eterno e angeli (olio su tavola, 64,5 x 72 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria)


Raffaello Sanzio, Speranza, Carità, Fede, pannelli della predella Baglioni (1505-1507; olio su tavola, 16 x 44 cm; Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana)
Raffaello Sanzio, Speranza, Carità, Fede, pannelli della predella Baglioni (1505-1507; olio su tavola, 16 x 44 cm; Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana)

Ancora stando a Vasari, Atalanta a commissionò a Raffaello la Deposizione durante un soggiorno dell’artista a Perugia, dove era giunto da Firenze per lavorare all’affresco della Trinità in San Severo e alla Pala Ansidei, il che permette di datare l’inizio della storia del dipinto al 1505. Mentre per quanto riguarda il termine della lavorazione, la maggior parte degli storici dell’arte lo colloca a ridosso del 1507, riconoscendo sostanzialmente credito alla data che è leggibile nel quadro, insieme al nome del pittore, in basso a sinistra, accanto a un fiore di tarassaco.

Indubbiamente Raffaello lavorò molto alla composizione dell’opera, cambiando idea più volte: ce lo dicono i numerosi disegni preparatorî che ci sono giunti, oggi custoditi presso diversi musei nel mondo. Il confronto tra i varî studî grafici (almeno sedici), relativi all’intera scena o a determinati personaggi isolati, ha permesso agli storici dell’arte di ricostruire il processo creativo attraverso il quale l’artista pervenne da un’idea di partenza, quella di un Compianto, al più articolato e dinamico Trasporto che vediamo oggi.

Il corpo di Gesù giace abbandonato sulle ginocchia di Maria e della Maddalena, circondato da altri personaggi stanti, nei due disegni, uno al Louvre e uno all’Ashmolean Museum di Oxford, collocati all’inizio del percorso ideativo. Molti studiosi hanno osservato come la struttura generale di queste prime elaborazioni, in particolare di quella del Louvre, derivi con buone probabilità dalla Pietà eseguita dal Perugino (Pietro Vannucci; Città della Pieve, 1448 circa – Fontignano, 1523), maestro del Sanzio, nel 1495 per la chiesa del convento di Santa Chiara a Perugia.

Presso l’Ashmolean è conservato anche il disegno che documenta il momento in cui il pittore decise di introdurre il movimento: due personaggi, evidentemente maschili, sono raffigurati nel centro del foglio nell’atto di deporre a terra la salma, mentre le figure femminili qui spariscono (fatta eccezione per lo studio di testa femminile che si vede in alto accanto ad altre tre teste e a una mano). È la premessa dello sviluppo compositivo che porterà allo spostamento laterale di quasi tutte le donne, che saranno impiegate per la scena dello Spasimo, lo svenimento della Vergine. Anche se va sottolineato che uno dei tre personaggi femminili che oggi vediamo attorno a Maria, quello che la sostiene standole dietro, prenderà il suo attuale posto solo in prossimità della conclusione dell’opera. Un’analisi radiografica condotta sulla tavola nel 1995, infatti, ha mostrato che la figura era stata inizialmente realizzata nel mezzo della composizione, dove ora è un arbusto, per essere spostata solo in seguito, quando il dipinto doveva essere ormai pressoché terminato.

In un foglio del British Museum, evidentemente successivo, vediamo il corpo sollevato e trasportato da due figure maschili; la Vergine compare ormai sulla destra insieme ad altre donne, mentre la Maddalena è raffigurata tra gli uomini, a baciare una mano di Cristo. Il volto addolorato della santa si solleva definitivamente, volgendosi verso quello di Gesù, in un disegno quadrettato custodito nel Gabinetto dei Disegni degli Uffizi che mostra la disposizione definitiva dei personaggi protagonisti della scena centrale del dipinto (ma cambieranno le fisionomie e verrà spostata la donna di cui si è precedentemente detto che qui vediamo ancora dietro la Maddalena).

Perugino, Pietà (1495; olio su tavola, 220 x 195 cm; Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti)
Perugino, Pietà (1495; olio su tavola, 220 x 195 cm; Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti)


Raffaello, Studio per la Deposizione Baglioni (1505-1506; penna, inchiostro e carboncino su carta, 334 x 397 mm; Parigi, Louvre)
Raffaello, Studio per la Deposizione Baglioni (1505-1506; penna, inchiostro e carboncino su carta, 334 x 397 mm; Parigi, Louvre)


Raffaello Sanzio, Studio per la Deposizione Baglioni (1505-1506; penna, inchiostro e carboncino su carta; Oxford, Ashmolean Museum)
Raffaello Sanzio, Studio per la Deposizione Baglioni (1505-1506; penna, inchiostro e carboncino su carta; Oxford, Ashmolean Museum)


Raffaello Sanzio, Studio per la Deposizione Baglioni (1505-1506; penna, inchiostro e carboncino su carta, 230 x 319 mm; Londra, British Museum)
Raffaello Sanzio, Studio per la Deposizione Baglioni (1505-1506; penna, inchiostro e carboncino su carta, 230 x 319 mm; Londra, British Museum)


Raffaello Sanzio, Studio per la Deposizione Baglioni (1505-1506; penna e inchiostro, pietra nera?, quadrettatura a pietra rossa, a penna
e a stilo, puntinatura parziale, 290 x 297 mm; Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)
Raffaello Sanzio, Studio per la Deposizione Baglioni (1505-1506; penna e inchiostro, pietra nera?, quadrettatura a pietra rossa, a penna e a stilo, puntinatura parziale, 290 x 297 mm; Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)

Dunque il soggetto della tavola diventa un Trasporto al sepolcro, che diversamente dal tema scelto nella fase iniziale da Raffaello, un Compianto o Lamentazione sul corpo di Cristo, è di carattere narrativo, e non puramente contemplativo come dettava all’epoca la tradizione delle pale d’altare. In altre parole, qui il pittore urbinate scelse di raccontare una vicenda, alludendo al suo inizio (che possiamo collocare ai piedi della croce che vediamo in alto a destra) e alla sua conclusione (nel sepolcro di cui si scorgono i gradini), e per farlo mise in azione dei personaggi che esprimono emozioni, si muovono e interagiscono tra loro. Tutto ciò prese il posto di una rappresentazione tradizionalmente statica, pensata per fungere da spunto meditativo per il fedele.

La narrazione di episodî sacri, spesso scene della Passione, era solitamente riservata alle predelle, e tuttavia, come si è avuto modo di dire, nel caso dell’opera di cui si sta parlando, Raffaello decise di disattendere anche questo principio, decorando la predella con raffigurazioni di Virtù.

Se da un lato, quindi, la realizzazione del Trasporto comporta il superamento di una pratica radicata, dall’altro essa costituisce un momento di svolta nel contesto della carriera artistica del giovane pittore urbinate, trattandosi della sua più complessa composizione tra quelle seguite prima degli affreschi nelle Stanze Vaticane a Roma.

Tra le fonti iconografiche a cui l’artista guardò per costruire la nuova scena c’è un’opera pittorica molto nota di Michelangelo. Più o meno nello stesso periodo, Sanzio e Buonarroti eseguirono per la facoltosa famiglia fiorentina dei Doni tre opere importanti: i ritratti (non sappiamo se realizzati in occasione delle nozze o poco dopo) di Agnolo e di sua moglie Maddalena Strozzi, e il dipinto circolare su tavola raffigurante la Sacra Famiglia, più noto come Tondo Doni. In quest’ultima pittura michelangiolesca, che certamente Raffaello ebbe modo di vedere, dati i suoi rapporti professionali con i proprietarî, la Madonna è raffigurata con il busto in torsione, nell’atto di prendere in braccio il Bambino, che le viene affidato da San Giuseppe. La sua postura è molto simile a quella che successivamente Raffaello farà assumere nella Deposizione alla pia donna accovacciata, che si volta tentando di sostenere la Vergine svenuta dietro di lei.

E anche per quanto riguarda il nucleo figurativo principale della composizione, il trasporto vero e proprio, non si può escludere l’influenza di Michelangelo. È stato ipotizzato che Raffaello avesse avuto modo di viaggiare a Roma già prima del 1508 (quando vi fu chiamato dal Papa per affrescare le Stanze Vaticane), e in occasione di tale ipotetico soggiorno romano, l’artista potrebbe aver visto la celeberrima Pietà vaticana che Buonarroti aveva scolpito per il cardinal Jean de Bilhères, lasciandosi, forse, ispirare per la definizione del corpo morto di Cristo, e riprendendo la posizione di taglio del corpo, i piedi divaricati, e l’efficacissimo braccio abbandonato. D’altronde se anche Raffaello non avesse visto dal vero la scultura, non è improbabile che sia stato raggiunto da disegni che la riproducevano, cosa che potrebbe dirsi anche di altre opere romane.

Nell’Ottocento Herman Grimm nel suo Das laben Raphaels propose per primo un altro confronto molto interessante, quello tra il corteo funebre dipinto da Raffaello nella tavola Baglioni e il trasporto del corpo di Meleagro così come compare scolpito sulle casse di alcuni antichi sarcofagi romani, del tipo di quello custodito in Vaticano. Da questi esemplari il pittore potrebbe aver desunto il modo di disporre le figure in movimento intorno al corpo, la postura della salma e e, di nuovo, il “braccio della morte”. A partire da tale suggestione, l’ipotesi dell’individuazione in questo genere di manufatti, della principale fonte iconografica per il Cristo trasportato del dipinto raffaellesco ebbe grande seguito negli studi successivi.

In particolare, nel suo contributo al già menzionato catalogo curato da Coliva per la mostra del 2006, Salvatore Settis sottolinea come da un frammento di sarcofago dei Musei Capitolini, l’artista urbinate potrebbe aver tratto anche il gesto della Maddalena che stringe una mando di Gesù , gesto che nei marmi romani è compiuto dal pedagogo del defunto Meleagro.

Infine, un altro precedente importante va ricercato in un’incisione di Andrea Mantegna databile agli anni Settanta del Quattrocento (il fatto che Raffaello sia entrato effettivamente in contatto con la stampa è testimoniato da una disegno che la riproduce su due fogli del Libretto veneziano, una raccolta di studi e bozzetti oggi prevalentemente attribuita a uno stretto e anonimo collaboratore del Sanzio). Nell’incisione del Mantegna vediamo il sacro corpo adagiato su un lenzuolo per agevolarne il trasporto, mentre la struttura della scena prevede anch’essa la divisione in due nuclei, il trasporto e lo svenimento di Maria (anche qui collocato sotto le croci del Golgota), disposti alle due estremità. Interessante è anche la figura isolata del san Giovanni, che l’artista padovano ritrae con le mani giunte non lontano dalle pie donne. Il santo ha collocazione e atteggiamento molto simili nel disegno del Louvre realizzato da Raffaello all’inizio della sua progettazione per la Pala Baglioni, mentre ancora rifletteva sul tema del Compianto. Quando poi il pittore modificò la composizione in un Trasporto, il personaggio venne spostato sulla sinistra, dove lo vediamo oggi; mostra ancora le mani giunte e, nonostante occupi ormai una posizione marginale, la sua figura contribuisce efficacemente ad alimentare la tragicità e la solennità della scena, come rilevato già da Vasari: “incrocicchiate le mani, china la testa con una maniera da far comuovere qual è più duro animo a pietà”.

Michelangelo, Tondo Doni. Ph. Credit Finestre sull'Arte
Michelangelo, Tondo Doni (1506-1507; tempera grassa su tavola, diametro 120 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi). Ph. Credit Finestre sull’Arte
Michelangelo, Pietà (1497-1499; marmo di Carrara, 174 x 195 x 69 cm; Città del Vaticano, San Pietro)
Michelangelo, Pietà (1497-1499; marmo di Carrara, 174 x 195 x 69 cm; Città del Vaticano, San Pietro)


Arte romana, Frammento di sarcofago col trasporto del corpo di Meleagro (metà del II secolo d.C.; marmo lunense, 96,8 x 22,2 x 119,1 cm; New York, Metropolitan Museum)
Arte romana, Frammento di sarcofago col trasporto del corpo di Meleagro (metà del II secolo d.C.; marmo lunense, 96,8 x 22,2 x 119,1 cm; New York, Metropolitan Museum)


Raffaello, La morte di Meleagro (1507 circa; penna e inchiostro, punta di piombo, 271 x 332 mm; Oxford, The Ashmolean Museum)
Raffaello, La morte di Meleagro (1507 circa; penna e inchiostro, punta di piombo, 271 x 332 mm; Oxford, The Ashmolean Museum)


Andrea Mantegna, Deposizione di Cristo (anni Settanta del Quattrocento; incisione a bulino, 446 x 304 mm; Chiari, Pinacoteca Repossi)
Andrea Mantegna, Deposizione di Cristo (anni Settanta del Quattrocento; incisione a bulino, 446 x 304 mm; Chiari, Pinacoteca Repossi)

Charles M. Rosenberg in un articolo del 1986, Raphael and the Florentine Istoria, ricordava come, al momento della realizzazione del dipinto, Raffaello dovesse essersi trovato nella necessità di tenere in considerazione le aspettative di un pubblico numeroso. In primo luogo il suo lavoro avrebbe dovuto soddisfare la committente Atalanta Baglioni, con la quale indubbiamente aveva concordato il tema, anche se non sappiamo cosa fosse indicato nel contratto perché non ci è giunto. Ad ogni modo non è detto che la donna abbia avuto un ruolo nel passaggio dal Compianto al Trasporto, sebbene con buone probabilità ne fu informata per tempo, perché entrambi i soggetti indistintamente potevano funzionare benissimo sulla pala d’altare di una cappella di famiglia, ed eventualmente appagare il suo desiderio di commemorare il figlio.

L’opera poi avrebbe dovuto essere approvata dai monaci di San Francesco, anche se, considerando il potere dei Baglioni, i religiosi difficilmente avrebbero rifiutato di assecondarne la volontà. Ma soprattutto, osserva Rosenberg, nelle intenzioni del suo autore, il dipinto doveva convincere artisti e committenti fiorentini. Come si è detto, è generalmente accettato che il lavoro (ideazione ed esecuzione) risalga agli anni che vanno dal 1505 al 1507 o tutt’al più agli inizi del 1508; in questo lasso di anni l’artista fu spesso a Firenze, dove lavorò per diverse famiglie della ricca borghesia (i Taddei, i Doni, i Canigiani, i Dei) producendo prevalentemente ritratti o splendide Madonne.

Al 1504 risalirebbe la lettera di presentazione con cui Giovanna Feltrìa della Rovere avrebbe raccomandato il giovane Raffaello a Pier Soderini, gonfaloniere di Firenze; tuttavia l’autenticità del testo, di cui ci è giunta una trascrizione settecentesca, è considerata oggi dubbia da più studiosi.

Ad ogni modo Raffaello, che sicuramente già in precedenza era stato a Firenze, si trasferì più stabilmente nella città, sebbene continuando a spostarsi quando necessario, a partire proprio dall’anno a cui sarebbe da riferire la succitata lettera, come testimoniato dalla sua produzione pittorica e come riferito da Vasari.

Il biografo e pittore aretino ci dice che dopo aver eseguito lo Sposalizio della Vergine, Raffaello fu invitato a Siena dal Pinturicchio, il quale gli chiese di aiutarlo nella realizzazione degli affreschi della Libreria Piccolomini. Presto però il giovane urbinate, raggiunto dalle notizie di quanto Leonardo e Raffaello progettavano per la parete est della Sala del Gran Consiglio in Palazzo Vecchio a Firenze, avrebbe lasciato Siena per andare a vedere di persona. E una volta giunto “perché non gli piacque meno la città, che quell’opere le quali gli parvero divine, deliberò di abitare in essa per alcun tempo”. In ogni caso, aggiunge Vasari, l’artista a Firenze studiò con devozione tanto i nuovi quanto i vecchi capolavori, ma trovò anche il tempo lavorare al progetto del Trasporto, che, come già accennato, gli era stato commissionato nel 1505 durante un suo soggiorno a Perugia, città che poi aveva di nuovo lasciato per rientrare a Firenze.

Fu quindi sotto l’influenza di un contesto culturale ricco e in fermento come quello fiorentino, che Raffaello ideò la tavola Baglioni, orientandosi infine verso la raffigurazione di una scena articolata e dinamica, che gli consentisse di mettersi alla prova nella resa drammatica di movimenti e moti dell’animo, e di dimostrare la sua abilità narrativa alla competitiva comunità artistica fiorentina, e ai numerosi potenziali clienti.

Abbiamo detto che nel 1504 a Firenze Leonardo e Michelangelo stavano entrambi lavorando agli affreschi per Palazzo Vecchio, che avrebbero dovuto raffigurare rispettivamente la Battaglia di Anghiari e la Battaglia di Cascina, mai portati a termine. I progetti prevedevano il racconto visivo di due eventi bellici, messi in scena impiegando monumentali corpi in azione.

Sappiamo che il giovane pittore riuscì a soddisfare il suo desiderio di vedere dal vero i cartoni, poiché possediamo alcuni suoi disegni tratti proprio dai lavori dei maestri. Particolarmente interessante è un foglio, conservato presso l’Ashmolean di Oxford, sul quale vediamo un brano della Battaglia di Anghiari, accanto a due studi di teste maschili per l’affresco che avrebbe eseguito in San Severo a Perugia, una delle quali, la testa di uomo anziano, richiama evidentemente uno dei tipi caratteristici dei disegni di Leonardo.

Francesco Morandini detto il Poppi (?), Lotta per lo stendardo, copia della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci (1563?; olio su tavola, 83 x 144 cm; Firenze, Palazzo Vecchio, in deposito dalle Gallerie degli Uffizi)
Francesco Morandini detto il Poppi (?), Lotta per lo stendardo, copia della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci (1563?; olio su tavola, 83 x 144 cm; Firenze, Palazzo Vecchio, in deposito dalle Gallerie degli Uffizi)
Bastiano da Sangallo, Battaglia di Cascina, copia dal cartone di Michelangelo (1505-1506; olio su tavola, 77 x 130 cm; Norfolk, Holkham Hall)
Bastiano da Sangallo, Battaglia di Cascina, copia dal cartone di Michelangelo (1505-1506; olio su tavola, 77 x 130 cm; Norfolk, Holkham Hall)


Raffaello Sanzio, Schizzo della Battaglia di Anghiari (1503-1505 circa; disegno a punta d'argento, 211 x 274 mm; Oxford, Ashmolean Museum)
Raffaello Sanzio, Schizzo della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci (1503-1505 circa; disegno a punta d’argento, 211 x 274 mm; Oxford, Ashmolean Museum)

Molti degli studiosi che hanno trattato della Pala Baglioni si sono soffermati a rimarcare l’influenza che proprio i grandi progetti di Michelangelo e Leonardo per Palazzo Vecchio esercitarono sul giovane Sanzio, negli anni in cui era impegnato con il dipinto. Anche perché si deve considerare che nel 1506 entrambi gli artisti toscani abbandonarono l’impresa, e ciò potrebbe aver spinto Raffaello a ritenere possibile che l’incarico di terminare gli affreschi, o addirittura di ricominciarne la lavorazione daccapo, venisse affidato a lui. È possibile, quindi, ipotizzate che tale prospettiva abbia contribuito alla decisione di modificare in modo tanto radicale il suo progetto iniziale per la Pala Baglioni, attualizzandolo, rendendolo più adatto, come scrive Coliva, a “rispondere alle sfide aperte dai due sommi artisti”.

Infatti con una lettera inviata da Firenze il 27 aprile del 1508, Sanzio chiedeva allo zio Simone Ciarla di sollecitare il duca di Urbino, Francesco Maria della Rovere, a raccomandarlo (una seconda volta, se la missiva di Vittoria Feltrìa fosse autentica) presso Pier Soderini, al fine di fargli ottenere incarichi lavorativi di maggior peso rispetto a quelli svolti fino a quel momento.

È molto interessante la prossimità cronologica tra la stesura di questo messaggio per lo zio e la conclusione del Trasporto, nel cui successo, probabilmente, Raffaello riponeva grandi speranze, consapevole non solo di aver prodotto un’opera notevolmente innovativa, ma anche di aver compiuto un passo decisivo in direzione dei massimi raggiungimenti dell’arte pittorica del suo tempo.


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DIC-GEN-FEB 2019/2020
Finestre sull'Arte