La scoperta del Titulus Crucis e le reazioni nell'arte: Michelangelo e Signorelli


Nel 1492, la scoperta del Titulus Crucis, ovvero la reliquia che si considerava la vera iscrizione della croce di Gesù, suscitò scalpore ed entusiasmo. Ed ebbe riflessi nell'arte: i primi a reagire furono Michelangelo e Luca Signorelli.

La Basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma conserva un piccolo manufatto di gran valore per la devozione cattolica: è il Titulus Crucis, la tavoletta che secondo la tradizione fu affissa alla croce di Gesù in segno di scherno, e che lo identificava come il re dei Giudei. I Vangeli differiscono leggermente nel riportare le parole dell’iscrizione nota a tutti, dal momento che qualunque raffigurazione del crocifisso la riporta nella parte sommitale della croce: secondo i Vangeli sinottici, sopra il capo Gesù aveva scritto “Questi è Gesù, il re dei Giudei”, mentre secondo il Vangelo di Giovanni l’iscrizione riportava “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”, e soprattutto recava l’umiliante titolo onorifico in tre lingue (“Molti giudei”, si legge in Giovanni 19:20, “lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco”). Il Titulus Crucis di Santa Croce in Gerusalemme riporta esattamente la scritta indicata dal Vangelo di Giovanni nelle tre lingue. Occorre comunque fugare subito un dubbio: la reliquia conservata nella basilica romana non è un oggetto dell’epoca di Gesù Cristo, ma si tratta di un manufatto medievale. Nel 2002 fu infatti sottoposto alle analisi al carbonio 14 per stabilire l’età del legno di noce su cui è riportata la scritta, e gli esami indicarono una datazione al X-XI secolo dopo Cristo: il Titulus è dunque una contraffazione medievale, ma non è dato sapere se si tratti di un falso tout court oppure, come proposto da alcuni studiosi, di un’eventuale copia dell’originale perduto.

Gli uomini del Rinascimento non potevano però sapere con certezza che si trattasse di un oggetto prodotto mille anni dopo la crocifissione di Gesù, e di conseguenza la notizia del suo ritrovamento fu accolta con grande scalpore. Era il 27 gennaio del 1492 quando gli operai al lavoro nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, che all’epoca era oggetto di importanti lavori di ristrutturazione, rinvennero, dietro un mattone, uno scrigno in piombo, chiuso da tre sigilli di ceralacca, e sul quale si trovava scritto Ecce lignum crucis, “Ecco il legno della croce”. Dentro il cofanetto si trovava il Titulus Crucis. Il primo a riportare la notizia del ritrovamento dell’“arcula plumbea” che conservata il Titulus Crucis è un cronista del tempo, Leonardo di Sarzana (o Leonardo Sarzanese), che pochi giorni dopo, il 4 febbraio, scriveva una lettera in latino a un erudito suo corrispondente, Jacopo Gherardi detto “il Volaterrano” (la missiva è conservata alla Biblioteca Vaticana, in un codice, il Codice Vaticano 3912, che raccoglie un certo numero di lettere inviate al Volaterrano): “non c’è da dubitare, reverendo padre”, si legge nella lettera, “che questo pezzo di legno è una parte di quel sacratissimo legno al quale il nostro Salvatore fu appeso, fissato con i chiodi, e sono veramente i titoli del suo patibolo, dei quali testimoniano gli evangelisti”.

La tavoletta fu ritrovata dentro l’arco trionfale della basilica, sopra l’altare maggiore (“in arcu eminentioris partis desuper altare maius”, riferisce Leonardo di Sarzana), e riportava la scritta, frammentaria, in alto in ebraico (che è leggibile solo parzialmente), al centro in greco e nella terza riga in latino: le ultime due iscrizioni sono meglio leggibili, anche se, curiosamente, sono scritte da destra verso sinistra. Nella lettera successiva al Volaterrano, Leonardo di Sarzana affermava di aver informato il signore di Firenze, Lorenzo il Magnifico, del ritrovamento, e circa un mese dopo l’allora maestro delle cerimonie pontificie, Johannes Burckhard, nel suo diario annotava di aver decifrato la scritta che compariva sui tre sigilli che chiudevano lo scrigno, e che riportava il nome di “Gerardus cardinalis Sancte Crucis”, da identificare col cardinale bolognese Gerardo Caccianemici, che nel 1124 fu cardinale col titolo di Santa Croce in Gerusalemme e nel 1144 diventò papa col nome di Lucio II. Non sono noti i motivi per cui l’allora cardinale avrebbe sigillato il Titulus Crucis in una cassetta nascondendola in un’intercapedine della basilica: non si conserva alcun documento sulle circostanze che portarono all’inserimento del Titulus nello scrigno, né ci sono attestazioni della sua presenza a Roma prima della lettera di Leonardo di Sarzana. La tradizione credeva che il Titulus fosse stato ritrovato, assieme all’intera croce di Cristo, da sant’Elena, la madre dell’imperatore Costantino, nel quarto secolo, e che in un dato momento della storia avesse lasciato Gerusalemme per arrivare a Roma (dal momento che, dopo il VI secolo, non si hanno più notizie di pellegrini che la descrivono nei racconti dei loro viaggi in Terra Santa). Ma, come detto, non esistono documenti antecedenti il 1492.

Titulus Crucis (X-XI secolo; legno, 25 x 14 x 4 cm; Roma, Santa Croce in Gerusalemme)
Titulus Crucis (X-XI secolo; legno, 25 x 14 x 4 cm; Roma, Santa Croce in Gerusalemme)


La basilica di Santa Croce in Gerusalemme
La basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Ph. Credit

La notizia del ritrovamento ebbe importanti ripercussioni anche per l’arte. Naturalmente tutti gli artisti che avevano dipinto o scolpito il crocifisso non avevano mancato di decorare il braccio verticale della croce con l’iscrizione riportata dai Vangeli, ma dal 1492 pittori e scultori poterono confrontarsi con quello che era ritenuto il vero titolo della croce e produrre quindi opere che potevano esser considerate più verosimili, senza inventare di sana pianta l’iconografia del Titulus Crucis, che prima del 1492 veniva riportato per lo più con scritte in latino che ricalcavano le parole dei Vangeli o, com’è noto, con l’abbreviazione “INRI” (Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, “Gesù il nazareno re dei Giudei”). Non erano comunque mancati artisti che avevano seguito il Vangelo di Giovanni producendosi in un cartiglio trilingue: è il caso, per esempio, del Crocifisso di Santa Maria Novella di Giotto, o del Beato Angelico (Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro; Vicchio, 1395 circa - Roma, 1455), che lo incluse nella Crocifissione con i santi affrescata nell’antica sala capitolare del convento di San Marco a Firenze. Ma chi fu il primo artista a creare un’opera con il “vero” titolo della croce? Non lo sappiamo con certezza perché la cronologia è disputata in quanto si tratta di opere molto vicine nel tempo e di datazione incerta, ma il cerchio si restringe attorno a due artisti che all’epoca del rinvenimento lavoravano a Firenze: Luca Signorelli (Cortona, 1450 circa - 1523) e Michelangelo Buonarroti (Caprese, 1475 - Roma, 1564).

Michelangelo era un diciottenne molto promettente, che frequentava Lorenzo il Magnifico ed era uno dei giovani talenti che si esercitavano nel Giardino di san Marco: dopo la scomparsa del suo potente mecenate, l’artista si trasferì per qualche tempo nel convento di Santo Spirito a Firenze, dove si recò dietro raccomandazione dei Medici e dove fu ospite del priore, Niccolò di Lapo Bichiellini, che gli consentì di proseguire i suoi studî di anatomia esaminando i corpi di quanti morivano nell’ospedale del convento. Michelangelo, “a compiacenza del priore”, ovvero per ringraziarlo dell’ospitalità, scolpì per lui il crocifisso che oggi adorna la sagrestia fatta erigere proprio dal Magnifico. Il crocifisso ligneo risale all’incirca al 1493 ed è ritenuto la prima opera che riporta il Titulus Crucis dopo il ritrovamento, con tanto di scritte in greco e in latino rovesciate. “Chi tracciò la scritta del cartello trovato in Santo Spirito”, scriveva Parronchi già negli anni Sessanta, “non può averlo fatto se non conoscendo il Titulus Crucis rinvenuto in Santa Croce in Gerusalemme. E mi pare che questo sia già abbastanza per permettere di supporre che l’iscrizione della reliquia, conosciuta e apprezzata nella cerchia di Lorenzo, sia stata tenuta ben presente da Michelangelo quando, un anno circa dopo la morte del Magnifico, condotto a termine il perfetto studio anatomico del suo Crocifisso, egli lo donò, provvisto della croce e del cartello, al priore di Santo Spirito Niccolò Bicchiellini". Le ricognizioni e l’autenticazione del Titulus Crucis sono successive (in particolare solo nel 1496 papa Alessandro VI autenticò la reliquia come vero frammento della croce sulla quale era stato inchiodato Gesù), ma per gli artisti non era un problema: “si trattava”, spiega ancora Parronchi, “di una figurazione grafica di essa, non oggetto di culto in quanto tale, ed è quindi spiegabile che, anche su un piano di rappresentazione artistica, si preferisse riprodurre quella che si riteneva la scritta vera”. Per completezza sarà opportuno comunque rilevare che, benché Parronchi fosse concorde con l’autografia michelangiolesca del cartiglio sul crocifisso di Santo Spirito, riteneva, su basi principalmente stilistiche, che il vero crocifisso realizzato da Michelangelo per il priore fosse quello oggi conservato nell’oratorio di San Rocco a Massa, un’opera di pregevole qualità ma poco studiata, la cui paternità è tuttora in discussione e dove si nota un Titulus Crucis simile a quello del Crocifisso di Santo Spirito.

Il giovane Michelangelo potrebbe però essere stato preceduto da Signorelli, che inserisce il Titulus Crucis con la scritta trilingue in due opere, la Crocifissione degli Uffizi e lo Stendardo dello Spirito Santo conservato alla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino. Partendo da quest’ultima opera, si tratta di una tela risalente al 1494: lo sappiamo perché è stato rinvenuto l’atto notarile, datato giugno 1494, in cui un pittore di maioliche, Filippo Gueroli, fa da mediatore tra il pittore e la confraternita dello Spirito Santo di Urbino nel contratto in cui il sodalizio commissiona l’opera all’artista cortonese. Il gonfalone doveva riportare su di un lato la scena con la Discesa dello Spirito Santo e, sull’altro, la Crocifissione: l’artista eseguì puntualmente l’opera, che fu però separata nelle sue due parti probabilmente durante il Settecento. Quella che Signorelli inserisce nella sua Crocifissione è una riproduzione pressoché perfetta del Titulus Crucis ritrovato a Roma (contrariamente, dunque, a quanto aveva fatto Michelangelo, che nel Crocifisso di Santo Spirito aveva liberamente interpretato il titolo): la scritta in greco replica con esattezza quella del Titulus, mentre la scritta in ebraico fu ricostruita dato che nel legno di noce scoperto in Santa Croce in Gerusalemme era pressoché illeggibile, e lo stesso dicasi per quella in latino, che segue il Titulus fino a un certo punto, e poi viene fatta anch’essa oggetto di una ricostruzione ipotetica. Le parti leggibili (compresa la scritta in greco, che anch’essa si interrompe nel Titulus ma che, curiosamente, Signorelli non integra) vengono però riprodotte in maniera pedissequa. È dunque evidente che Signorelli conosceva molto bene il Titulus Crucis: il pittore di Cortona soggiornò più volte a Roma nel corso della sua carriera, ma mai nel periodo intercorso tra la scoperta della reliquia e la realizzazione del dipinto. Dunque è chiaro che a Firenze circolava un disegno che riproduceva il Titulus Crucis: un erudito vissuto nella prima metà dell’Ottocento, Leandro de Corrieris, in un suo libro del 1830 riporta la notizia secondo cui sarebbe stato lo stesso Leonardo di Sarzana a inviare a Lorenzo il Magnifico un’illustrazione del Titulus Crucis. Potrebbe essere stato questo il disegno visto da Signorelli e Michelangelo.

Beato Angelico, Crocifissione con santi (1441-1442; affresco, 550 x 950 cm; Firenze, Museo Nazionale di San Marco)
Beato Angelico, Crocifissione con santi (1441-1442; affresco, 550 x 950 cm; Firenze, Museo Nazionale di San Marco)


Il Titulus Crucis nella Crocifissione con santi del Beato Angelico
Il Titulus Crucis nella Crocifissione con santi del Beato Angelico


Michelangelo, Crocifisso di Santo Spirito (1493 circa; legno policromo, 139 x 135 cm; Firenze, Santo Spirito)
Michelangelo, Crocifisso di Santo Spirito (1493 circa; legno policromo, 139 x 135 cm; Firenze, Santo Spirito). Ph. Credit Francesco Bini


Il Titulus Crucis sul Crocifisso di Santo Spirito
Il Titulus Crucis sul Crocifisso di Santo Spirito


Il Crocifisso nella Sagrestia di Santo Spirito
Il Crocifisso nella Sagrestia di Santo Spirito


Michelangelo?, Crocifisso (fine XV-XVI secolo; legno; Massa, Oratorio di San Rocco). Ph. Credit Gianluca Matelli
Michelangelo?, Crocifisso (fine XV-XVI secolo; legno; Massa, Oratorio di San Rocco). Ph. Credit Gianluca Matelli


Luca Signorelli, Crocifissione (1494; olio su tela, 156 x 104 cm; Urbino, Galleria Nazionale delle Marche)
Luca Signorelli, Crocifissione (1494; olio su tela, 156 x 104 cm; Urbino, Galleria Nazionale delle Marche)


Il Titulus Crucis nello Stendardo dello Spirito Santo
Il Titulus Crucis nello Stendardo dello Spirito Santo


Luca Signorelli, Crocifissione con la Maddalena, nota anche come Crocifissione di Annalena (1490-1498 circa; olio su tela, 249 x 166 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi)
Luca Signorelli, Crocifissione con la Maddalena, nota anche come Crocifissione di Annalena (1490-1498 circa; olio su tela, 249 x 166 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi)

Non è pero lo stendardo di Urbino l’opera che contende il primato a Michelangelo, bensì la Crocifissione degli Uffizi, nota anche come Crocifissione di Annalena in quanto proveniente dal convento di San Vincenzo d’Annalena a Firenze. Qui, il Titulus Crucis non è fedele come quello che appare nella tela di Urbino (le scritte peraltro sono leggibili da sinistra verso destra), ma il cartiglio potrebbe comunque presupporre la conoscenza del frammento ritrovato a Roma nel 1492. Per questo dipinto sono state proposte le più svariate datazioni: un’ipotesi vuole l’opera commissionata direttamente da Annalena Malatesta, figlia di Galeotto Malatesta, signore di Rimini, e fondatrice del convento negli anni Cinquanta del Quattrocento, diversi anni dopo la morte del marito Baldaccio d’Anghiari, barbaramente assassinato a Palazzo Vecchio nel 1441 nel quadro di uno scontro tra fazioni politiche, e ritiratasi come terziaria domenicana in casa propria (che divenne il primo nucleo del monastero) a seguito della scomparsa del figlio Galeotto. Annalena Malatesta scomparve a settantadue anni d’età nel 1491, e avrebbe fatto quindi in tempo a commissionare la tela a Signorelli, verosimilmente attorno al 1490. Secondo un’altra ipotesi, formulata dallo studioso Laurence B. Kanter, l’opera sarebbe stata forse commissionata direttamente da Lorenzo il Magnifico: probabilmente, ipotizza Kanter, per commemorare Annalena Malatesta che era appena scomparsa. Entrambe le ipotesi sarebbero dunque compatibili con una datazione al 1490-1492. Altri invece hanno proposto, su base stilistica, di estenderne la datazione al 1498 circa, dal momento che il dipinto è paragonabile ad altre opere che Signorelli realizzò sul finire del secolo (la stessa Galleria degli Uffizi appone all’opera la cronologia 1490-1498).

Che il primo sia stato Michelangelo o Signorelli, si può comunque rilevare che, a partire dalla scoperta del Titulus Crucis, la prassi di appendere alle croci (scolpite o dipinte) la tavoletta con la scritta trilingue conobbe una maggior diffusione (anche nei secoli successivi: l’opera più famosa in tal senso è probabilmente il Crocifisso di Diego Velázquez, e Rubens addirittura, invece di una tavola, al suo celeberrimo Crocifisso del Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa appese un foglio di carta): non mancarono comunque artisti che optarono per l’acrostico tradizionale (sempre per rimanere al Seicento, i crocifissi più noti sono quelli di Guido Reni, che rimase fedele all’abbreviazione “INRI”). Ma è interessante notare come l’entusiasmo per quella scoperta del 1492 abbia subito trovato un immediato riflesso nelle opere degli artisti contemporanei.

Bibliografia di riferimento

  • Federica Papi, Claudio Parisi Presicce, Luca Signorelli e Roma. Oblio e riscoperte, catalogo della mostra (Roma, Musei Capitolini, dal 19 luglio al 3 novembre 2010), De Luca Editori d’Arte, 2019
  • Maria Laura Rigato, Il titolo della croce di Gesù. Confronto tra i vangeli e la tavoletta-reliquia della basilica Eleniana a Roma, Pontificia Università Gregoriana, 2005
  • Francesco Bella, Carlo Azzi, 14 C Dating of the “Titulus Crucis” in Radiocarbon, vol. 44, n. 3 (2002), pp. 685-689
  • Laurence B. Kanter, Giuseppina Testa, Tom Henry, Luca Signorelli, Rizzoli, 2001
  • Alessandro Parronchi, Opere giovanili di Michelangelo, Olschki, 1968

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