Sant’Andrea a Vercelli: primo luogo d’incontro tra romanico lombardo e gotico francese


La basilica di Sant'Andrea a Vercelli è una delle prime chiese gotiche d'Italia, nonché monumento simbolo di una città che fu tra le più floride del XIII secolo.

Scriveva Giulio Carlo Argan che Benedetto Antelami (Val d’Intelvi, 1150 circa – Parma, 1230) riuscì a riassorbire, nella chiesa abbaziale di Sant’Andrea a Vercelli, “tutta la cultura costruttiva romanica nella più sottile dottrina gotica”. Argan era convinto non solo che la lunetta del portale maggiore della basilica fosse da ascrivere alla sua mano, ma che addirittura Antelami fosse l’architetto di tutto il complesso: oggi sono scartate entrambe le ipotesi, ma è comunque un fatto che la cultura figurativa dell’artista che scolpì la Deposizione di Parma si fosse diffusa anche in zona, e la lunetta ne costituisce una prova evidente. I caratteri di questo gruppo scultoreo, che raffigura il Martirio di sant’Andrea, rimandano proprio alla Deposizione di Parma: al centro il santo in croce, ai lati una processione di personaggi (alla sua sinistra gli aguzzini che cominciano a legarlo alla croce, alla sua destra i fedeli), sopra, nella cornice, un angelo che arriva a portargli la corona del martirio e, tutt’intorno, decorazioni fitomorfe.

La lunetta è comunque il più evidente riflesso della cultura parmense che costituì uno dei tanti apporti dai quali nacque la basilica di Sant’Andrea che, se si fa eccezione per le precedenti chiese abbaziali di Fossanova e di Casamari, può esser riconosciuta come la prima chiesa gotica d’Italia nata fuori dallo stretto alveo della cultura cistercense (benché debitrice nei confronti di quest’ultima), e risultante dell’incrocio tra la già citata cultura parmense, quella d’Oltralpe, i modelli della tradizione romanica lombarda. Incontri che ci consentono di comprendere come la Vercelli del XIII secolo (la prima pietra della basilica fu posata il 19 febbraio del 1219, e risale al 1224 la consacrazione, anche se i lavori furono ultimati nel 1227) fosse un importante e apertissimo crocevia culturale, oltre che un centro economico di una certa rilevanza (non tutte le città del tempo potevano permettersi di erigere una chiesa così maestosa in così poco tempo: occorrevano risorse ingenti). Vercelli contava circa quindicimila abitanti al tempo, un numero ragguardevole per l’epoca, che la poneva nel rango delle grandi città: sede vescovile, centro di commerci importanti, tappa fondamentale dei cammini che univano l’Italia alla Germania (vi si fermavano spesso gli imperatori che oltrepassavano le Alpi e scendevano nella penisola), libero comune che controllava un vasto territorio tra le Alpi, il Po e la Sesia ricco di risorse naturali, città culturalmente avanzata dove sarebbe stata fondata la prima università del Piemonte e dove, nel 1243, il nuovo ordinamento comunale aboliva, per la prima volta in territorio italiano, la servitù della gleba. Tutte circostanze che favorirono lo sviluppo della città, all’epoca una delle più progredite d’Italia sotto tutti gli aspetti (sociale, economico, culturale).

La basilica di Sant'Andrea a Vercelli. Ph. Credit Diego Fracchetta
La basilica di Sant’Andrea a Vercelli. Ph. Credit Diego Fracchetta


La basilica vista di lato
La basilica vista di lato. Ph. Credit


La basilica di Sant'Andrea a Vercelli
La basilica di Sant’Andrea a Vercelli


I campanili di Sant'Andrea con lo sfondo delle Alpi
I campanili di Sant’Andrea con lo sfondo delle Alpi


Vercelli, la facciata di Sant'Andrea
Vercelli, la facciata di Sant’Andrea. Ph. Credit


La lunetta del portale maggiore col martirio di sant'Andrea. Ph. Credit Carlo Dell'Orto
La lunetta del portale maggiore col martirio di sant’Andrea. Ph. Credit Carlo Dell’Orto


La lunetta del portale sinistro con Guala Bicchieri che consegna il modello della chiesa a sant'Andrea. Ph. Credit Carlo Dell'Orto
La lunetta del portale sinistro con Guala Bicchieri che consegna il modello della chiesa a sant’Andrea. Ph. Credit Carlo Dell’Orto

La costruzione del tempio di Sant’Andrea è merito d’uno dei cittadini eminenti che emersero da questa realtà vitale e feconda, il cardinale Guala Bicchieri: proveniente da una famiglia vercellese, divenne porporato nel 1205 ed ebbe un cursus honorum significativo che lo portò a essere legato pontificio prima in Francia e poi, tra il 1216 e il 1218, in Inghilterra, peraltro in un periodo turbolento, nel mezzo della prima guerra baronale. In terra d’Albione, Guala Bicchieri si distinse per il suo operato (fu anche supervisore della Magna Charta), tanto da ottenere da re Enrico III il priorato dell’abbazia di Saint Andrew a Chesterton, poco più a nord di Cambridge: significava anche poter godere delle laute rendite che il complesso generava. Così, al suo ritorno a Vercelli il cardinale poté mettere a disposizione le risorse finanziarie per dare il via al cantiere.

Al momento non sappiamo chi sia l’architetto della basilica: la tradizione vorrebbe identificarlo con un certo Gian Domenico Brighintz o Brigwithe (esiste un necrologio del Quattrocento che celebra a memoria “Joannis Dominici Brigintii”), ma non ci sono prove che attestino che a questi si debba l’ideazione della chiesa. Non sappiamo neppure da dove provenissero le maestranze, ovvero non sappiamo se fossero lombarde o emiliane aggiornate sulla cultura d’Oltralpe, o se alla realizzazione dell’edificio parteciparono anche operai in arrivo dall’Inghilterra e dalla Francia, magari intercettati da Bicchieri durante il suo viaggio di ritorno a Vercelli. Sono elementi sui quali non abbiamo conoscenze certe.

Certo comunque è che l’architetto fosse una personalità aggiornata che lavorò, come anticipato, mescolando tendenze afferenti a realtà geografiche diverse. Lo si vede sin dalla facciata, costruita in pietra verde di Pralungo, in calcarenite del Monferrato e in serpentino della Valsolda, mentre i campanili che svettano sui due lati della facciata, e che si elevano terminando con monofore, bifore e trifore salendo verso l’alto e cuspidi piramidali a chiudere il tutto, si mostrano con i colori del cotto e dell’intonaco bianco. La facciata a capanna, i portali a tutto sesto, le loggette che decorano le due gallerie sovrapposte (Sant’Andrea è una delle poche chiese che ne è fornita: i due campanili laterali peraltro avevano soprattutto funzione pratica di accesso alle gallerie che funzione liturgica) e il grande rosone dalle dodici colonnine che si apre sopra al portale maggiore sono evidenti caratteri di derivazione romanica e in particolare lombardo-emiliana. Il cardinale Bicchieri viene celebrato in una delle due lunette dei portali laterali: lo vediamo inginocchiato mentre offre un modello della sua chiesa a sant’Andrea assiso in trono, con un’iscrizione in caratteri gotici che lo celebra (“Lux cleri patriaeque decus”, ovvero “Luce del clero e decoro della patria”: probabilmente fu apposta dopo la scomparsa del cardinale, avvenuta nel 1227). Nell’altra lunetta si osserva invece una semplice raggiera, più tarda rispetto alle altre due lunette.

Un primo elemento francese (in particolare d’area provenzale) è la forte strombatura dei portali, realizzati in pietra e marmo rosso: il colpo d’occhio cambia completamente se si aggira la facciata, ancora marcatamente romanica, e si ammira la fiancata della chiesa, dove il grigio della pietra lascia il campo al rosso del laterizio in cotto, e dove gli elementi di carattere romanico cedono al sistema di contrafforti e archi rampanti che richiama invece le chiese gotiche francesi. Da notare poi, sui lati, la galleria ad arcate che corre sopra ai contrafforti. All’incrocio tra il corpo principale e il transetto s’innalza invece un tiburio ottagonale, dove si ripete il motivo delle loggette, sormontate da archetti pensili, sul quale si eleva la torre campanaria, coi piani separati da cornici ad archetti pensili, caratterizzati dalle monofore e dalle bifore sui due piani, e dalla cuspide piramidale con curiosi pinnacoli che ne marcano ogni lato. È invece più tardo (risale agli inizi del XV secolo) il campanile che sorge a lato del transetto, e che con i suoi 65 metri è il più alto di Vercelli.

La basilica vista di lato
La basilica vista di lato. Ph. Credit


Il portale maggiore
Il portale maggiore. Ph. Credit


La basilica di Sant'Andrea a Vercelli. Ph. Credit Francesco Bini
La basilica di Sant’Andrea a Vercelli. Ph. Credit Francesco Bini


Il fianco destro della basilica
Il fianco destro della basilica. Ph. Credit


Il tiburio
Il tiburio. Ph. Credit

Le tre navate che scandiscono l’interno della basilica sono d’impronta chiaramente gotica: alte e slanciate, composte da sei campate e divise da grandi arcate a sesto acuto in cotto rette da slanciati pilastri a fascio polistili, con ampie volte costolonate, conducono verso il coro a cappelle che risente d’influssi cistercensi ma presenta anche motivi più arcaici. La navata destra riceve la luce dalle sei grandi monofore che si aprono sulle cappelle, mentre nella navata sinistra, chiusa esternamente dal chiostro, la luce arriva grazie agli oculi che s’aprono nella parte alta. Non sono molte le opere che ornano l’interno, che appare sobrio e spoglio: spiccano, in particolare, il sontuoso monumento funebre di Tommaso Gallo e gli stalli lignei del coro.

Tommaso Gallo fu l’abate che seguì, per conto del cardinale Bicchieri, l’edificazione dell’abbazia che sarebbe sorta al fianco della chiesa (non sappiamo però quanto sia stato esteso il suo contributo al progetto di Sant’Andrea). Il suo monumento funebre, della prima metà del Trecento, è uno straordinario incontro di pittura, scultura e architettura: si compone di un sarcofago inserito in una profonda nicchia cuspidata, decorata con statue e affreschi. Alle spalle del sarcofago si osserva la raffigurazione dello stesso Tommaso Gallo in cattedra assieme ai suoi scolari, mentre la cuspide presenta un affresco con l’immagine dell’incoronazione della Vergine accompagnata da angeli musicanti. Le sculture, più tarde, ornano il fronte del sarcofago: troviamo una Madonna col Bambino, con quest’ultimo che si muove verso l’abate, inginocchiato, che viene introdotto alla Madonna da sant’Andrea. Chiudono il gruppo santa Caterina d’Alessandria e lo Pseudo-Dionigi l’Aeropagita, importante teologo, autore del Corpus Dionysianum, del quale Tommaso Gallo commentò l’opera.

Gli stalli lignei del coro sono invece opera di un ebanista cremonese, Paolo Sacca, risalente al XVII secolo (i lavori cominciarono nel 1511). È interessante notare come tra le decorazioni degli stalli eseguite da Paolo Sacca si possa osservare anche una precisa raffigurazione della facciata di Sant’Andrea: occorre infatti sottolineare come la struttura e l’aspetto della chiesa si siano conservati sostanzialmente inalterati dal XIII secolo a oggi.

Interno della basilica di Sant'Andrea a Vercelli
Interno della basilica di Sant’Andrea a Vercelli. Ph. Credit


Interno della basilica di Sant'Andrea a Vercelli
Interno della basilica di Sant’Andrea a Vercelli. Ph. Credit


Il monumento funebre di Tommaso Gallo. Ph. Credit Francesco Bini
Il monumento funebre di Tommaso Gallo. Ph. Credit Francesco Bini


Il monumento funebre di Tommaso Gallo, l'Incoronazione della Vergine. Ph. Credit Francesco Bini
Il monumento funebre di Tommaso Gallo, l’Incoronazione della Vergine. Ph. Credit Francesco Bini


Il monumento funebre di Tommaso Gallo, le statue che ornano il fronte del sarcofago. Ph. Credit Francesco Bini
Il monumento funebre di Tommaso Gallo, le statue che ornano il fronte del sarcofago. Ph. Credit Francesco Bini


Il monumento funebre di Tommaso Gallo, Tommaso Gallo in cattedra. Ph. Credit Francesco Bini
Il monumento funebre di Tommaso Gallo, Tommaso Gallo in cattedra. Ph. Credit Francesco Bini


Il coro ligneo di Paolo Sacca. Ph. Credit Francesco Bini
Il coro ligneo di Paolo Sacca. Ph. Credit Francesco Bini


Coro ligneo di Paolo Sacca, la riproduzione della facciata della basilica
Coro ligneo di Paolo Sacca, la riproduzione della facciata della basilica. Ph. Credit

“La chiesa”, ha dichiarato il medievista Simone Caldano in un’intervista rilasciata nel 2019 in occasione dell’ottocentesimo compleanno della basilica, “è sostanzialmente intatta, non così il chiostro e le altre pertinenze anche se in buona parte restano comunque ben leggibili. L’unica cosa che in qualche modo potrebbe ‘compromettere’ la lettura dell’interno della chiesa, ma non più di tanto, sono le tinteggiature applicate tra il 1823 e il 1824 nel corso del restauro di Carlo Emanuele Arborio Mella, fatto a titolo gratuito. Era il padre di Edoardo (ben più famoso restauratore di edifici medievali piemontesi, nonostante non fosse molto stimato da alcuni suoi contemporanei, come Alfredo d’Andrade) e durante il suo restauro fu ritrovato, nell’intercapedine di un muro del coro, il grande cofano con smalti limosini, appartenente a Guala Bicchieri, che oggi si conserva a Torino, a Palazzo Madama. Nonostante questo intervento […] la chiesa è sostanzialmente ben leggibile e ci consente di capire molto bene la sua importanza nel panorama architettonico del tredicesimo secolo”.

Fulgido esempio d’incontro tra culture diverse, oggi la basilica di Sant’Andrea, coi suoi ottocento anni di storia, è considerata uno dei capisaldi dell’architettura gotica in Italia e uno dei più pregevoli edifici del nord Italia, nonché simbolo di uno dei periodi più floridi della storia di Vercelli.


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