La Maddalena di Antonio Canova: dalla velocità del pensiero all’eleganza formale


Conservata nel museo di Palazzo Bianco a Genova, la Maddalena penitente è un affascinante capolavoro giovanile di Canova, dal quale s'intuisce già l'estro del grande maestro.

“Ha riscritto le gerarchie tra il divino e l’umano come solo un “semidio della favola”, un eroe del tempo mitico avrebbe potuto fare”1. Così lo scrittore francese Stendhal, nella sua Vita di Napoleone (1817-1818), tratteggia la figura del padre nel Neoclassicismo italiano: Antonio Canova (Possagno, 1757 – Roma, 1822).

Canova, originario di Possagno, in provincia di Treviso, figlio e nipote di tagliapietre, crebbe in un ambiente in cui la gradina, il trapano e lo scalpello dovevano essergli strumenti decisamente familiari. Alla morte del padre, Antonio iniziò l’apprendistato presso la bottega del nonno paterno (“un valoroso tagliapietra per non dire anche Scultore”2) dove approfondì le conoscenze tecniche del mestiere. La sua formazione ebbe un ulteriore step quando, come garzone, venne “messo a bottega” presso Giuseppe Bernardi, membro di una tra le principali ditte scultoree della Serenissima.

L’iniziale formazione di Canova, quindi, potrebbe definirsi prettamente scultorea, lontana, pertanto, dallo studio e dalla pratica del disegno tipiche di quell’istruzione accademica che riceverà soltanto a partire dal 1770 presso Ca’ Farsetti (o Galleria Farsetti) a Venezia. Come vedremo, però, questi aspetti tecnici e formali, acquisiti in giovane età, plasmeranno l’indole artistica del Maestro, divenendo elementi di assoluta unicità all’interno della sua sterminata produzione artistica.

Il sapiente utilizzo dei mezzi tecnici e formali, infatti, unito all’iniziale realizzazione di schizzi e disegni di studio, lo porteranno a creare modelli prima in terracotta e infine in gesso (di dimensione naturale) che gli consentiranno, nell’ultima fase di produzione, di saper trattare alla perfezione il marmo.

L’aggiunta di un semplice passaggio, infatti, quale fu la realizzazione del bozzetto in terracotta, consentì all’artista (forte non di uno, bensì di due precedenti modelli) di trattare il marmo in modo quasi mnemonico e di poter porre, così, attenzione ad ogni singolo dettaglio espressivo, gestuale, tridimensionale e, soprattutto, alla resa delle superfici. Una lavorazione, dunque, meditata, razionale, fatta di precise “tappe”, che vedranno Canova coniare un nuovo, efficace (ed apprezzato) modus sculpendi. I bozzetti, inoltre, ci aiutano a capire come il Maestro indagasse il rapporto tra scultura e spazio circostante, quest’ultimo percepito come un’entità tangibile, concreta, “opprimente” che, vibrando intorno alle sculture modellate, le vivifica. Non è un caso, infatti, che i modelli in cera risultino “immagini veloci, infuocate, pensieri espressi con una franca immediatezza”3 (distante dall’elegante concezione neoclassica), in una parola: istintivi (fig. 1).

Quest’indagine è suffragata in modo ancor più eclatante da una vasta produzione di schizzi e disegni preparatori che caratterizzeranno gran parte dell’attività scultorea di Canova. Il disegno, infatti, è inteso dal Maestro come uno strumento in grado di comporre l’immagine in ogni suo aspetto (forma, contorni, chiaroscuro) e, pertanto, capace di riportare su carta quell’impulso e quelle emozioni che, inevitabilmente, ci vengono suscitate dalla percezione di ogni “cosa”, figura umana o oggetto che sia (figg. 2,3). Quest’aspetto, dunque, “non ha [più] i suoi presupposti nell’ortodossia classicista di Winckelmann […] ma nella cultura figurativa che siamo soliti definire preromantica, ancorata ai concetti di sublime ed eroico”4, che fermentavano negli ambienti culturali romani sul finire del Settecento5.

Gli schizzi e i disegni preparatori, dunque, ci rivelano in modo più approfondito e dettagliato la reale sensibilità artistica di Canova, permettendo di liberarlo dallo stucchevole e limitante ruolo di “artista […] incapsulato in uno stile superimposto come quello Neoclassico”6, nel quale i problemi formali erano semplicemente sfiorati.

Antonio Canova, Bozzetto per Amore e Psiche giacenti (1787; terracotta, altezza 25 cm; Venezia, Museo Correr)
1. Antonio Canova, Bozzetto per Amore e Psiche giacenti (1787; terracotta, altezza 25 cm; Venezia, Museo Correr)


Antonio Canova, Gladiatore borghese (matita, gessetto bianco, carta grezza ocra, 538 x 440 mm; Bassano del Grappa, Museo Civico)
2. Antonio Canova, Gladiatore borghese (matita, gessetto bianco, carta grezza ocra, 538 x 440 mm; Bassano del Grappa, Museo Civico)


Antonio Canova, Ercole furioso scaglia a terra Lica (1796; penna e matita su carta, 323 x 459 mm; Bassano del Grappa, Museo Civico)
3. Antonio Canova, Ercole furioso scaglia a terra Lica (1796; penna e matita su carta, 323 x 459 mm; Bassano del Grappa, Museo Civico)

Tutte queste innovative attenzioni, poste sia nel processo tecnico-esecutivo che nella resa plastica e materica delle figure, emergono con assoluta evidenza in una delle sculture più ammirate, desiderate e replicate7 dell’intera Europa: la Maddalena penitente di Genova(fig. 4).

La Maddalena, in seguito a numerosi e ancora oggi criptici passaggi di proprietà che la videro, per più di un secolo (1776 - 1889), girovagare per le più importanti città d’Europa (Roma, Milano, Parigi), senza un effettivo e stabile proprietario, 8 trovò, solamente alla soglia del Novecento, la sua definitiva collocazione a Genova, dove venne esposta nel 1892 “in occasione delle celebrazioni colombiane”9. A ciò va aggiunto che una dettagliata attenzione da parte della critica verso tale scultura arrivò, grazie a Franco Boggero, solamente nel 1980: ancora quarant’anni fa, infatti, l’opera di Canova era conservata “nei depositi di Palazzo Rosso a Genova”10. La Maddalena, commissionata ab origine per Tiberio Roberti (1749-1817), “amatore passionatissimo delle belle arti”11, e terminata come indicato dallo stesso Canova il 13 giungo 179512, venne esposta al grande pubblico per la prima vota nel 1808 al Salon di Parigi13.

La scultura suscitò un incredibile clamore, tanto che il direttore del Museo Imperiale affermò come “Noi statuari abbiamo ammirato la precisa lavorazione del marmo, la bella espressione della testa e l’abbandono commovente della posa”14. La forte sensualità della figura e il volto, sofferente e contratto per il lungo digiuno penitenziale, grazie alla raffinatissima tecnica esecutiva dettata dai precedenti studi bozzettistici in cera e gesso (fig. 5), sono portati ad un esito estremo, tanto da essere in grado di vivificare l’intima sofferenza della peccatrice.

Antonio Canova, Maddalena penitente (1793-1796; marmo e bronzo dorato, 95 x 70 x 77 cm; Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco, sale in Palazzo Tursi)
4. Antonio Canova, Maddalena penitente (1793-1796; marmo e bronzo dorato, 95 x 70 x 77 cm; Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco, sale in Palazzo Tursi)


Antonio Canova, Bozzetto per la Maddalena penitente (1793-1794; terracotta; Bassano del Grappa, Museo Civico)
5. Antonio Canova, Maddalena penitente (1793-1796; marmo e bronzo dorato, 95 x 70 x 77 cm; Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco, sale in Palazzo Tursi)


Antonio Canova, Maddalena penitente, dettaglio
6. Antonio Canova, Maddalena penitente, dettaglio

Sofferenza che è ancor più esplicitata (oltre che dal teschio, simbolo di Vanitas) dal volto della donna che, segnato da sottili e quasi impercettibili rivoli di lacrime, rimanda con la sua “alienazione” ad una dimensione ultraterrena: il perdono divino (fig. 6). La chioma, da cui alcune ciocche di capelli discendono lungo le spalle, lambisce i limiti della cadente e affastellata veste che accompagna, senza un’apparente soluzione di continuità, il placido abbandonarsi della donna.

L’idea di abbandono e sfinimento (dettati dalla redenzione della peccatrice) sono, inoltre, accentuati dalle estenuate braccia che, poste nell’atto di contemplazione, sembrano sostenere a fatica il precipitare del busto. La dolcezza e gli effetti chiaroscurali delle sue carni sono rese attraverso una “mistura di cera e zolfo” che, utilizzata per trattare la superficie marmorea (evidente nell’ingiallimento della scultura), consente di rendere in modo magistrale la naturalezza epidermica della donna (figg. 7,8). Questo escamotage, insieme alla croce bronzea nelle mani della Maddalena (unico elemento non marmoreo della scultura), può considerarsi un vero e proprio “espediente pittorico”15, derivante dall’attenzione che Canova (pittore, oltre che scultore) riservò al luminoso e plastico linguaggio di Correggio; di interesse per una futura analisi, potrebbe risultare la Maddalena del suo Noli me tangere (figg. 9,10).

Con la Maddalena (dalle fattezze sì neoclassiche della nobile semplicità e quieta grandezza winckelmaniana ma dalla potenza espressiva assolutamente protoromantica) “era sparita l’idea del marmo sotto lo scarpello [tanto che] pare vedervi la varietà delle tinte e le loro gradazioni, e l’ultima pelle, e la grassezza e la vita”16: l’idea di Bello.

Antonio Canova, Maddalena penitente, dettaglio
7. Antonio Canova, Maddalena penitente, dettaglio


Antonio Canova, Maddalena penitente, dettaglio
8. Antonio Canova, Maddalena penitente, dettaglio


Correggio, Noli me tangere (1525 circa; olio su tavola trasportato su tela, 130 x 103 cm; Madrid, Prado)
9. Correggio, Noli me tangere (1525 circa; olio su tavola trasportato su tela, 130 x 103 cm; Madrid, Prado)


Correggio, Noli me tangere, dettaglio
10. Correggio, Noli me tangere, dettaglio

Note

1 L. Mascilli Migliorini, Il tempo storico e il tempo mitico di Antonio Canova, in Canova l’invenzione della gloria: disegni, dipinti, sculture, Roma, 2016, pp. 27.

2 H. Honour, Dal bozzetto all’ <ultima mano>, in Antonio Canova, Venezia, 1992, p. 33.

3 A. Giuliano, Antonio Canova: appunti per una biografia critica, Canova l’invenzione della gloria: disegni, dipinti, sculture, Roma, 2016, p. 60.

4 F. Leone, Canova e l’avanguardia neoclassica romana, in Canova l’invenzione della gloria: disegni, dipinti, sculture, Roma, 2016, p. 47.

5 Gli stessi ambienti nei quali Canova, nel 1779, venne introdotto dai suoi protettori: il principe Abondio Rezzonico e l’ambasciatore veneto della Santa Sede Gerolamo Zulian.

6 Giuliano, 2016, p. 59.

7 Oltre alla Maddalena dell’Hermitage, si annoverano: Il gesso dei musei civici di Padova, quello delle Belle Arti di Carrara, di Brera, di Venezia, di Torino, di Bologna: cfr. G. Ericani, Maddalena penitente (1790 e 1809-10), in Canova l’invenzione della gloria: disegni, dipinti, sculture, Roma, 2016, p. 255.

8 Cfr. C. Di Fabio, La Maddalena di Canova: committenze e proprietari, virtuali e reali (1790-1806), in Canova l’invenzione della gloria: disegni, dipinti, sculture, Roma, 2016, pp. 281-290.

9 C. Olcese Spingardi, Tracce dell’influsso di Canova a Genova dal neoclassicismo all’eclettismo, in Canova l’invenzione della gloria: disegni, dipinti, sculture, Roma, 2016, p. 277 (nota 5).

10 F. Boggero, Una rilettura critica del Canova: la “Maddalena penitente”, in Arte lombarda, n.s., n. 55/56/57, 1980. p. 386.

11 Di Fabio, 2016, p. 282.

12 Ericani, 2016, p. 253.

13 La statua, in tale anno, venne acquistata dal suo penultimo proprietario, l’avvocato lombardo Giovanni Battista Sommariva e trasportata nella sua villa parigina: Di Fabio, 2016, p. 287.

14 Boggero, 1980, p. 390.

15 Boggero, 1980, p. 390.

16 Ericani, 2016, p. 254.


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Giorgio Dellacasa

L'autore di questo articolo: Giorgio Dellacasa

Storico dell'Arte e divulgatore scientifico. Ho 25 anni, sono nato a Genova e qui ho compiuto tutto il mio percorso di studio universitario, conseguendo la Laurea triennale in Conservazione dei Beni Culturali e la Laurea magistrale in Storia dell'Arte e Valorizzazione del patrimonio storico artistico. Attualmente ho conseguito l'accesso alla Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici di Genova.



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