Pessimismo e Ottimismo: lo scontro futurista tra due forze nel capolavoro di Giacomo Balla


Nel 1923 Giacomo Balla (Torino, 1871 - Roma, 1958) dipingeva l'opera che lui stesso considerava uno dei suoi massimi capolavori: Pessimismo e Ottimismo. Qui, l'artista riuscì a compendiare le sue ricerche dando forma allo scontro tra due forze che governano l'universo.

Al contrario di quanto si potrebbe pensare a tutta prima, non c’è un elaborato impianto filosofico alla base di Pessimismo e Ottimismo, il capolavoro cui Giacomo Balla dedicò almeno cinque anni di ricerche. C’è però un fermo intendimento: quello di dare una forma visibile all’invisibile, di far emergere, attraverso le linee e i colori, le forze che governano il mondo. “Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile”, scriveva assieme a Fortunato Depero nel manifesto Ricostruzione futurista dell’universo. “Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto”. E il fondamento intellettuale di questo proposito ha più a che fare con l’esoterismo che con la filosofia: la biografia di Balla scritta dalla figlia Elica non sottace la partecipazione del pittore alle riunioni del gruppo teosofico presieduto dal generale Carlo Ballatore, dove s’organizzavano pure sedute spiritiche. Balla era interessato ai fenomeni della psiche, c’informa la figlia: e probabilmente in queste occasioni ebbe modo di conoscere il libro Thought Forms di Annie Besant e Charles Leadbeater, esponenti di punta del movimento teosofico britannico.

Nel volume del 1901, Besant e Leadbeater partono da una constatazione: i pensieri sono cose reali, ma poche persone hanno una chiara idea di cosa siano i pensieri, apparentemente intraducibili in forme concrete poiché i pensieri non si manifestano nel mondo con un’apparenza tangibile. Per i due teosofi esiste però la possibilità di dare un’immagine ai pensieri, perché ogni pensiero “mette in movimento una serie di vibrazioni correlative nella materia del corpo mentale, accompagnata da un gioco di colori meraviglioso, come lo zampillo di una fontana illuminata dal sole, ma portato all’ennesimo grado di delicatezza e vivacità di colore”. Sono queste le “forme-pensiero” di cui il mondo è colmo, generate continuamente dagli esseri umani, e a ogni pensiero corrisponde non solo una forma, ma anche un colore. Ad esempio, il rosso è il colore della passione animalesca e del desiderio sensuale, il marrone chiaro e scuro appartengono rispettivamente all’avarizia e all’egoismo, il grigio pallido è il colore della paura, il rosa e il cremisi sono i toni dell’affetto, e il blu in tutte le sue nuance indica un sentimento religioso, devoto. E com’è lecito attendersi, a sentimenti combinati o sfumati corrispondono diverse gradazioni o misture di colore.

Giacomo Balla, Pessimismo e Ottimismo (1923; olio su tela, 115 x 176 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
Giacomo Balla, Pessimismo e Ottimismo (1923; olio su tela, 115 x 176 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, dono Elica e Luce Balla 1984)

“Forme-pensiero” è anche il termine che Balla adopera per riferirsi alle sue innovative composizioni. Ma c’è altro, in Pessimismo e Ottimismo, che rimanda al pensiero teosofico. L’idea spirituale che ne sta alla base, per esempio. Il desiderio di “entrare nel grande dominio dello stato d’animo plastico con delle nuove forme astratte equivalenti”, per riprendere una nota appuntata dall’artista nel 1914. E in un certo modo anche questa visione del mondo concepito come terreno di scontro tra forze che lottano le uno contro le altre: una visione che il pittore torinese già da alcuni anni, con le sue sperimentazioni, cercava di tradurre in pittura. La gestazione di Pessimismo e Ottimismo durò cinque anni: l’idea risale al 1918, quando l’artista aveva esposto alla Casa d’Arte Bragaglia un dipinto intitolato Forze pessimistiche e ottimistiche, di cui non abbiamo più notizia. Fino ad arrivare, attraverso diversi passaggi e diversi sviluppi (si rammenti, per esempio, un altro dipinto fondamentale come Scienza contro oscurantismo), al dipinto del 1923, oggi conservato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, ma poi variamente replicato, anche in forma grafica.

“Spesso Balla”, ha scritto Maurizio Fagiolo Dell’Arco, “ha rappresentato due forze contrapposte, anche in funzione didattica (un altro aspetto della sua pittura da non trascurare). Il positivo e il negativo, il sì e il no, il nero e il colore prendono forma definitiva in questo che Balla reputava uno dei punti d’arrivo del Futurismo”. Eccolo, dunque, il punto d’arrivo di anni di ricerche, ecco come l’artista era riuscito a dare compiutamente forma all’invisibile otto anni dopo aver tracciato il suo intento nel manifesto sottoscritto assieme a Depero. Le forze del pessimismo sono nere, cupe, fosche, appuntite, acuminate, taglienti, nette: sembrano quasi modellare la sagoma d’un cavaliere che sta sferrando un attacco in velocità. Quelle dell’ottimismo sono invece chiare, rassicuranti, morbide, votate all’azzurro e quindi al colore del mistico e dello spirituale, sono sinuose, serene, curve e aperte, e sembra stiano tutto sommato reggendo bene all’assalto, perché stanno avvolgendo, con rasoiate di luce chiara, le “forze pessimistiche”. Luce e movimento: i due cardini attorno ai quali ruota l’arte di Giacomo Balla.

Anche se alla fine probabilmente non è neppure la lotta in sé ciò che conta davvero: l’esito, del resto, secondo Balla è scontato, come fosse già scritto. Il nero del passatismo non potrà resistere a lungo al blu del nuovo, all’orizzonte del futurismo. “Dopo la guerra”, ebbe a scrivere Marinetti nel 1930, “appare finalmente, miracoloso per quanto atteso il capolavoro: Ottimismo e pessimismo. Tutti gli italiani che non hanno ancora penetrato le realizzazioni e le infinite possibilità della pittura possono utilmente osservare que funebre dentato e membranoso Pessimismo passatista che certamente sarà vinto dall’elastico trasparente cristallino ottimismo futurista”.

La lotta ci appassiona, ci emoziona, ci trattiene attoniti davanti al quadro, ci assorbe tra quello scontro di linee. Pessimismo e Ottimismo è un quadro dotato a sua volta d’una forza magnetica che cattura chi lo ammira. Il quadro vuole dar forma alle forze dell’universo, e ne produce a sua volta. Ma l’esito è quasi già stabilito: e dopo la lotta, quando il cosmo ritrova un equilibrio, quando la furia degli elementi che muovono le nostre azioni s’attenua lasciando il campo all’arte, ecco che appare il Balla innovatore. Pessimismo e Ottimsmo è il punto d’arrivo delle ricerche del Balla futurista perché questo scontro di forze è l’evoluzione delle sue compenetrazioni iridescenti, è movimento nello spazio, è sintesi di traiettorie che definiscono lo spostamento d’un corpo, secondo quelle linee di velocità che secondo Balla erano la base delle sue forme-pensiero. Lo stesso artista considerava Pessimismo e Ottimismo il suo capolavoro: “Buone gambe ci vogliono per sostenere la tua idea, per esempio Pessimismo e Ottimismo è tutto basato sull’equilibrio di stare in piedi, è tutto un equilibrio perfetto”, ebbe a scrivere nello stesso anno in cui dipinse il quadro. Ma è anche la fede nel futurismo a dare un’anima alla sua opera. È una fede, ha scritto la figlia Elica, “in quel futurismo che è andato per il mondo a portare una nuova luce, e in questo momento che gli altri si vanno disgregando crea il capolavoro futurista Pessimismo e Ottimismo risultato di osservazioni e considerazioni di ordine sociale, studi di movimento e plasticità in tempi tumultuosi di lotte e contrasti. Pessimismo e ottimismo: contrasto, lotta di due forze opposte e forze entrambe necessarie”.

Balla riesce non soltanto a entrare in quel “grande dominio” e a elevare la sua pittura su di un piano universale, ma riesce anche a distruggere il passato e a costruire il futuro, nel nome dell’ottimismo futurista. Non poteva essere diversamente per quell’artista che l’amico Depero ricordava “allegro, giocondo, ottimista all’inverosimile”.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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