La Natività di Brera. Un meditato dipinto del Correggio


La Natività del Correggio conservata alla Pinacoteca di Brera di Milano è una tavola giovanile, estremamente soppesata nella molteplice soggettualità, e capace di una tessitura pittorica ricca di stesure luminose e di innumerevoli passaggi particolari.

Lo stupore accompagna sempre chi voglia approfondire le proposte che il Correggio ci pone via via nel progresso giovanile della sua carriera, dove gli elementi di sorpresa sbocciano e impongono l’amplitudine straordinaria della sua cultura, la quale svela capacità complesse e scelte inaspettate. Se l’abate Lanzi affermava, agli inizi del secolo XIX che “di lui più che di altro pittore può sempre scriversi nuovamente”, l’intuizione di una ricchezza reale non ancora esplicata si sposa oggi con un aggettivo che Édouard Pommier in una corrispondenza di studio appone alla statura artistica dell’emiliano: “immense”! Consideriamo dunque con occhi nuovi un lavoro che solitamente non riceve molti commenti nelle monografie. Con vivi ringraziamenti alla Pinacoteca di Brera, a Letizia Lodi, Cesare Maiocchi, Oscar Riccò, Umberto Lodesani.

Antonio Allegri detto il Correggio (1489 -1534), Natività con Santa Elisabetta e San Giovannino (1510-1512; olio su tavola, 79 x 100 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Antonio Allegri detto il Correggio (1489 -1534), Natività con Santa Elisabetta e San Giovannino (1510-1512; olio su tavola, 79 x 100 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)

Una tavola giovanile, estremamente soppesata nella molteplice soggettualità, e capace di una tessitura pittorica ricca di stesure luminose e di innumerevoli passaggi particolari. Opera complessa, cardine di una veloce evoluzione giovanile e indice di una notevole maturazione spirituale e professionale. Della sua committenza e destinazione non vi sono notizie; viene citata nel 1633 presso la collezione Ludovisi a Roma, eppoi varie vicende la portano anche in Inghilterra; giunge a Brera nel 1913. Lo stato di conservazione è considerato buono ma non mancano abrasioni e screpolature. Le figure della scena sono: san Giuseppe dormiente, la Madonna inginocchiata presso il Bimbo Gesù steso a Terra, Santa Elisabetta che giunge dall’altro lato inginocchiandosi e mostrando al suo infante Giovannino il cuginetto appena nato; più arretrati due pastori ai quali un angelo accenna a come passare per avvicinarsi; due angioletti nudi in alto che reggono un lungo nastro; infine due guardiani lontani, lungo la proda. Lo sfondo è molto vasto e articolato, ritenuto il più ampio che il Correggio abbia dipinto rispetto alle figure.

Il soggetto del dipinto porta con sé un carattere che potremmo chiamare impreciso rispetto all’avvenimento solitamente dichiarato, ossia la Natività secondo i racconti evangelici, poiché nella notte santa la parente Elisabetta non avrebbe potuto trovarsi lì, alla stalla di Betlemme, col proprio figlioletto così piccolo. Per esteso motivo l’opera, nel suo complesso, si presenta come un assunto mistico dell’intera infanzia di Gesù preconizzandone gli avvenimenti e (in modo più ampio) il legame che Egli avrà con il cugino precursore, sino alla Missione redentrice per l’umanità intera. Solitamente il Correggio è molto preciso nell’attenersi agli eventi e nel porre scrupolosa attenzione alle sacre scritture. Qui il pittore ha esposto un quadro molteplice e molto raro sul tema dell’Incarnazione e della Redenzione che ci fa riflettere sulla sua intensa maturità teologica. Protagonista è il Cristo il quale, come dice san Bonaventura “stando in mezzo alla terra operò la salvezza”. È necessario sottolineare che, a differenza delle numerose rappresentazioni precedenti, tutte in piena luce, questa scena si svolge in una notte avanzata: ecco la fedeltà convinta del Correggio sugli eventi certificati, ed ecco una prima prova (assai vicina sperimentalmente alla piccola Giuditta di Strasburgo) di una vasta scena registrata sull’oscillare dell’oscurità. Una scelta che avvia la carriera del geniale pittore sulla dialettica effettuale luce-ombra, per giungere poi sino all’apice delle possibilità naturalistiche e delle nuove meraviglie nella maturità. In tutto il dipinto si possono infatti portare osservazioni minuziose su particolari immersi nella penombra ma reali e attentamente predisposti.

I vangeli dicono che il divino Bambino, all’atto della nascita, venne deposto in una mangiatoia (Luca 2, 6-19); essa veramente appare nella scena dipinta, sotto la tettoia a destra che ricovera l’asino, ma in questa versione correggesca vediamo Gesù per terra, segno veritiero di venuta del Verbo nel contesto umano e indice di una scelta precisa di povertà. Egli giace sopra uno spessore simbolico di spighe di grano ed è posato nel mezzo di un lenzuolo bianco a grande dimensione, ma assai raccolto, che giunge ad avvolgergli la testa, trinitariamente raggiata. Le spighe del frumento rimandano direttamente all’Eucarestia, al dono del suo Corpo, e il lenzuolo rimanda visibilmente al sudario del sepolcro. Vi è dunque qui richiamato l’intero afflato evangelico della Passione e della Resurrezione.

La Madonna, dal volto dolcissimo contempla il Bambinello tenendo la mano destra racchiusa nel mantello, e questo nascondimento ha suscitato a suo tempo la perplessità di Cecil Gould, ma il Correggio segue con pio e partecipato acume il limpido testo di san Luca, il quale scrive che Maria “serbava tutte queste cose nel suo cuore”: ecco che la mano velata sul cuore ci conferma che si tratta veramente di un evento colmo di mistero. Il san Giovannino appare attento e consapevole, quasi in atteggiamento dialogante con il cuginetto; la sua presenza per certo svela il ruolo biblico del Precursore, ma propone con forza l’ultimo atto dell’antica Alleanza ebraica che ora lascerà la guida alla nuova Alleanza universale: una totale palingenesi del tempo operata per noi dalla volontà divina. Infatti la figura di santa Elisabetta sta come un blocco scultoreo, raccolto e ombroso, significante la penombra dei secoli antichi che giungono al loro termine. Qui David Ekserdjian, insieme ad una serie di interessanti considerazioni, ha indicato giustamente una reminiscenza mantegnesca dell’Allegri, legato al suo maestro mantovano da una non lontana attenzione sul tema della senectus. Ma l’incontro fra le due madri e i loro pargoli è l’evidenza del dipinto, che contiene la realtà della sostanza scritturale.

Maria, Elisabetta, i Pastori, l'Angelo. Fulcro del dipinto ove i termini della proposizione sono dislocati compositivamente ad anello formando il nucleo teologico della Natività e della Redenzione.
Maria, Elisabetta, i Pastori, l’Angelo. Fulcro del dipinto ove i termini della proposizione sono dislocati compositivamente ad anello formando il nucleo teologico della Natività e della Redenzione.

Dobbiamo sottolineare come nel volto e nell’immagine di Maria (bellissima vergine che esce dal rifugio rustico e si porta fra i ruderi collabenti di un’antica domus maestosa, o di un monimentum imperiale romano) pare che il Correggio abbia colto l’invocazione dello Spirito nel Cantico dei Cantici, il quale invita con fremente intimità la desiderata: “... columba mea, in foraminibus petrae, in caverna maceriae ostende faciem tuam... ” (Ct 2, 13-14). Ecco la creazione mirabile del respirante viso di Maria rivolto al Bimbo: una vera meditazione dove il giovane Allegri si allontana da qualsiasi modello magistrale che l’abbia preceduto e si concentra in una forma d’amore. Tutta la figura di Maria è un capolavoro di equilibrio lineare e cromatico, preciso e armonico, imperniato sul rosso-umanità della veste di questa mamma che la luce dall’alto bagna sul viso e sulla mano premente.

Esattamente nello spazio fra le due madri che impersonano la consegna biblica si apre un secondo piano pregno di significato: accanto alla colonna eolica (che sarà poi di nuovo utilizzata dall’Allegri come segno della costanza della classicità nella storia) stanno due soli pastori ai quali un giovane angelo planando armonicamente addita il modo di entrare presso Gesù. Questa scelta ricorda il futuro mandato che Gesù darà ai suoi discepoli e testimoni (Lc, 10). La figura dell’angelo è singolare e dolcissima, fisica ma sospesa e inclinata. L’annotazione necessaria riguarda l’esiguo numero di testimoni chiamati per primi dai messaggeri celesti: il Correggio si esime attentamente dalle numerose presenze che troviamo sempre in altri dipinti di tradizione, giacché sceglie un colloquio intimo e sommesso fra l’angelo e i cuori umani dei due pastori: dum medium silentium tenet omnia. In questo modo anche noi riguardanti possiamo partecipare all’insegnamento dell’angelo che segna il passaggio, ossia il cancelletto aperto di un esiguo recinto, che è spiritualmente la facile via per arrivare al Cristo. L’inventio allegriana del cancelletto (che nessun vangelo cita) ricorda che nell’antichità ebraica l’avvicinamento a Dio poteva avvenire soltanto una volta all’anno e solamente per il Gran Sacerdote, che doveva attraversare nella Pasqua il velo del Tempio ed entrare nel Sancta Sanctorum presso l’Arca dell’alleanza; il Correggio pone invece uno scorrevole passaggio che permette agli umili, agli ultimi, un avvicinamento che sarà totale nella storia cristiana. Davvero bella la loquela digitorum della creatura celeste, alla quale risponde analogicamente il pastore anziano, e qui il Correggio è certamente mèmore del Leonardo della Vergine delle Rocce: l’angelo segna il Salvatore con l’indice della mano destra, e l’uomo (che nella società ebraica era il respinto) imita medesimamente il gesto col dito medio, che è segno di virtù convinta. Un’invenzione figurativa intenzionale, soppesata, simbolica e nuova, dovuta ad una cultura quantomai profonda e certamente memore della prosodia spirituale-simbolica del fondamento bizantino e medievale, laddove ogni personaggio ed ogni gesto sono pregni di eternità.

I due angioletti in volo. Un primo felicissimo esercizio del Correggio su corpi volanti, uno stigma gaudioso che prelude alle famose glorie correggesche. Uno studio pungente sulle realtà infantili, così amate e inseguite.
I due angioletti in volo. Un primo felicissimo esercizio del Correggio su corpi volanti, uno stigma gaudioso che prelude alle famose glorie correggesche. Uno studio pungente sulle realtà infantili, così amate e inseguite.

I due angioletti guizzanti con le ali appuntite danzano sopra Maria e Giuseppe; essi paiono assicurarci che la piccola creatura dormiente sul telo bianco proviene realmente dal cielo, ed è di natura divina, come pure confermano quei raggi dorati nella loro irrealtà naturale, ma precisa e soave, che il Bernini certamente osservò. Cecil Gould dice che i raggi scendono dalla stella che accompagna sempre la Natività (qui fuori dal quadro), ed ecco pertanto la luce soffusa che irrora Maria e gli altri personaggi al declinare di questa santa notte che si muore. Dobbiamo soffermarci sui due angioletti; essi sono tra i primi nudi che nella pittura del rinascimento appaiono sospesi nello spazio come corpi reali, plastici, rotanti liberamente in un aperto invaso fisico e variati nelle loro attitudini mimiche di autentici fanciulli: prova precoce, studiatissima e amata, di movenze assolte dalla legge di gravità. Una primizia che il Correggio qui deliba con arte svincolata ma ricca di studi acuti sui bimbi: osservazioni veloci, captanti, perseguite e risolte con beatitudine nelle ombrose aure del loco. Anche in tale risoluzione questo dipinto è cruciale e innovativo.

La tavola in bianco e nero, da vecchia ripresa. Un totale della Natività fissata in bianco-e-nero su lastra fotografica del primo novecento. Vi si coglie la clarità estensiva generale, l'estremo nitore disegnativo del Correggio, la studiata complessità compositiva. Qui sono importanti la figura e il ruolo di San Giuseppe.
La tavola in bianco e nero, da vecchia ripresa. Un totale della Natività fissata in bianco-e-nero su lastra fotografica del primo novecento. Vi si coglie la clarità estensiva generale, l’estremo nitore disegnativo del Correggio, la studiata complessità compositiva. Qui sono importanti la figura e il ruolo di San Giuseppe.

San Giuseppe dorme sulla sella, strumento di viaggio che l’accompagnerà un’altra volta nei dipinti allegriani; a prima vista risulta strano che egli non si accorga della presenza dei due ospiti e non li riceva come si conviene, tanto più che la nascita del Bambino è avvenuta tra incresciose difficoltà e che Maria doveva essere aiutata in tutto. Ma proprio questo è il punto che spalanca l’intera valenza del dipinto ad un significato mistico grandioso. L’atteggiamento di Giuseppe ricorre soprattutto quando si vuole indicare che egli sta sognando. Nei Vangeli egli è colui che riceve nel sogno i comandi di Dio: dopo l’Annunciazione “prendi Maria come tua sposa; Colui che nascerà viene dallo Spirito Santo” (Mt 1, 18-23) e dopo la visita dei Magi “presto, prendi con te il bambino e sua madre, e fuggi in Egitto” (Mt 2, 13-14).

Il Correggio in questa tavola che è dunque insufficiente chiamare “Natività” ostende l’intera prima parte del disegno divino dell’Incarnazione. Il dipinto comprende come sia già stato emanato l’ordine di Erode di uccidere i bambini. I due soldati sulla proda sono posti a guardia del passaggio sul confine, il cielo si svaria in nugole pesanti oltre l’oscura montagna che ricorda la dantesca Pietra di Bismantova; laggiù si distende il mare (l’unica volta che il Correggio dipinge il mare), e al di là tremula il profilo dell’immaginaria città del Faraone. Ecco la totalità della cruda vicenda del giungere il figlio di Dio nella dimora degli uomini: la povertà, l’incontro con gli umili, la consegna della parola al Precursore, il pericolo di morte, l’esilio in terra straniera. Una sintesi evangelica-teologica che ha impegnato volonterosamente il giovane pittore di Lombardia, il quale aveva già visitato Padova e Venezia, e conosciuto il limpido specchio lagunare. Nella sua concezione figurativa l’Allegri supera di gran lunga gli schemi ancora vigenti nel primo decennio del Cinquecento e assegna all’arte pittorica la libertà di essere altamente compendiaria, di raccogliere vaste paràfrasi esplicative.

Gli alberi agitati dal vento, i due guardiani, il mare che divide Israele dall'Egitto
Gli alberi agitati dal vento, i due guardiani, il mare che divide Israele dall’Egitto

Anche sul piano esecutivo qui il Correggio si evolve: dal fulcro di Gesù Bambino egli assegna almeno quattro direzioni radiali allo sguardo del fruitore penetrando gli spazi diversi che ruotano intorno al perno della colonna classica, la quale sfodera un elegante anthemion (il suo decorato collarino) nel corpo del capitello. La disposizione degli elementi strutturali-architettonici è quantomai elaborata: sulla destra la tettoia lignea, quale rifugio animale, appoggiata fortunosamente al potente muro romano; poi la massiva mole laterizia forse afferente a un edificio curiale, con il vuoto nicchione a vocazione statuaria, ma abbandonato e ombroso; indi la colonna ben modulata, indizio di una facciata “a ordini” ormai crollata; a lato, a sinistra, un fornice collabente fra membra sconnesse. Infine la grandiosa poesia naturalistica-luministica degli alberi scossi da un vento iroso, contro una luce livida e lontana, che ha entusiasmato l’occhio comprensivo di Eugenio Riccòmini in un vivissimo paragone courbettiano. Qui vigilano gli inquieti guardiani di Erode. Ecco l’intavolatura pittorica e mistica del Correggio; ecco lo spartito di accompagnamento lungo le fasi del racconto: Gesù nasce quando la classicità ha già assolto al suo compito e dalle sue rovine sta per nascere una nuova civiltà. Abbiamo così, insieme al canto lirico-pittorico quel “compatto simbolismo visivo”, quella esegesi della narrazione sacra che è scaturita dai colloqui che l’Allegri sempre tenne e curò con i monaci, i religiosi sapienti, nelle sue frequentazioni sin da giovine.

Le erbe
Le erbe

Dietro al dorso di Santa Elisabetta si ripete la diagonale di una proda molto scoscesa connotata dagli alberi e da due masse cespugliose, delle quali la più bassa, entro il recinto, è una vera antologia di erbe di campo, accuratamente definite con l’amore naturalistico che sempre si riverserà dai dipinti del Correggio. Si scorgono le piantaggini, un geranio selvatico, le ombrellifere e alcune graminacee: la botanica usuale dell’humus padano. La trama complessa dell’evento divino è dunque accolta con la densa semplicità semantica che costantemente accompagnerà il Correggio nel suo sereno e luminoso cammino, mirato dalla terra al cielo, come un vero itinerarium mentis in Deo.

Appendice geometrica-compositiva

Gli schemi sulla Natività di Brera
Gli schemi sulla Natività di Brera

Cecil Gould, nella sua monografia del 1976, osserva che non si comprende bene quale sia il centro della composizione di questa Natività, il cui sospeso problema tuttavia lo interessa con cura. Aggiungiamo allora queste note.

“A” - Le diagonali dell’intera tavola si incontrano esattamente sulla mano dell’Angelo che invita i pastori, gesto essenziale per l’incarnazione del Verbo: è la chiamata dell’umanità ad accogliere il Cristo.

“B” - Tutte le figure sono collocate in un quadrato a destra che ha per lato l’altezza del dipinto (la misura minore): l’uso del contenimento delle figure in una dimensione siffatta continuerà spesso nel Correggio. Le due diagonali del “quadrato delle persone” si incontrano sulla bocca di Maria, dalla quale uscirono il “fiat” e il “Magnificat”: altra significazione evangelica eminente.

“C” - Nella quarta parte inferiore a sinistra di questo tetràgono la diagonale raccoglie San Giovannino e Gesù Bambino.La linea mezzana orizzontale della tavola segna l’altezza delle teste di San Giuseppe e di Santa Elisabetta.

In tutta la composizione vi sono dunque ritmi armonici attentamente considerati che il Correggio predispone con sapienza e contenuti, e come non dimenticherà nella sua carriera.


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