In Italia si parlava dell'America 150 anni prima di Colombo. Intervista a Paolo Chiesa


In un manoscritto trecentesco, la Cronica universalis di Galvano Fiamma, è stato scoperto il primo riferimento al continente americano noto in area mediterranea, 150 anni prima di Colombo. Un'intervista all'autore della scoperta, Paolo Chiesa.

Il continente americano era noto in area mediterranea ben 150 anni prima di Colombo: lo ha scoperto poche settimane fa un gruppo di lavoro dell’Università Statale di Milano, guidato dal professor Paolo Chiesa, ordinario di filologia mediolatina e filologia umanistica. In un manoscritto di Galvano Fiamma del 1340 circa, la Cronica universalis, si cita infatti una terra chiamata “Marckalada” situata oltre la Groenlandia. Ma non solo: nello stesso manoscritto è stata scoperta anche un’importante notizia che permette di anticipare di cento anni i primi contatti noti tra Etiopia ed Europa occidentale. Di come si è giunti a questa scoperta, delle sue implicazioni e delle novità della Cronica universalis abbiamo parlato con il professor Paolo Chiesa. L’intervista è di Ilaria Baratta.

La mappa di Sigurd Stefansson (la cosiddetta Skálholt Map), disegnata nel 1590 da un maestro islandese, che riproduce con molta fantasia l'area dell'Atlantico nord-occidentale come (secondo lui) se l'immaginavano i Vichinghi
La mappa di Sigurd Stefansson (la cosiddetta Skálholt Map), disegnata nel 1590 da un maestro islandese, che riproduce con molta fantasia l’area dell’Atlantico nord-occidentale come (secondo lui) se l’immaginavano i Vichinghi

IB. Cosa ha significato la scoperta di una citazione dell’America in un testo precedente al 1492 e quali questioni riapre?

PC. L’interesse della scoperta è il fatto che per la prima volta esiste una menzione del continente americano, o comunque di terre oltre l’Atlantico, nell’area Mediterranea: si tratta infatti di notizie che circolavano nell’area della Scandinavia, soprattutto in Islanda, anche se erano per lo più voci legate a situazioni leggendarie, come quelle di viaggiatori del passato che raccontavano di essere arrivati su terre che non erano conosciute in precedenza. Erano dunque riferimenti molto circoscritti dal punto di vista geografico: fuori da quell’area, non circolavano notizie del genere. In questo caso abbiamo invece una notizia di centocinquant’anni prima di Colombo che proviene da Milano: lo scrittore che l’ha riferita in milanese, Galvano Fiamma, era di Milano, però ci sono fortissimi indizi che la notizia sia di origine genovese, perché lo scrittore milanese parla di fonti marinaresche, quindi la città a cui legare con più probabilità queste fonti è proprio Genova. Questa scoperta riapre una questione che è stata più volte posta in passato come ipotesi, ma senza nessun elemento di prova o di supporto, cioè il fatto che, nel Mediterraneo in generale e a Genova in particolare, già prima di Colombo circolassero voci su terre oltre l’Atlantico. La cosa è interessante perché se Colombo, o i primi navigatori italiani o anche spagnoli, avevano notizia di queste voci, allora è chiaro che diventavano un incentivo per il viaggio.

Quindi in che senso Galvano Fiamma aveva contatti con la città di Genova?

Galvano è uno scrittore che vive a Milano e scrive diverse cronache, prevalentemente di argomento milanese, però in questo testo, una cronaca che ha invece una dimensione universale perché vuole fare una sorta di storia del mondo, lui cita più volte fonti genovesi: la più interessante è un libretto che altrimenti per noi è perduto (lo conosciamo solo da Galvano), scritto dal prete della chiesa del porto di Genova, che si chiamava Giovanni da Carignano e aveva forti interessi geografici. Galvano cita più volte questo libretto [il Tractatus de mappa, nda], e questo ci fa pensare che lui sia stato a Genova o comunque avesse dei rapporto molto stretti che gli permettevano di ricevere fonti da quella città.

Come si è arrivati a capire che il testo menzionava l’America e qual è stata la difficoltà, visto che non ci sono fonti scritte riguardo a quanto dice Galvano nella frase “americana”?

Era un lavoro didattico fatto con i miei studenti della laurea magistrale all’Università di Milano: come esercitazione hanno effettuato la trascrizione di questo testo. La Cronica universalis è un testo inedito e peraltro è molto lungo, quindi è stato diviso in parti tra gli studenti. La studentessa che aveva in consegna la trascrizione della porzione in cui abbiamo scoperto la notizia si è resa conto che qui mancavano le fonti: non è riuscita a individuare nessuna fonte scritta che parlasse di queste terre (del resto Galvano parlava di fonti marinaresche). Nel testo si fa riferimento a questa terra chiamata “Marckalada”, che non si capiva bene dove fosse. Ci siamo quindi messi a studiarla più accuratamente e abbiamo capito che per la posizione geografica che le assegna Galvano, ma soprattutto per il nome, questa terra corrisponde a una terra chiamata “Markland”, cioè “terra dei boschi”, citata in alcune saghe. Questo è il percorso con cui abbiamo identificato il luogo.

Galvano Fiamma in una miniatura dal Codice Trivulziano, 1438, c. 1r. L’opera appartiene all’Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana - © Comune di Milano
Galvano Fiamma in una miniatura dal Codice Trivulziano, 1438, c. 1r. L’opera appartiene all’Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana - © Comune di Milano
La parte della Cronica universalis dove si cita la terra chiamata Marckalada, qui evidenziata in rosso.
La parte della Cronica universalis di Galvano Fiamma dove si cita la terra chiamata “Marckalada”, qui evidenziata in rosso. Il testo recita: “Inde versus occidens est terra quedam que dicitur Marckalada, ubi gigantes habitant et sunt hedifitia habentia lapides saxeos tam grandes quod nullus homo posset in hedifitio collocare nisi essent gygantes maximi. Ibi sunt arbores virides et animalia et aves multe nimis. Nec umquam fuit aliquis marinarius qui de ista terra nec de eius condictionibus aliquid scire potuerit pro certo” (“Ancora oltre, verso occidente, c’è una terra chiamata Marckalada. Gli abitanti del posto sono dei giganti: lì si trovano edifici di pietre così grosse che nessun uomo sarebbe in grado di metterle in posa, se non grandissimi giganti. Lì crescono alberi verdi e vivono moltissimi animali e uccelli. Però non c’è mai stato nessun marinaio che sia riuscito a sapere con certezza notizie su questa terra e sulle sue caratteristiche”).

Perché si è scelto di compiere un progetto didattico su quest’opera?

Perché è un’opera molto affascinante, perché è inedita e perché, essendo conservata in un solo manoscritto che è di proprietà privata, non è a disposizione del pubblico (tuttavia attraverso alcune mie ricerche siamo riusciti a individuare il proprietario, lo abbiamo contattato e siamo riusciti a lavorarci). E poi, da un punto di vista didattico, la trascrizione di un manoscritto medievale con la finalità di portare il testo a disposizione del pubblico (perché per questo poi è lo scopo finale) è un lavoro utilissimo, perché aiuta a sviluppare una serie di conoscenze e di abilità che sono molto rare: attenzione allo scritto, rapporto tra testo e immagine, decodificazione di una forma di scrittura che non è quella abituale, traduzione, trascrizione, importazione e trasformazione in un testo adatto al pubblico di oggi, e così via. Un esercizio didatticamente davvero molto utile. E poi siamo stati fortunati perché si è rivelato anche un testo molto interessante.

Cos’è e di cosa parla la Cronica universalis di Galvano Fiamma?

Il progetto di Galvano, come spiega il prologo di quest’opera, era quello di scrivere una cronaca che riguardasse tutto il mondo: un genere letterario abbastanza comune nel Medioevo, non si trattava di un’idea particolarmente originale. Di tutto il mondo, precisiamo, e di tutte le epoche, quindi dalla creazione fino ai suoi giorni, ovvero fino all’inizio del Trecento. In realtà poi il testo è interrotto a un certo punto (molto presto: in epoca biblica, al tempo dei primi re di Israele) e non è stato proseguito, non sappiamo perché, forse perché Galvano è morto, dal momento che la Cronica universalis è una delle ultime opere che ha scritto, perciò probabilmente è rimasta interrotta lì. Tuttavia, poiché è una storia di tutto il mondo e non soltanto d’Europa o del Mediterraneo, spesso Galvano compie digressioni geografiche, anche perché gli interessava mostrare la totalità della terra (o di quella che allora si pensava fosse la terra). Ed è proprio all’interno di una di questa digressioni geografiche che troviamo il riferimento a Marckalada. In quella porzione di testo lui sta parlando delle terre del nord, della Scandinavia e dell’Islanda, e gradualmente arriva a parlare di altre terre che si trovano più a Occidente.

Quali altre sorprese ha rivelato la Cronica universalis?

L’altra sorpresa, che forse da un punto di vista storico è anche più importante (benché sia meno appariscente e meno sensazionale perché non riguarda l’America), è una parte che deriva dal libro di Giovanni da Carignano di cui abbiamo detto prima. In questa parte si parla di Etiopia, perché Galvano racconta, riportando il libro del prete genovese, di un’ambasceria etiopica che sarebbe giunta in Europa e in particolare a Genova attorno al 1315: nella Cronica si parla perciò di tutti i dettagli di questa ambasciata, e in particolare di cosa avessero raccontato gli ambasciatori sulla loro terra. È una notizia che anticipa di almeno cento anni quelle dei primi contatti conosciuti tra l’Etiopia e l’Europa occidentale, che finora si datavano all’inizio del Quattrocento. Questo è dunque un elemento molto forte, poiché prova che esistessero relazioni anche precedenti, e lo fa peraltro con dettagli e con particolari della storia dei costumi dell’Etiopia che sono molto interessanti anche per gli studiosi di queste materie.

Quali sono stati e quali saranno gli sviluppi del progetto dopo la scoperta?

L’obiettivo rimane quello di pubblicare l’intera opera, che però è molto lunga, come dicevo. Abbiamo finito la trascrizione, però tra la trascrizione e l’edizione critica (l’operazione che vorremmo fare) ci saranno ancora alcuni di passaggi, che richiederanno un po’ di tempo. Penso circa due anni, non meno perché manca un aspetto molto importante, ovvero l’identificazione di tutte le fonti citate da Galvano: l’autore in quest’opera cita una quantità di libri e di notizie di tutti i tipi, e per fare un buon servizio al lettore noi dobbiamo identificarle. Questo è un lavoro molto lungo che richiede tempo, ma è il nostro obiettivo: abbiamo già una casa editrice disposta a pubblicare il testo, ma serviranno almeno un paio d’anni di lavoro.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, sono co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. Sono nata a Carrara nel 1987 e mi sono laureata a Pisa. Sono responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.

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