“Firenze? La conosco, è famosa per i panini”. La città al ritorno del turismo di massa


Finiscono le restrizioni antipandemia e a Firenze ritorna il turismo di massa. Incluso quello di chi arriva in città solo per mangiare. La città dunque è adesso chiamata a riprendere in mano il problema. Cosa fare? Il lavoro è tanto.

“Firenze? Sì la conosco, è famosa per i panini”. È questo quanto si è sentita dire una guida turistica da un turista indiano venuto sotto la cupola del Brunelleschi come fosse una sosta da fast food per rifocillarsi. A raccontarcelo è Paola Migliosi, fiorentina e presidente italiana di Confguide, non nascondendo il suo disappunto e il suo stupore.

L’avevamo contattata per sapere come stava vedendo quella che si preannuncia la primavera/estate della ripresa turistica e le ci ha subito fatto presente che la ripresa la sta vedendo anche lei ma, ci dice, “sulla qualità ho i miei dubbi”. Oltre alla quantità dobbiamo domandarci che tipo di turismo ci aspettiamo e che vorremmo. Senza dubbio la convinzione del turista indiano è frutto di una riuscita strategia di marketing condotta in questi ultimi anni da una nota bottega alle spalle di Palazzo Vecchio che prepara focacce con insaccati tipici toscani e che si è espansa aprendo altri negozio sulla stessa via e in altre capitali europee e americane dopo essere stata inserita nella guida per turisti più venduta al mondo dedicata a Firenze. Nell’epoca di Facebook, Tripadvisor e social network il passa parola si fa globale e ne ha fatto la sua fortuna.

L’ha fatta sulle spalle della sua città? Il dibattito è aperto, certo è che surclassare la culla del Rinascimento nell’immaginario collettivo di un posto pur lontano la dice lunga su quanto forse occorra non dare tutto per scontato in un paese come il nostro ricco di patrimonio culturale. Perché il turismo in Italia, innanzitutto, è ancella della cultura, non il contrario. La prima motivazione di viaggio per chi viene nel nostro paese non è il cibo ma l’arte e la cultura. Che poi certamente insieme agli altri fattori crea quell’italian style che diventa trainante per la nostra economia. Basta considerare il fatto che nelle spese di un viaggio il pernottamento conta il 20%: non se ne avvantaggiano solo gli alberghi quindi ma tutto l’indotto di servizi, ristorazione e luoghi della cultura che fanno dell’Italia l’Italia.

Turista mostra il suo panino davanti al Duomo di Firenze
Turista mostra il suo panino davanti al Duomo di Firenze

Occorre dunque porsi il problema adesso che stiamo virando attorno alla boa della pandemia per riprendere il mare aperto del turismo di massa (come i dati di queste settimane ci fanno proiettare). Certo è che il ‘buon vivere toscano’ con i suoi prodotti tipici incide enormemente nel creare quello stile ‘italiano’ per gli stranieri. Patrimonio culturale e cucina italiana sono inscindibili per chiunque ci guardi dall’estero.

Dopo questi due anni l’offerta culturale si evolverà? “Non lo sappiamo, per il momento non possiamo dirlo”, risponde Migliosi, “ma per il momento mi pare che ci sia lo stesso imprinting di due anni fa. E non mi pare che ci siano i mezzi per programmare. Occorre destagionalizzare, diluire e spostarlo anche in mete meno battute. Servono eventi importanti come grandi mostre per attirare nuovo pubblico, penso ad esempio a quello che stanno facendo gli Uffizi e Palazzo Strozzi a Firenze. Andrebbe valorizzato di più un museo di arte contemporanea come il Pecci di Prato ed altri come lui. Perché il turismo altrimenti soffocherà le città d’arte. Si dovrebbe parlare di bellezza, non di mangiare”.

Per quanto riguarda invece l’idea del sindaco Nardella di voler chiedere ai turisti una donazione al loro ingresso in centro la presidente Migliosi in una intervista a La Nazione ha fatto presente come “in città per ora ci sono soprattutto italiani ed europei, mancano gli internazionali che sono quelli con una maggiore capacità di spesa, questo non è il momento di chiedere ulteriori contributi ai visitatori. Per tutelare la bellezza della città occorrerebbe creare maggiori occasioni di dialogo e confronto tra chi governa e chi lavora, con noi operatori che conosciamo chi sono i nostri turisti”. Purtroppo, sottolinea Migliosi , “siamo tornati alla situazione pre-covid. Sono anni che parliamo di sostenibilità del cuore storico ma al momento non è ancora stata trovata alcuna soluzione”.

Il professor Sergio Givone, filosofo e ex assessore alla cultura del Comune di Firenze, intervistato dalla stampa fiorentina, dove da tempo è acceso il dibattito su come preservare il valore e l’identità di una città facendolo conciliare con un turismo massimo, ha affermato (in una intervista a Repubblica Firenze) come “il vero problema di Firenze è diventare attrattiva per qualcos’altro che non sia il cosiddetto food, sia pure di qualità”.

Il comune ha provato a limitare la proliferazione di locali e esercizi legati al cibo con un blocco di tre anni, che quest’anno viene rinnovato per altri tre, al rilascio di licenze di questo tipo come bar, ristoranti e alimentari la cui richiesta in centro storico era attratta dalla presenza dei turisti. Ma per il filosofo non basta e si spinge addirittura a dire che “La vera sfida sarebbe di cambiare le ragioni per cui si visita Firenze, e di investire su questo nel lungo periodo. Può andare anche bene che mi si proponga di mangiare un panino in un locale interessante e magari dotato di scaffali di libri o di eventi culturali, come ormai avviene spesso, ma si tratta di un camuffamento. Il problema di fondo è che la gente continua a venire a Firenze con l’idea di appagare innanzitutto l’esigenza di mangiare bene, come se questa città non avesse niente altro da offrire”.

E in un’altra intervista, al Corriere fiorentino, ha spiegato come secondo lui “il turista desidera quello che noi lo induciamo a volere offrire” e commentando i tanti cartelli con le immagini del cibo e dei menù di bar e ristoranti accanto all’ingresso di chiese con opere d’arte al loro interno afferma che “volersi offrire così, con questa immagine di sè ai turisti” è un offrirsi “un pò puttanesco e un pò triviale come un luogo in cui sopratutto si mangia”.

Dopo due anni di turismo a zero, dunque, gli amministratori delle nostre città e tutto il sistema della cultura e del turismo sono chiamati a ripensare l’approccio con il quale si accoglie il turista, provando a mettere un freno al turismo massivo concentrato in pochi kilometri quadrati (come Roma, Firenze, Venezia) per decongestionare e non snaturare l’identità delle nostre città e del messaggio culturale che rappresentano. Misure come lo stop al rilascio di licenze per determinati esercizi commerciali, come quelli legati al cibo, che stavano fagocitando il tessuto commerciale dei centri storici e ipotesi come il numero chiuso o la richiesta di una donazione al turista per compartecipare alle spese di mantenimento delle città che visita, sono proposte concrete che vogliono andare in questa direzione. Il lavoro da fare è ancora molto e non c’è una soluzione già scritta, ma sicuramente dovranno concorrere per questo risultato tutti gli attori del sistema turismo.


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