Tutto Federico da Montefeltro in una mostra. La rassegna di Gubbio per il seicentenario


Recensione della mostra “Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra”, Gubbio, Palazzo Ducale, Palazzo dei Consoli e Museo Diocesano, dal 20 giugno al 2 ottobre 2022, a cura di Francesco Paolo Di Teodoro con Lucia Bertolini, Patrizia Castelli e Fulvio Cervini.

Se si pensa a Federico da Montefeltro, vien naturale associare la figura di questo condottiero e mecenate al grande palazzo che si staglia sul profilo della capitale del suo ducato, Urbino, principale centro del suo potere, sede della sua corte, polo d’attrazione per molti dei più grandi artisti e letterati del tempo. Mai però Federico trascurò Gubbio, seconda città del suo Stato, nonché luogo che gli diede i natali: appena nominato duca, nell’agosto del 1444, Federico subito si recò in visita a Gubbio, per firmare un accordo col Comune, sulla base del quale gli eugubini ottenevano di poter continuare a tenere le sedi delle loro magistrature nei palazzi dei Consoli e del Podestà, mentre il giovane sovrano avrebbe continuato a utilizzare a spese della comunità, come residenza ufficiale, il palazzo in cui la famiglia era solita dimorare durante i soggiorni in città. Quello ch’era all’epoca il “Palatium Vetus”, un antico edificio nei pressi della Cattedrale, doveva evidentemente bastare all’esigenze di un signore giovane, il cui potere era comunque in continua e costante espansione. Poi, nel 1461, quando la giovanissima e amata moglie Battista Sforza visitò con lui Gubbio per la prima volta, forse Federico cominciò a manifestare l’idea di dotarsi d’una residenza più adatta: esigenza ritenuta indifferibile quando, all’inizio degli anni Settanta, le visite a Roma alla corte di papa Sisto IV si fecero più frequenti e l’importanza di Gubbio crebbe in maniera considerevole. Fu probabilmente in questo torno d’anni che Federico decise di risistemare quel complesso vicino al Duomo per trasformarlo nell’unico palazzo rinascimentale presente in una città dal tessuto urbanistico totalmente medievale: l’incarico venne affidato a Francesco di Giorgio Martini e i lavori, partiti probabilmente già verso la fine degli anni Sessanta, conobbero una decisa accelerazione dall’estate del 1474, ma si sarebbero conclusi soltanto poco dopo la scomparsa di Federico, nel 1482, quando il ducato passò al figlio Guidobaldo.

Nasceva così il Palazzo Ducale di Gubbio, che nel seicentesimo anniversario della nascita di Federico diventa il fulcro della grande mostra che la città natale gli dedica: Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra. La frase che i curatori della mostra (Francesco Paolo Di Teodoro con Lucia Bertolini, Patrizia Castelli e Fulvio Cervini) hanno scelto per costruire il titolo della mostra, e ch’è tratta da una lettera inviata da Federico al gonfaloniere e ai consoli di Gubbio nel 1446, non è dunque una formula di circostanza dettata da doveri di diplomazia. Federico da Montefeltro teneva veramente a Gubbio, tanto da farle assumere la fisionomia d’una seconda capitale: più tranquilla rispetto a Urbino, era comunque centro vitale, dotato d’una propria cultura artistica che il duca seppe mantenere viva, luogo d’incontro che Federico sceglieva con certa frequenza (e dove la corte urbinate, scrivono i curatori della mostra nella loro introduzione, poteva “trasferirsi e alloggiare godendo degli stessi privilegi e ‘comodità’ di Urbino, ma lontano dalle ambasce politiche e culturali”). Lo stesso Palazzo Ducale di Gubbio fu fatto costruire quasi a immagine e somiglianza di quello di Urbino, con tanto di Studiolo decorato con tarsie lignee.

La mostra del secentenario è divisa in tre sedi. Il centro della rassegna sta a Palazzo Ducale: qui, s’approfondisce la biografia di Federico da Montefeltro, viene rievocato il suo rapporto con Gubbio, si ripercorrono a grandi linee le vicende costruttive del palazzo, si familiarizza con la pittura rinascimentale eugubina, e ci sono anche due sorprendenti sezioni dedicate alle arti applicate e alla musica. Al Palazzo dei Consoli s’entra invece nel merito della vasta cultura del duca, che dà modo di comprendere le sue scelte e apprezzare meglio la portata del suo mecenatismo, e si tocca anche la figura di Federico condottiero, inserito nel contesto delle guerre del Quattrocento: i due temi sono strettamente correlati, perché per la mentalità del tempo un eccellente condottiero non poteva non avere un’adeguata formazione letteraria. Infine, al Museo Diocesano il focus è sulla spiritualità di Federico da Montefeltro declinata però secondo i suoi interessi astrologici. Decine le opere esposte, tra dipinti, libri, documenti, armature, arredi, monete e altro.

Allestimenti della mostra Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra
Allestimenti della mostra Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra. Palazzo Ducale
Allestimenti della mostra Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra
Allestimenti della mostra Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra. Palazzo Ducale
Allestimenti della mostra Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra
Allestimenti della mostra Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra. Palazzo dei Consoli
Allestimenti della mostra Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra
Allestimenti della mostra Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra. Palazzo dei Consoli
Allestimenti della mostra Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra
Allestimenti della mostra Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra. Museo Diocesano

Ad accogliere il pubblico a Palazzo Ducale, da dove ha idealmente inizio l’itinerario di visita, è tuttavia un’opera contemporanea, una rivisitazione del dittico dei duchi di Montefeltro realizzata da Fabio Galeotti: l’opera, intitolata Testimoni del tempo, un video 4K proiettato su due schermi LCD incorniciati come il doppio ritratto degli Uffizi, pone Federico e Battista l’uno di fronte all’altra, colti nello scorrere d’una giornata dall’alba alla notte, mentre si guardano e ammirano il paesaggio delle loro terre. È il coinvolgente benvenuto che il Palazzo Ducale di Gubbio offre ai suoi visitatori, una commistione tra antico e contemporaneo che funziona e che ci restituisce l’immagine d’un duca al contempo distante e vicino, nei riguardi del quale ci si dispone con una certa deferenza, con la consapevolezza che le sale adesso aperte a tutto il pubblico erano un tempo luoghi del potere accessibili a pochi, e dove la presenza del duca aleggiava ovunque, come ci rammenta, in apertura di percorso, la parete colma di formelle con le insegne federiciane, decorate col famoso rilievo “FE.DUX” riconducibile all’estro di Francesco di Girogio Martini, cotte nelle fornaci della famiglia Floris a Gubbio, e in origine colorate. La prima sezione del percorso di Palazzo Ducale è squisitamente biografica: una vetrina colma di medaglie, eseguite dai maggiori medaglisti del tempo (si contano, solo per citarne alcuni, il grande Pisanello, Matteo de’ Pasti, Pietro Torrigiani, Gianfrancesco Enzola, Sperandio di Bartolomeo Savelli da Mantova, e i più oscuri Clemente da Urbino, Pietro da Fano, Adriano di Giovanni de’ Maestri) e in arrivo da una vasta pletora di musei, fanno piombare il visitatore nell’Italia di Quattrocento: si susseguono i ritratti dei sovrani e dei maggiori esponenti delle grandi famiglie dominanti, dai Gonzaga agli Sforza, dai papi ai Malatesta, dai Bentivoglio ai Medici, fino agli stessi Montefeltro, il tutto per comporre una sorta di grande affresco del contesto in cui visse Federico da Montefeltro, tra rapporti di potere e alleanze, amicizie e inimicizie (tra i varî documenti è esposta anche una lettera cifrata che prova il coinvolgimento di Federico da Montefeltro nella congiura dei Pazzi). La stessa Gubbio era un importante centro di produzione orafa e per molto tempo fu anche sede della principale zecca del ducato di Urbino: uno degli aspetti più rilevanti della mostra è la continua rete di rimandi alla Gubbio feltresca.

Una sala è interamente dedicata ai ritratti scolpiti di Federico da Montefeltro: spiccano, in particolare, i ritratti scolpiti di Federico e Battista (il primo in marmo, il secondo in pietra della Cesana) giunti in prestito dai Musei Civici di Pesaro, dove i duchi sono rappresentati di profilo e affrontati come nel dittico degli Uffizi che viene così idealmente richiamato, e poi ancora i medaglioni con i ritratti ufficiali di Federico e di suo fratello naturale Ottaviano Ubaldini della Carda, in antico nella chiesa di San Francesco a Mercatello sul Metauro, altro importante centro del ducato di Urbino, e la lunetta in cui il duca è ritratto assieme a Ottaviano. La mostra si concentra poco sulla figura di Ottaviano, figura di spicco della corte feltresca benché dimessa e quindi poco nota ai più, e sulla quale pure sono fioriti diversi studî anche in anni recenti: umanista, amante delle arti e delle lettere (nella lunetta viene infatti raffigurato con un libro e un ramo d’ulivo a indicare le sue passioni, al contrario del fratello che è invece accompagnato da elmo e stendardo), fu il principale responsabile dell’allestimento della biblioteca del Palazzo Ducale di Urbino (dove probabilmente in origine era posta la lunetta), e in quanto tale sceglieva codici e manoscritti, curava l’allestimento, manteneva i contatti con umanisti e letterati. Per rievocare questo clima culturale, sono esposti poco lontani alcuni codici, tra i quali figura anche uno dei soli tre manoscritti in volgare che ci hanno trasmesso il De prospectiva pingendi di Piero della Francesca: è quello conservato alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, che contiene alcune correzioni e annotazioni dell’artista, ma non è interamente autografo. Le due sale successive approfondiscono gl’interessi e le idee di Francesco di Giorgio Martini, l’architetto che progettò il Palazzo Ducale di Gubbio: trattati ed elementi architettonici, questi ultimi provenienti in gran parte da Gubbio, si susseguono per restituire l’immagine d’un intellettuale che prendeva a modello l’arte edificatoria dei romani, che guardava all’antico e che s’interessò all’architettura fin da giovanissimo, come attesta una giovanile Annunciazione in prestito dalla Pinacoteca Nazionale di Siena, del 1470 circa, in cui un ruolo significativo viene attribuito dall’artista alle quinte architettoniche che fanno da sfondo all’incontro tra la Vergine e l’angelo.

Il grande salone delle feste di Palazzo Ducale ospita la sezione sulle arti a Gubbio a metà del Quattrocento, epoca dominata dalla figura di Ottaviano Nelli, cui la città ha peraltro dedicato una grande mostra monografica tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022: importante saggio della sua arte, di cui s’ammirano diversi esempî nei musei, nelle chiese e nei palazzi cittadini, sono gli affreschi monocromi provenienti da Palazzo Beni, opere degli anni Venti del Quattrocento che testimoniano la cultura tardogotica d’un artista particolarmente apprezzato dai committenti locali, al punto da divenire uno dei personaggi più in vista della città (era anche tra i consoli di Gubbio quando, il 7 agosto del 1444, Federico da Montefeltro, appena divenuto signore di Urbino, visitava per la prima volta la città da sovrano). La fioritura delle arti e il notevole influsso esercitato da Ottaviano Nelli sono testimoniati da una successione d’importanti opere che dimostrano come, da un lato, la corte feltresca avesse attirato in città artisti provenienti anche da regioni lontane che concorsero, in certi ambiti, a dar vita a un vero “stile Montefeltro”, come suggeriscono i curatori, e dall’altro come le sorti della pittura eugubina fossero legate, per tangenze stilistiche e provenienza culturale dei suoi principali esponenti, a quella della vicina Perugia. Tra i principali risultati dell’influenza culturale che la corte esercitò sui gusti delle famiglie eugubine è possibile annoverare i cassoni dipinti, che abbondano nella Gubbio feltresca e di cui in mostra sono esposti alcuni notevoli esempî, come le tavole in arrivo dal Musée National de la Renaissance di Écouen, elegantemente decorate con scene in cui gli episodî dell’Iliade vengono dipinti come fossero trasognate favole cortesi, e naturalmente con abbondanza d’oro per rispondere al desiderio dei committenti d’arredare la loro casa con un oggetto di lusso. La pittura eugubina viene invece indagata con alcune opere che dànno conto al visitatore del passaggio da una cultura sostanzialmente tardogotica, persistente in città anche dopo la scomparsa di Ottaviano Nelli attorno al 1450, a un nuovo linguaggio rinascimentale promosso anche dal cantiere di Palazzo Ducale, il “primo, intenzionale e fortissimo atto di negazione del patrimonio architettonico medioevale e più in generale della cultura tardogotica perdurante oltre la metà del XV secolo”, ha scritto lo studioso Ettore Sannipoli.

Si succedono due tavole di Iacopo Bedi, opere ancora inscritte nella cultura tardogotica ma che non sono insensibili alla nuova grammatica, una Madonna col Bambino in trono tra sant’Agostino e san Francesco, opera di Orlando Merlini, artista già pienamente rinascimentale che proviene dalla Perugia di Bartolomeo Caporali e Benedetto Bonfigli, per arrivare all’artista più aggiornato, Sinibaldo Ibi, che nel 1503 firma il gonfalone di Sant’Ubaldo, opera di cultura peruginesca, ritenuta miracolosa e per questo oggetto di particolare devozione da parte degli eugubini. Nella sezione sulle arti applicate spicca uno spettacolare badalone che giunge dalla chiesa di San Domenico ed è decorato all’impresa dello studiolo di Federico da Montefeltro di cui s’è detto in apertura: è opera di un artista che mostra di padroneggiare con abilità la tarsia prospettica e restituisce pertanto due convincenti immagini di loggette entro le quali s’affastellano libri. La prima parte della mostra si chiude con una sezione sulla musica: si trovano qui le Muse di Giovanni Santi, padre di Raffaello, raffigurate come musiciste, ognuna col proprio strumento, che offrono un’efficace rappresentazione visiva degl’interessi musicali del duca (oltre che degli strumenti che lui stesso possedeva e che avrebbe fatto raffigurare nelle decorazioni dello studiolo).

Fabio Galeotti, Testimoni del tempo (2022; video 4k su schermo LCD)
Fabio Galeotti, Testimoni del tempo (2022; video 4k su schermo LCD)
Bottega eugubina, Formelle con insegne federiciane (1480-1482 circa; terracotta forgiata a stampo, ingobbiata e dipinta, 33,5 x 33,5 cm ciascuna; Gubbio, Palazzo Ducale)
Bottega eugubina, Formelle con insegne federiciane (1480-1482 circa; terracotta forgiata a stampo, ingobbiata e dipinta, 33,5 x 33,5 cm ciascuna; Gubbio, Palazzo Ducale)
Federico da Montefeltro scrive ad Agostino Staccoli e a Pietro Felici suoi ambasciatori a Roma (Urbino, 14 febbraio 1478; foglio cartaceo, 215 x 290 mm; Urbino, Accademia Raffaello, Archivio Ubaldini, b. 78, 1, 2)
Federico da Montefeltro scrive ad Agostino Staccoli e a Pietro Felici suoi ambasciatori a Roma (Urbino, 14 febbraio 1478; foglio cartaceo, 215 x 290 mm; Urbino, Accademia Raffaello, Archivio Ubaldini, b. 78, 1, 2)
Domenico Rosselli, Ritratto di Battista Sforza (ottavo decennio del XV secolo; pietra della Cesana, 43,5 x 39,3 x 7 cm; Pesaro, Musei Civici, inv. 4138)
Domenico Rosselli, Ritratto di Battista Sforza (ottavo decennio del XV secolo; pietra della Cesana, 43,5 x 39,3 x 7 cm; Pesaro, Musei Civici, inv. 4138)
Scultore toscano, Ritratto di Federico da Montefeltro (ultimo quarto del XV secolo; marmo, 47 x 38,5 x 8,3 cm; Pesaro, Musei Civici, inv. 4142)
Scultore toscano, Ritratto di Federico da Montefeltro (ultimo quarto del XV secolo; marmo, 47 x 38,5 x 8,3 cm; Pesaro, Musei Civici, inv. 4142)
Bottega di Ambrogio Barocci, Ritratto di Federico da Montefeltro e Ottaviano Ubaldini della Carda (post 1474; pietra, 50 x 110 x 12 cm; Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, inv. S )
Bottega di Ambrogio Barocci, Ritratto di Federico da Montefeltro e Ottaviano Ubaldini della Carda (post 1474; pietra, 50 x 110 x 12 cm; Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, inv. S 93)
Francesco di Giorgio Martini e collaboratore, Annunciazione (1470 circa; tempera su tavola, 73,5 x 48 cm; Siena, Pinacoteca Nazionale, inv. 277)
Francesco di Giorgio Martini e collaboratore, Annunciazione (1470 circa; tempera su tavola, 73,5 x 48 cm; Siena, Pinacoteca Nazionale, inv. 277)
Ottaviano Nelli, Liberalità (1424-1425 circa; affresco monocromo staccato e trasportato su pannello di vetroresina esterno e alveolare nido d'ape in alluminio interno, 143 x 113 cm; Gubbio, Museo Civico di Palazzo dei Consoli, in deposito presso il Museo Arti e Mestieri)
Ottaviano Nelli, Liberalità (1424-1425 circa; affresco monocromo staccato e trasportato su pannello di vetroresina esterno e alveolare nido d’ape in alluminio interno, 143 x 113 cm; Gubbio, Museo Civico di Palazzo dei Consoli, in deposito presso il Museo Arti e Mestieri)
Maestro della Charitas bentivogliesca (Bernardino di Nanni dell'Eugenia?), Euribate e Taltibio tolgono Briseide ad Achille che si commiata da lei con un bacio (1490-1500 circa; tempera su tavola, 31,4 x 63,3 cm; tempera su tavola, 31,4 x 63,3 cm; Écouen, Musée National de la Renaissance, inv. 7499)
Maestro della Charitas bentivogliesca (Bernardino di Nanni dell’Eugenia?), Euribate e Taltibio tolgono Briseide ad Achille che si commiata da lei con un bacio (1490-1500 circa; tempera su tavola, 31,4 x 63,3 cm; tempera su tavola, 31,4 x 63,3 cm; Écouen, Musée National de la Renaissance, inv. 7499)
Iacopo Bedi (?), ridipinto da Federico Brunori detto il Brunorino, San Vincenzo Ferrer, Cristo, raccomandati e quattro angeli (1455-1460 circa; tempera e oro su tavola, 211 x 128 cm; Gubbio, San Domenico)
Iacopo Bedi (?), ridipinto da Federico Brunori detto il Brunorino, San Vincenzo Ferrer, Cristo, raccomandati e quattro angeli (1455-1460 circa; tempera e oro su tavola, 211 x 128 cm; Gubbio, San Domenico)
Orlando Merlini, Madonna con Bambino in trono tra sant'Agostino (?), San Francesco e angeli musicanti (1485-1495 circa; affresco staccato, 186,5 x 197,5 cm; Gubbio, Museo di Palazzo dei Consoli, depositi)
Orlando Merlini, Madonna con Bambino in trono tra sant’Agostino (?), San Francesco e angeli musicanti (1485-1495 circa; affresco staccato, 186,5 x 197,5 cm; Gubbio, Museo Civico di Palazzo dei Consoli, depositi)
Sinibaldo Ibi, Gonfalone con sant'Ubaldo benedicente e Madonna della Misericordia, recto (1503; tempera su tela, 198 x 169 cm; Gubbio, Museo Civico di Palazzo dei Consoli)
Sinibaldo Ibi, Gonfalone con sant’Ubaldo benedicente e Madonna della Misericordia, recto (1503; tempera su tela, 198 x 169 cm; Gubbio, Museo Civico di Palazzo dei Consoli)
Sinibaldo Ibi, Gonfalone con sant'Ubaldo benedicente e Madonna della Misericordia, verso (1503; tempera su tela, 198 x 169 cm; Gubbio, Museo Civico di Palazzo dei Consoli)
Sinibaldo Ibi, Gonfalone con sant’Ubaldo benedicente e Madonna della Misericordia, verso (1503; tempera su tela, 198 x 169 cm; Gubbio, Museo Civico di Palazzo dei Consoli)
Giovanni Santi, Erato (1480; olio su tavola, 82 x 39 cm; Firenze, Palazzo Corsini)
Giovanni Santi, Erato (1480; olio su tavola, 82 x 39 cm; Firenze, Palazzo Corsini)
Giovanni Santi, Tersicore (1480; tavola, 82 x 39 cm; Firenze, Palazzo Corsini)
Giovanni Santi, Tersicore (1480; olio su tavola, 82 x 39 cm; Firenze, Palazzo Corsini)
Giovanni Santi, Polimnia (1480; olio su tavola, 82 x 39 cm; Firenze, Palazzo Corsini)
Giovanni Santi, Polimnia (1480; olio su tavola, 82 x 39 cm; Firenze, Palazzo Corsini)
Maestro del legno umbro-marchigiano, Badalone (1490-1500 circa; legno intarsiato e intagliato, 240,5 x 135 cm; Gubbio, San Domenico)
Maestro del legno umbro-marchigiano, Badalone (1490-1500 circa; legno intarsiato e intagliato, 240,5 x 135 cm; Gubbio, San Domenico)

La sezione della mostra ospitata al Palazzo dei Consoli dà il benvenuto al visitatore con un armigero a grandezza naturale, realistico, seduto, stanco, addormentato, scolpito dall’austriaco Hans Klocker: in antico era parte d’un gruppo che metteva in scena la Resurrezione di Cristo, e la singolarità del soldato sta nel fatto ch’è vestito con armatura contemporanea. “Attualizzare la Passione”, scrive Fulvio Cervini nel catalogo, “significa meditare sul fatto che la nostra violenza continua a uccidere Cristo, ma attraverso l’uso virtuoso della forza militare possiamo passare al suo lato luminoso. Magari anche per questo il soldato di Klocker è definito nei minimi dettagli: un guerriero di legno, proprio come un combattente è una scultura di ferro”. Federico da Montefeltro intraprende la sua carriera militare in un momento storico in cui la guerra subisce una trasformazione, e a dimostrarlo intervengono in mostra non soltanto i libri di trattatistica militare e le armi allineate nella sala (che testimoniano l’evoluzione moderna delle armi, in un epoca di passaggio, in cui ancora non compaiono sistematicamente le armi da fuoco, per quanto inizino a entrare nell’immaginario collettivo, e in cui dominano le balestre, i grandi scudi pavesi, le ingombranti armature d’acciaio, spesso veri capolavori d’artigianato, dal momento che anche la guerra, per la mentalità del tempo, era occasione per sfoggiare il proprio gusto), ma anche i numerosi libri che offrono un sunto della cultura e degli studî coi quali s’era formato il futuro duca d’Urbino: nel XV secolo s’afferma l’idea per cui non possa esistere un buon condottiero senza una buona cultura, dacché la cultura è considerata base per condurre una guerra in maniera ragionevole, e al contempo per trasmetterne nella maniera più acconcia la memoria quando le ostilità sono terminate. “Una guerra”, sottolinea ancora Cervini, “valeva soprattutto se ne restava una memoria”, e tale consapevolezza “viene rilanciata nelle corti rinascimentali italiane e trova in Federico da Montefeltro un interprete di originale intelligenza, che si genuflette ai piedi della Vergine o apre i libri nello studiolo indossando le stesse armature con cui combatte”.

Le arti concorrono dunque a raccontare la guerra per celebrare il potere di chi l’aveva combattuta, e al contempo il campo di battaglia diventa uno dei luoghi in cui s’esprimono i gusti e le idee di chi andava a combattere. Non sorprende dunque di trovare, anche nelle opere del tempo, numerosi esempî di scene antiche in cui i combattenti indossano armature moderne: in mostra il pubblico incontrerà pertanto opere come la Battaglia di Pidna, dipinto complesso che i curatori della mostra di Gubbio espongono con attribuzione al Verrocchio e bottega, dove un episodio dell’antichità romana, la battaglia che vide opposti i romani ai macedoni nell’ultimo scontro della terza guerra macedonica, viene trasposto nella contemporaneità, o come il Martirio di san Sebastiano di Girolamo Genga, che veste gli aguzzini del martire con sgargianti abiti rinascimentali, intenti a trafiggerlo a colpi di balestra.

Quanto alla formazione e alla cultura di Federico da Montefeltro, argomento che come s’è visto è profondamente legato alla sua attività militare, possiamo immaginare che avesse ricevuto la sua educazione di base a Gubbio, dopodiché sappiamo passò un biennio, tra il 1434 e il 1436, presso la Ca’ Zoiosa di Vittorino da Feltre, forse la più importante scuola per i futuri esponenti della classe dominante del tempo. È qui che Federico comincia a coltivare i suoi interessi per la cultura antica e al contempo ad apprendere i primi rudimenti militari. Sul versante letterario, la sua formazione avviene prevalentemente su libri in volgare (anche se ovviamente non mancano i fondamentali testi classici), e alcuni saggi dei volumi che dovettero ispirarlo sono esposti in mostra: è presente la Commedia di Dante (con una importante copia miniata oggi alla Biblioteca Apostolica Vaticana ma realizzata per la biblioteca personale di Federico), non mancano il Canzoniere e i Trionfi di Petrarca (con una copia appartenuta ad Alessandro Sforza, signore di Pesaro e suocero di Federico), ci sono libri di commentatori di Dante.

Hans Klocker, Guerriero dormiente (1490 circa; legno intagliato, argentato e dipinto, altezza 150 cm; Firenze, Museo Stibbert, inv. 3894)
Hans Klocker, Guerriero dormiente (1490 circa; legno intagliato, argentato e dipinto, altezza 150 cm; Firenze, Museo Stibbert, inv. 3894)
Andrea del Verrocchio e bottega, Battaglia di Pidna (1475 circa; fronte di cassone, tempera su tavola con dorature e argentature, 51 x 159 cm; Parigi, Musée Jacquemart-André, inv. MJAP-P 1822.1)
Andrea del Verrocchio e bottega, Battaglia di Pidna (1475 circa; fronte di cassone, tempera su tavola con dorature e argentature, 51 x 159 cm; Parigi, Musée Jacquemart-André, inv. MJAP-P 1822.1)
Francesco Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta e Triumphi (1460 circa - 1473; manoscritto membranaceo, 239 x 140 mm; Roma, Biblioteca Angelica, Cod. 1405)
Francesco Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta e Triumphi (1460 circa - 1473; manoscritto membranaceo, 239 x 140 mm; Roma, Biblioteca Angelica, Cod. 1405)
Roberto Valturio, De re militari (1472; incunabolo con xilografie acquerellate, in folio; Rimini, Biblioteca Gambalunga)
Roberto Valturio, De re militari (1472; incunabolo con xilografie acquerellate, in folio; Rimini, Biblioteca Gambalunga)

Il terzo e ultimo capitolo della mostra è allestito al Museo Diocesano, in una sala dove gli interessi astrologici di Federico da Montefeltro vengono riepilogati attraverso testi che attestano le conoscenze del tempo in materia di stelle, astri e pianeti, e poi ancora strumenti astronomici e astrologici che peraltro trovano corrispondenza nelle tarsie degli studioli di Urbino e Gubbio, dipinti e financo amuleti e talismani, simili a quelli dipinti nelle opere del tempo (l’esempio più noto è il corallo al collo del Bambino nella Madonna di Senigallia di Piero della Francesca conservata alla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino: vengono richiamati in mostra da rametti e collane in prestito dal Museo Archeologico Nazionale di Perugia, oggetti cui s’attribuiva un rilevante valore apotropaico). Il visitatore è introdotto nella sala da una frammentaria Urania del primo Cinquecento, un affresco strappato e trasferito su tela, attribuito ad Amico Aspertini: Urania era la musa dell’astronomia e dell’astrologia, e la si vede raffigurata mentre tiene in mano un globo, simile a quello, prestato dal Museo Archeologico Nazionale di Ancona, che si trova esposto vicino a lei, e che risale al I-II secolo dopo Cristo, strumento con cui gli antichi cercavano di interpretare, di leggere e di capire il cielo. A fianco del globo sono esposti strumenti di misurazione delle distanze del cielo e della terra: una sfera armillare, un compasso e un quadrante, che trovano puntuale riscontro nelle tarsie lignee degli studioli, e che non sono in contraddizione con la ben nota religiosità di Federico da Montefeltro.

Anzi: i suoi interessi astrologici potrebbero esser quasi ritenuti riflesso dei suoi sentimenti pii. “Questa armonia delle consonanze armoniche”, spiega nel catalogo Patrizia Castelli, “deve essere [...] intesa in modo profondamente religioso in quanto si costituisce quale un tramite essenziale per giungere alla sfera divina, in accordo con quanto teorizzato da Marsilio Ficino”. La curiosità del duca di Urbino trova riscontro nella trattatistica del tempo: la mostra presenta per la prima volta i pronostici di Paolo di Middelburg, che fu astrologo di corte a Urbino dal 1481 fino al 1508, e che nei suoi scritti prendeva in esame oroscopi, date di nascita, moti astrali nel tentativo di formulare previsioni su ciò che sarebbe accaduto (curioso notare come, nei pronostici del 1481 e del 1482, Paolo di Middelburg “giustifica l’esattezza dei suoi calcoli sulla base dell’uso della sfera armillare”, nota Castelli). Un posto di rilievo in mostra spetta alla Disputatio contra iudicium astrologorum di Marsilio Ficino, una critica nei confronti della disciplina dell’astrologia giudiziaria, ovvero la branca dell’astrologia che intendeva predire il futuro (in particolare, Ficino dimostrava scetticismo nei confronti di alcune previsioni): l’umanista toscano era, peraltro, figura particolarmente apprezzata dal duca, e tale stima sappiamo per certo fosse reciproca.

Amico Aspertini (attribuito), Urania (XVI secolo; affresco strappato e trasferito su tela, 173 x 95 cm; Ferrara, Pinacoteca Nazionale)
Amico Aspertini (attribuito), Urania (XVI secolo; affresco strappato e trasferito su tela, 173 x 95 cm; Ferrara, Pinacoteca Nazionale)
Amuleti di corallo
Amuleti di corallo

La mostra del secentenario che Gubbio dedica al suo illustre figlio è rigorosamente tripartita, come s’è visto, ma le sezioni creano assieme un percorso che, tolti alcuni momenti di debolezza (la sezione sulla cultura di Federico avrebbe potuto essere più incisiva e dilungarsi di più sul contesto, non ne sarebbe risultata appesantita: un visitatore poco addentro alla storia del Rinascimento potrebbe per esempio non cogliere appieno l’importanza della formazione di Federico da Montefeltro alla Ca’ Zoiosa), dà luogo a un discorso armonico e unitario che non soffre la divisione su tre musei diversi (peraltro tutti vicinissimi e raggiungibili l’uno dall’altro con pochi minuti di passeggiata). Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra è un progetto di alto livello, ben orchestrato nella sua sistemazione lungo le tre sedi, e che si nutre in maniera brillante del rapporto con il territorio: al Museo Diocesano le opere della mostra dialogano egregiamente con la collezione permanente (il capitolo qui allestito, del resto, tocca anche temi religiosi), a Palazzo dei Consoli il tema della cultura feltresca è centrale anche per inquadrare la temperie del tempo (risale al 1456 uno dei momenti fondanti della comunità di Gubbio, l’acquisto da parte del Comune delle Tavole Iguvine, forse, suggeriscono i curatori, dietro sollecitazione dello stesso Federico “quali testimonianze dell’‘antichità’ del territorio sottoposto alla sua giurisdizione”), mentre a Palazzo Ducale, al piano nobile, il pubblico potrà ulteriormente approfondire il tema delle arti a Gubbio nel periodo di riferimento con altre opere di artisti in mostra. Senza calcolare che, com’è naturale, il bello di questa rassegna sta proprio nella sua capacità d’invitare implicitamente il pubblico a scoprire, in tutta la città, ulteriori tracce della Gubbio rinascimentale.

Federico da Montefeltro emerge dalla mostra come figura complessa, presentata al visitatore nelle sue singolarità tra immagine pubblica e dimensione privata, in un percorso che riesce anche a esser privo di quella retorica celebrativa che talvolta s’è vista accompagnare mostre organizzate in occasione di anniversarî e ricorrenze: la forza di Federico da Montefeltro e Gubbio. Lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra sta nell’essere anzitutto una mostra di storia e d’arte, forte d’un impianto solido, che ha richiesto un’accurata preparazione, che ben si sviluppa attraverso le tre sedi, e che riesce a far andare la rassegna oltre la dimensione di “omaggio” al duca. Nel momento in cui scriviamo, non è ancora uscito il catalogo completo della mostra: sono stati però resi disponibili i saggi dei curatori, che lasciano comunque prevedere che la pubblicazione di supporto alla mostra sarà un volume cui non mancheranno quelle qualità che si convengono a una rassegna come quella che il pubblico può vedere nei tre musei eugubini.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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