“Le déjeuner sur l’herbe”, la scandalosa opera di Édouard Manet


Oggi è considerato il capolavoro di Édouard Manet, ma nel 1863, quando fu esposto, “Le déjeuner sur l’herbe”, oggi al Musée d’Orsay, destò scandalo. E non solo per i suoi contenuti.

L’essere umano è alla costante e rabdomantica ricerca di qualcosa nel corso della sua vita, sperando che questo qualcosa possa lasciare anche solo un insignificante graffio nel mondo. Vogliamo essere ricordati: c’è chi cerca la fama, chi la felicità piena e smisurata e chi, invece, ricerca una luce e un buio così accecanti da lasciare indietro i mezzi toni. E proprio questi bagliori fugaci e dilanianti oscurità, vennero braccati da Édouard Manet (Parigi, 1832 – 1883) mentre si trovava intrappolato nella ricerca della sua strada. L’ora notissimo “padre del modernismo” inizialmente era un semplice pittore di estrazione borghese che intraprese il suo cammino con infinite difficoltà e con altrettante complicazioni: iniziò a esporre, dal 1861, al Salon ufficiale, quello dell’Académie des Beaux-Arts di Parigi, anche se le opere che gli venivano accettate erano principalmente quelle riecheggianti Velázquez e il suo stile spagnoleggiante che, al tempo, era estremamente apprezzato. Pur puntando alla grandezza del salone ufficiale, Manet decise di tenere aperto un piccolo spiraglio che gli consentisse di esprimersi con più libertà: quello del privato.

Il gallerista Martinet espose, fino al 1863, dei quadri di Manet tra cui il Balletto spagnolo del 1862, ma soprattutto i suoi dipinti esplicitamente dedicati alla vita moderna che fino agli anni Settanta non vennero mai esibiti al Salon. Nella sua biografia Souvenirs, il sodale di una vita di Manet, Antonin Proust, scrisse: “Il suo breve soggiorno nei paesi assolati ha acceso una concezione in cui tutto gli appariva con una semplicità che Thomas Couture non capiva… Rimuoveva del tutto i mezzi toni. Era costantemente alla ricerca del passaggio immediato dall’ombra alla luce”. L’irriverente artista, seppur trovasse inadeguata e mortificante la mera disciplina accademica, lavorò presso lo studio di Thomas Couture (Senlis, 1815 – Villiers-le-Bel, 1879) per sei anni, ben conscio che le sue opere fossero apprezzatissime dall’intellighenzia dell’epoca e, soprattutto, erano quelle che entravano negli agognati Salon.

Édouard Manet, Le déjeuner sur l'herbe (1862-1863; olio su tela, 208 x 264 cm; Parigi, Musée d'Orsay)
Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe (1862-1863; olio su tela, 208 x 264 cm; Parigi, Musée d’Orsay)
Édouard Manet, Miss V in costume da espada (1862; olio su tela, 165,1 x 127,6 cm; New York, Metropolitan Museum)
Édouard Manet, Miss V in costume da espada (1862; olio su tela, 165,1 x 127,6 cm; New York, Metropolitan Museum)
Édouard Manet, Giovane in costume da majo (1863; olio su tela, 188 x 124,8 cm; New York, Metropolitan Museum)
Édouard Manet, Giovane in costume da majo (1863; olio su tela, 188 x 124,8 cm; New York, Metropolitan Museum)
Édouard Manet, Balletto spagnolo (1862; olio su tela, 90,5 x 61 cm; Washington, The Phillips Collection)
Édouard Manet, Balletto spagnolo (1862; olio su tela, 90,5 x 61 cm; Washington, The Phillips Collection)

Seppur fosse una sorta di “enfant terrible” del suo tempo, un pittore che sembrava rifiutare la tradizione dipingendo in modo frettoloso e addirittura incompiuto e senza cura, Manet desiderava essere accettato e continuò a competere per essere riconosciuto ufficialmente, sottoponendo costantemente le sue opere a una giuria che non le trovava quasi mai esteticamente accettabili. E nel 1863 presentò, con il titolo Le bain (“Il bagno”), una grande tela oggi conosciuta come Le déjeuner sur l’herbe (“La colazione sull’erba”). Era un dipinto di dimensioni solitamente riservate alle opere di genere storico ed era stato concepito come la parte centrale di un trittico, un dipinto-bandiera (tableau-drapeau, termine con cui al Salon s’indicava il quadro che occupava il centro di una parete) che presentava ai suoi lati due soggetti di genere spagnolo: un ritratto di giovane uomo in costume di Majo e un ritratto di una signorina in costume di Spagna, entrambi del 1862.

L’opera fu rifiutata. Purtroppo, poiché non venivano redatti verbali, non ci è pervenuto uno strumento fondamentale per capire il perché dell’esclusione di quest’opera, ma quello stesso anno, e per la prima volta, la moltitudine di opere rifiutate portò Napoleone III ad aprire il Salon des Refusés, il salone dove venivano esposte le opere rifiutate al Salon. E così, l’opera di Manet venne esposta nelle nuove sale nel Palais de l’Industrie nella retrospettiva degli orrori (o almeno di quelli che venivano considerati tali), degli scarti e degli eterni rifiutati. Questa seconda esposizione, il salone dei rifiutati, attirò una fiumana di visitatori incuriositi dalla pittura moderna, ma ben poco preparati a ciò che avrebbero potuto scoprire. E avrebbero scoperto dipinti come la Sinfonia in bianco di Whistler, La féerie di Fantin-Latour, e soprattutto la colazione sull’erba di Manet.

L’artista mette qui in mostra una donna spogliata che guarda, disinvolta, verso lo spettatore mentre si incornicia il viso con una mano. La modella è Victorine Meurent, un’operaia di Montmartre. Accanto e di fronte a lei due studenti, l’uno di medicina e l’altro di giurisprudenza, vestiti di tutto punto, intenti a conversare fra loro mentre, in lontananza, un’altra donna in sottoveste si bagna le gambe in un ruscello. Una scena apparentemente semplice che rappresenta solamente una colazione, o meglio un pranzo all’aperto, che espone i vizi della borghesia dell’epoca. Eppure, solamente nel 1904 è stato scoperto che il gruppo principale, oltre a dichiarare una continuità con il Concerto campestre di Tiziano, faceva riferimento all’esercizio accademico della copia a incisione: in particolare, dalla stampa di Marcantonio Raimondi del Giudizio di Paride di Raffaello (1513-1515), affresco andato perduto. Manet prende le tre figure principali e le reinventa. Al posto degli dèi fluviali e delle ninfe presenta moderni parigini ottocenteschi che si godono il picnic. Non si sa perché i recensori contemporanei non ne parlarono, dato che l’opera di Raimondi era ben conosciuta e all’École nationale supérieure des beaux-arts era stata inserita per dodici anni di fila come prova d’esame di copia da incisione.

Le déjeuner sur l'herbe al Musée d'Orsay
Le déjeuner sur l’herbe al Musée d’Orsay
Tiziano Vecellio, Concerto campestre (1510 circa; olio su tela, 110 x 138 cm; Parigi, Louvre)
Tiziano Vecellio, Concerto campestre (1510 circa; olio su tela, 110 x 138 cm; Parigi, Louvre)
Marcantonio Raimondi, Giudizio di Paride, da Raffaello (1510-1520 circa; incisione, 291 x 437 mm; New York, Metropolitan Museum of Art)
Marcantonio Raimondi, Giudizio di Paride, da Raffaello (1510-1520 circa; incisione, 291 x 437 mm; New York, Metropolitan Museum of Art)
Pagina del catalogo del Salon des Refusés del 1863 con l'opera di Manet
Pagina del catalogo del Salon des Refusés del 1863 con l’opera di Manet

Eppure, sebbene un tale pedigree storico-artistico possa, molto spesso, garantire la cultura di un artista, in questa precisa opera sembra sottolineare ancora di più la distanza fra Manet e le fonti del Cinquecento. L’idea di vedere due uomini vestiti che conversano con una donna che non è nuda, ma semplicemente spogliata, estremamente maliziosa, e che cerca prepotentemente lo sguardo dell’osservatore, fu un qualcosa di scioccante per i contemporanei dell’artista. Il profondo turbamento era enfatizzato ancor di più dai riferimenti sessuali espliciti come l’uccellino che vola e, soprattutto, dall’inspiegabilità della scena: non esiste in quest’opera una narrazione che possa spiegare il contrasto fra la donna e gli uomini, il disinteresse della prima, la mancanza di pudore. Accade tutto il contrario rispetto a un qualunque dipinto tradizionale dove i modelli diventano dei nudi, solitamente figure mitologiche. Qui Manet parte dal preciso modello di riferimento (la ninfa di Raffaello) e sceglie deliberatamente di ribaltare i canoni dell’uso del nudo. Prende una ninfa, nuda e bellissima, e la spoglia rendendola una prostituta, e alludendo a una vita dissoluta e taciuta, nascosta.

Le figure sono inserite in un bosco che gli storici hanno individuato nel Bois de Boulogne, noto proprio per le passeggiate delle prostitute, o Gennevilliers, un porto fluviale della Senna situato dieci chilometri a nord-ovest di Parigi, dove la famiglia Manet possedeva un terreno.

Nonostante tutto, l’inquietante illuminazione dell’opera è stata paragonata spesso a una scena illuminata dai flash della fotocamera, che accentuano i contrasti e appiattiscono le figure in primo piano. E Le déjeuner sur l’herbe venne bollata dai contemporanei come un’opera scabrosa, indecente e scandalosa e i motivi che concorrono a renderla tale sono molteplici. Per esempio, degna di nota risulta anche la natura morta tizianesca in primo piano, improbabile poiché pesche e ciliegie maturano in stagioni diverse, e soprattutto le figure nitide e luminosissime stagliate perfettamente dal fondo secco che ricorda il fondale di uno studio fotografico. Non fu, dunque, solamente il contenuto a causare infinite polemiche, ma anche e soprattutto la tecnica dell’artista e la stesura dei colori in maniera deliberatamente rozza, le cromie caratterizzate da violenti contrasti tra luce e ombra che aboliscono il chiaroscuro. Avendo studiato con Thomas Couture, Manet conosceva bene i metodi accademici di costruzione delle immagini, l’uso del chiaroscuro: eppure sceglie di non applicare le regole appiattendo le forme ed enfatizzando la superficie della tela. Inizia così a creare donne che paiono cadaveri, intinte in una coltre di gesso, spazi dalla prospettiva piatta e tutt’altro che tradizionale, inizia a eliminare le gradazioni di tono lasciando brusche giustapposizioni di chiaro e scuro.

Édouard Manet era un uomo diviso fra due mondi ed eternamente in bilico fra essi: la borghesia, cui apparteneva per sangue, e la Parigi più povera, vera e disincantata. Inventò un nuovo linguaggio per il quale non venne mai accettato veramente, se non che dai reietti e dagli strani impressionisti alle cui esposizioni non partecipò mai. Manet voleva essere grande, voleva essere accettato e ricordato, ma dovremmo stare sempre molto attenti a ciò che desideriamo perché, come scrisse Oscar Wilde nel 1895, “quando gli dèi vogliono punirci esaudiscono le nostre preghiere”.


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