La fotografia, linguaggio universale. Steve McCurry a Castelnuovo


Il racconto dell'incontro con Steve McCurry a Castelnuovo Magra il 20 giugno 2016, con il fotografo ha raccontato e commentato al pubblico le sue immagini.

Articolo originariamente pubblicato su culturainrivera.it

Come un anno fa. L’incontro con Steve McCurry a Castelnuovo Magra è stato anche questa volta colmo di spunti interessanti, occasione per riflettere sulla varietà del mondo che ci circonda e su come si vive a migliaia di chilometri da qua, modo per conoscere più da vicino la personalità, la tecnica e il pensiero di uno dei più grandi fotografi del mondo. Sotto al Castello dei Vescovi di Luni, davanti a un pubblico di oltre mille persone radunato nella suggestiva piazza Querciola del borgo ligure, diventata per l’occasione una sorta di anfiteatro che ha abbracciato per quasi due ore l’artista americano, Steve McCurry ha commentato, per i presenti, alcune delle immagini-simbolo della sua carriera. Molte delle quali presenti alla mostra Football and Icons che rimarrà aperta, nella Torre del Castello, fino all’11 settembre.

Per chi ieri sera si fosse perso l’incontro, proponiamo di seguito una parte del racconto di Steve McCurry, legato ad alcune delle più belle fotografie che l’artista ha voluto raccontare al pubblico. Ne scaturisce il ritratto di un instancabile fotografo viaggiatore, alla perenne scoperta del mondo con la sua attrezzatura, capace anche di rischiare in più occasioni la vita, e in grado di rimanere sempre affascinato ovunque, anche in luoghi visitati già decine di volte.

Il palco allestito per Steve McCurry a Castelnuovo Magra in piazza Querciola
Il palco allestito per Steve McCurry a Castelnuovo Magra in piazza Querciola


Steve McCurry con la curatrice della mostra Biba Giacchetti, il sindaco di Castelnuovo Daniele Montebello, e le due interpreti che hanno tradotto per il pubblico l'intervento del fotografo
Steve McCurry con la curatrice della mostra Biba Giacchetti, il sindaco di Castelnuovo Daniele Montebello, e le due interpreti che hanno tradotto per il pubblico l’intervento del fotografo


Sittwe, Birmania, 1995

Steve McCurry, Sittwe, Birmania, 1995
Steve McCurry, Sittwe, Birmania, 1995


Intanto per me è motivo di grande onore, orgoglio e felicità essere ospitato qui a Castelnuovo Magra, con una mostra legata al calcio, un tema a cui sono molto legato. Perché proprio il calcio? Beh, la cosa bella del calcio è il fatto che è un linguaggio universale, è una sorta di comune denominatore che unisce tutti i luoghi del mondo. Ho voluto in sostanza unire due linguaggi universali: il calcio e la fotografia. Come il calcio, anche la fotografia si può comprendere qualunque sia la lingua che tu parli e ogni persona è in grado di fornire la propria interpretazione di un’immagine.

In questa foto, che ho scattato in Birmania, si vedono dei bambini che calciano un pallone su una spiaggia e si stanno semplicemente divertendo. Sullo sfondo c’è il relitto di una nave, uno dei miei soggetti preferiti. Biba Giacchetti [la curatrice della mostra Football and Icons, nda] ritiene che questa sia una delle foto più belle in mostra perché tra i giocatori si vede, a sinistra, un bambino piccolo, quello che corre con il pallone giallo, che si sta smarcando da due ragazzini più grandi di lui. Lo fa con grande scaltrezza, a dimostrazione che spesso anche se si è più piccoli non è detto che non si possa avere la meglio su chi parte in una condizione di vantaggio. È, insomma, una metafora della vita, che ci porta a immedesimarci in quel bambino piccolo e a prendere le sue parti.

Una cosa interessante di questa foto è che è stata scattata in un momento in cui stava piovendo molto forte: dalla foto non si vede, perché non si percepisce la pioggia che cade in abbondanza, ma il tempo non era certo dei migliori al momento dello scatto… !

Jodhpur, India, 2007

Steve McCurry, Jodhpur, India, 1997
Steve McCurry, Jodhpur, India, 1997


In questa foto c’è un bambino che gioca in un vicolo di Jodhpur, in India. Amo particolarmente questa foto: mentre camminavo per le strade della città sono capitato in questo vicolo coloratissimo, dove c’erano tutte queste impronte rosse con le mani, e ho subito pensato che potesse essere il luogo adatto per scattare una fotografia. Quindi mi sono fermato per catturare immagini delle persone che passavano di lì, per questa via.

Quando trovo uno scenario che mi affascina, sono capace anche di rimanere lì appostato per diverse ore, prima di trovare il momento giusto per fare una fotografia, perché aspetto che succeda qualcosa che possa attirare la mia attenzione. Ricordo che per scattare questa fotografia rimasi in quell’angolo della strada per almeno una o due ore. E in quelle due ore durante le quali rimasi fermo dietro la mia apparecchiatura, ho visto passare di tutto: oggetti, persone, animali, soprattutto mucche.

Una delle cose interessanti dell’India sono i suoi colori vivaci, è una cosa magnifica: anche per questo ho passato diversi anni in India per fotografare, spesso compiendo viaggi in treno attraverso il paese, in condizioni talvolta estreme, ma rimanendo comunque a contatto con la gente del posto. Ci sono poi molti contrasti: è un paese in cui puoi davvero vedere la differenza tra le famiglie benestanti, che girano su auto di lusso e vivono in case sontuose, e i poveri che invece vivono ai bordi delle strade, allestendo quasi delle case di fortuna negli angoli dei vicoli, dove socializzano, cucinano, mangiano, dormono, insomma trascorrono la loro esistenza. Con la mia fotografia ho voluto anche documentare questa realtà.

Porbandar, Gujarat, India, 1983

Steve McCurry, Porbandar, Gujarat, India, 1983
Steve McCurry, Porbandar, Gujarat, India, 1983


Quand’ero un ragazzino mi regalarono un libro di fotografie di Brian Brake tutte dedicate ai monsoni: e questo regalo è stato determinante nel farmi scegliere la professione che svolgo oggi, quella del fotografo. Quelle fotografie mi affascinarono parecchio e decisi anche io, quando potei farlo, di andare in Asia per documentare i monsoni. Anzi: il mio primo progetto personale era proprio dedicato ai monsoni [nda: Biba Giacchetti faceva notare al pubblico che presto ci sarà, in Nuova Zelanda, una mostra sui monsoni che ospiterà scatti di Steve McCurry e di Brian Brake].

Dicevo prima che l’India è il paese dei contrasti. E questo avviene anche a livello climatico, perché si passa dalla stagione secca, in cui tutto è arido e uno dei problemi maggiori è la siccità, alla stagione dei monsoni, quando le forti piogge allagano tutto creando nuovi enormi problemi alla popolazione. Per un fotografo documentare un monsone in svolgimento è difficilissimo, perché bisogna passare molto tempo sotto la pioggia forte, cercare di ripararsi il più possibile, anche semplicemente stando sotto un ombrello, per quel che può servire, e quindi trascorrere moltissimo tempo bagnati, con l’apparecchiatura che rischia continuamente di danneggiarsi e dovendo costantemente cambiare le lenti della macchina.

In questa foto ho ritratto un sarto che stava cercando di portare in salvo la sua macchina da cucire. L’azienda produttrice, attraverso la foto, riuscì a riconoscere la macchina e decise di regalarne una nuova a questa persona. Quando scattai questa foto io ero leggermente più in alto rispetto al sarto, stavo sopra uno scalino, ma comunque anche io ero quasi del tutto bagnato. Non potete immaginare quanto fosse sporca l’acqua, ci ho visto galleggiare di tutto, anche carcasse di animali morti. Ma del resto per scattare immagini fedeli e veritiere è anche necessario sottoporsi a questo tipo di avversità. In questo caso temevo anche di contrarre qualche malattia, proprio per le disastrose condizioni igieniche dell’acqua in cui ho dovuto immergermi.

Porbandar, Gujarat, India, 1983

Steve McCurry, Porbandar, Gujarat, India, 1983
Steve McCurry, Porbandar, Gujarat, India, 1983


Anche questa fotografia è stata scattata nella stessa occasione di quella che vi ho fatto vedere poco fa. Amo molto questa foto perché il cane si comporta esattamente come farebbe un essere umano: è davanti alla porta che aspetta di entrare in casa per ripararsi dalla pioggia, lo vediamo proprio ansioso di entrare, con il muso rivolto verso la porta.

Tuttavia, anche se queste fotografie sono state scattate nello stesso luogo, mi capita spesso di fotografare le stesse situazioni in luoghi diversi, anche perché i monsoni non riguardano solo l’India ma colpiscono gran parte dell’Asia, dal Bangladesh alle Filippine passando per la Birmania. Come si diceva prima, il linguaggio della fotografia è universale, e così anche le storie che racconto con i miei scatti assumono una sorta di valenza universale.

Rajasthan, India, 2010

Steve McCurry, Rajasthan, India, 2010
Steve McCurry, Rajasthan, India, 2010


Ho sempre avuto una specie di ossessione per i ritratti delle persone nei propri spazi. In questa foto scattata in Rajasthan nel 2010 ho voluto ritrarre un uomo della comunità dei rabari: sono dei nomadi che si spostano in questa regione del nord dell’India e trascorrono la vita in povertà. Però, come ho riscontrato anche in altre zone del mondo, per esempio in Tibet, malgrado molte persone vivano in condizioni di povertà anche estrema, l’attenzione nei confronti dell’estetica e dell’aspetto esteriore viene curata anche con grande attenzione.

In questo caso l’uomo ha la barba e i capelli di questo colore arancione acceso perché tra questa popolazione vige l’usanza di tingersi con l’henné i capelli e la barba quando imbiancano.

Weligama, Sri Lanka, 1995

Steve McCurry, Weligama, Sri Lanka, 1995
Steve McCurry, Weligama, Sri Lanka, 1995


Una cosa che trovo curiosa nella mia attività di fotografo è vedere come in ogni parte del mondo si compiono le stesse, identiche attività, ma le si compiono con modalità che cambiano completamente e sono del tutto differenti da una zona all’altra.

Questi uomini che ho fotografato in Sri Lanka sono dei pescatori, e per catturare i pesci usano questo particolarissimo metodo, ovvero si appostano sopra dei pali conficcati in acqua e da lì gettano le reti, aspettando che i pesci entrino. Sembra una posizione scomoda ma posso assicurare che è un metodo molto efficace perché li vedevo tornare con le reti piene. Anche in questo caso ho dovuto scattare la foto in soggettiva, e quindi ho dovuto immergermi nell’acqua.

Kuwait, 1991

Steve McCurry, Kuwait, 1991
Steve McCurry, Kuwait, 1991


Questa foto è stata scattata durante la prima guerra del Golfo, in Kuwait. Non immaginiamo che spesso le guerre portano devastazione anche nell’ambiente, e qui ho voluto fotografare un disastro ambientale, con i bombardamenti che avevano colpito dei pozzi petroliferi causando esplosioni, fuoriuscite di petrolio e devastazione. Nella foto i dromedari sembrano fermi ma in realtà stavano cercando una via di fuga per scampare dalle esplosioni, era una situazione molto frenetica e difficile.

In Kuwait durante la guerra ho voluto scattare diverse immagini agli animali in pericolo: oltre ai dromedari c’erano cavalli che cercavano allo stesso modo di fuggire, ma ho purtroppo visto anche tanti uccelli morire nei corsi d’acqua invasi dal petrolio, loro credevano di nuotare in laghi colmi d’acqua ma in realtà annegavano per il petrolio che fuoriusciva dai condotti danneggiati dai bombardamenti.

Ragazza afghana, 1984

Steve McCurry, Ragazza afgana, 1984
Steve McCurry, Ragazza afgana, 1984



Dopo che pubblicammo la fotografia della Ragazza afghana, ricordo che persone da tutto il mondo ci scrissero [alla National Geographic, rivista su cui la foto fu pubblicata, nda] per chiedere come potevano aiutarla, anche con soldi e vestiti o altro… e la cosa andò avanti per anni. Di quella foto ricordo la grande timidezza che Sharbet [il nome della ragazza] mostrò di fronte alla camera. Esiste un’ulteriore fotografia, scattata mentre facevamo le prove, che la ritrae mentre con le mani si nasconde il volto. Poi grazie anche all’aiuto della sua maestra, perché la foto fu scattata nella classe in cui la ragazza studiava, in una scuola allestita in un campo profughi, riuscimmo a convincerla a posare per uno scatto. Il risultato è la foto oggi famosa in tutto il mondo. Ho fatto questa foto con una macchina fotografia Nikon, molto semplice, installata su un treppiedi: la difficoltà principale era l’oscurità dell’ambientazione, ci trovavamo in un ambiente molto buio e abbiamo dovuto fare diverse prove per impostare l’assetto corretto.

Circa vent’anni più tardi abbiamo pensato di tornare a far visita a Sharbat. Siamo dunque tornati in Afghanistan, dove abbiamo incontrato il fratello, che ci ha fornito preziose informazioni su di lei e siamo dunque riusciti a ritrovarla. L’incontro, a distanza di due decenni, è stato davvero emozionante [nda: Steve McCurry ha parlato in più occasioni del suo incontro con Sharbat Gula del 2002, anche lo scorso anno a Castelnuovo Magra, quando dichiarò che “ci ha fatto davvero molto piacere incontrarci di nuovo. E sapete perché? Perché se ci siamo incontrati di nuovo a distanza di quasi vent’anni, significa che entrambi eravamo ancora vivi”].

Steve McCurry firma autografi al pubblico dopo il suo intervento
Steve McCurry firma autografi al pubblico dopo il suo intervento


 


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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