La tutela del patrimonio all'italiana: Mutignano e la chiesa della Madonna della Consolazione


La chiesa della Madonna della Consolazione di Mutignano (Teramo) è in avanzato stato d'abbandono da anni. Malgrado gli investimenti fatti per il recupero.

L’abbondanza dell’abbandono: l’Italia, è ormai luogo comune, ha un patrimonio culturale sterminato, ma forse fuori dal Paese davvero pochi sanno che non tutti questi beni sono fruibili, tutelati, integri. Verrebbe da dire che quasi la metà di questo patrimonio è in abbandono e in rovina. Certo, qualcuno potrà pensare alle distruzioni causate dai recenti terremoti, ma paradossalmente questi e altri fenomeni naturali al giorno d’oggi sembrano incidere meno sul patrimonio: la famosa volta della Basilica di san Francesco di Assisi, crollata nel sisma del 1997, è stata ricostruita con i suoi affreschi, e nel centro storico dell’Aquila, nonostante la lentezza dei lavori, hanno riaperto il Museo Nazionale d’Abruzzo (parzialmente) e almeno tre chiese, anche se c’è l’altra faccia della medaglia testimoniata dai paesi colpiti dal terremoto in Emilia del 2012 dove la ricostruzione sembra ancora da iniziare. I danni più gravi sono causa dell’uomo. E nemmeno qui c’è da pensare ad azioni di forza, dato che il nostro Paese non è interessato al momento da guerre violente.

L’origine è psicologica: ignoranza e disinteresse, mescolati alla perdita di vari pezzi della cultura popolare (in primis la tradizione religiosa, con una serie di devozioni e feste ormai dimenticate, che erano legate a chiese per questo ritenute importanti), hanno portato a distogliere gli occhi e le cure da interi edifici. Ne sono colpevoli i semplici cittadini, che solo in località con una ricca tradizione storica talvolta si muovono in difesa dei monumenti in abbandono. Ma da quei semplici cittadini proviene la classe dirigente, nazionale e locale, eletta democraticamente, provengono i membri delle Soprintendenze, provengono tutti coloro che fanno parte di enti e istituzioni senza primarie finalità culturali ma che si trovano a gestire una parte del patrimonio, ad esempio la Chiesa.

Certamente i monumenti che soffrono di tale incuria sono quelli che solo per esigenze comunicative vengono chiamati ‘minori’, poiché in realtà nessuno è veramente tale: così non sarà una Cattedrale, nel punto centrale di una città, ad essere in abbandono, quanto un oratorio nei vicoli del centro storico o un ex convento nelle campagne. Paradossalmente, la densità dei siti in abbandono aumenta con il diminuire delle dimensioni delle località: una città medio-grande ha certamente un numero maggiore di edifici abbandonati, ma un piccolo paese, raccolto intorno alla sua piazza e all’edificio principale (la chiesa parrocchiale) e con un territorio comunale limitato alle campagne limitrofe, ne presenta tanti in posizione ravvicinata.

Causa principale è lo spopolamento, a sua volta conseguenza di una serie di questioni economiche e sociali che qui non si possono discutere: la globalizzazione, il fascino delle opportunità delle grandi città, l’industrializzazione, un certo centralismo un po’ in tutti i campi della vita pubblica. Tutto ciò è stato fatto senza il rispetto del particolarismo che caratterizza l’Italia, unita da solo centocinquanta anni; i territori di questi piccoli centri sono diventati area di sfruttamento per le espansioni urbane indiscriminate e per i progetti industriali, disintegrando la loro cultura e senza far nulla per migliorarne le sorti, mentre i giovani, date queste premesse, ormai da decenni si ammassano nelle grandi città (poche tra l’altro) e nelle località ad esse più vicine, alcuni spinti da una sorta di rifiuto e dimenticanza delle loro origini, desiderosi di rincorrere quell’ambiguo progresso che solo in poche parti sembra possibile realizzare, altri invece per quello che si può con dolore chiamare ‘spirito di sopravvivenza’, non avendo altra opportunità che allontanarsi, con grande disagio, per avere di che vivere (e stiamo parlando del XXI secolo!).

La politica ha usato il patrimonio culturale per pura retorica, per farsi bella davanti a tutti, italiani e stranieri, e si è giocoforza appoggiata a quei monumenti che meglio potevano esprimere un’idea di benessere: è consolante vedere file chilometriche di turisti alla Galleria degli Uffizi, e poi vai a vedere quanti fiorentini ci vanno e sentono il museo come la loro casa perché espressione della propria cultura.

Fuori dai soliti grandi siti, che pur hanno anch’essi i loro problemi, la situazione si fa sempre più desolante, fino a giungere come detto a questi piccoli centri che ormai stanno perdendo la propria identità. Le lentezze della burocrazia, nelle Soprintendenze e nelle altre istituzioni, costituiscono la ciliegina sulla torta.

Facciamo un esempio, di quelli sconosciutissimi, e quasi dimenticati dalla stessa popolazione locale. Salendo dalla costa abruzzese, sul viale d’ingresso a Mutignano, nessuno farebbe a caso (e credo non lo farebbero nemmeno i ragazzi della zona) ad un edificio coperto da impalcature, in avanzato stato d’abbandono, senza nemmeno un cartello a segnalarlo, insomma poco appariscente rispetto alle moderne case, splendenti nei loro nuovi intonaci, che quasi assaltano quella che è una chiesa, dedicata alla Madonna della Consolazione.

Madonna della Consolazione a Mutignano
A sinistra, una vecchia foto della chiesa della Madonna della Consolazione a Mutignano. A destra, la pianta della struttura originaria (immagini da www.lacittasottile.it)

Il lettore si chiederà: ma cos’è Mutignano? È comprensibile che non la conosca, ma lo avvisiamo che, anche se si dovesse recare in zona, quasi nessuno lo indirizzerebbe a visitarla, offuscata dai monumenti costantemente pubblicizzati della vicina Atri, dalla vivacità delle sottostanti località costiere, e sì, anche dall’ignoranza di chi dovrebbe occuparsi di divulgazione culturale e gestione turistica nel territorio.

Mutignano è oggi una frazione di Pineto, cittadina sul mare della Provincia di Teramo, di circa 14.000 abitanti. Per secoli il paese è stato uno dei casali (frazioni) di Atri, l’unico verso il mare assieme alla vicina Silvi. Entrambe condividevano un’importanza militare strategica nei confronti del capoluogo: mentre l’ultima doveva controllare e difendere il sottostante Porto di Cerrano, lo scalo commerciale di Atri, sviluppando in questo senso una cultura marinaresca estranea alla città dominante e al suo territorio, Mutignano era il castello preposto a difendere dalla parte orientale la stessa Atri, che invece per la difesa del lato opposto possedeva una fortezza dentro le mura. Mutignano veniva così considerata una sorta di prolungamento extraurbano di Atri ed è significativo che, nei catasti, fosse unita al quartiere orientale della città, il quarto di san Giovanni. Di questo forte legame rimane traccia nelle due chiese ancora esistenti nel centro storico, San Silvestro e Sant’Antonio, dove hanno operato gli artisti attivi ad Atri (ad esempio Andrea De Litio nel ‘400) o che ripropongono in forme semplificate ciò che vi è nel capoluogo. Anche a livello sociale Atri e Mutignano, nonostante l’autonomia ottenuta da quest’ultima nella seconda metà del ‘700, hanno mantenuto uno stretto rapporto e quasi per naturale conseguenza la spiaggia della sottostante Pineto è oggi la meta estiva degli atriani. Pineto è una città di fondazione: essa nacque tra gli anni ’20 e ’30 su alcuni terreni che la famiglia Filiani, di Atri, possedeva nel tratto di costa del Comune di Mutignano. La nuova realtà diventò subito il capoluogo comunale e crebbe rapidamente grazie all’afflusso di persone non solo dalla vecchia sede comunale, non solo da Atri, ma anche dai centri costieri vicini, come Silvi e Roseto. Con una differenza rispetto a questi ultimi, piccola ma significativa. A partire dall’Ottocento i paesi della Provincia di Teramo sulle ultime colline prima del mare iniziavano un rapido sviluppo a ridosso della spiaggia, ormai non più paludosa e malarica come un tempo. I nuovi agglomerati urbani nascevano in sostanza spontaneamente e progressivamente e vi si trasferiva gente proveniente dal colle che manteneva i contatti con il centro antico, il quale talvolta manteneva la sede comunale e di cui la città nuova riprendeva il nome, garantendo una continuità storica e culturale. Così è accaduto a Silvi, così a Giulianova dove centro storico e parte litoranea sono praticamente un tutt’uno. Pineto, per le brevi note storiche esposte sopra, non può considerarsi una naturale espansione di Mutignano. I nomi sono diversi, differenti i santi patroni, e il carattere eterogeneo dei primi abitanti di Pineto ha creato una nuova identità.

Veduta di Mutignano
Veduta di Mutignano (da Panoramio)

Mutignano, nonostante il fascino che può suscitare nel piccolo territorio comunale pinetese per le testimonianze storiche che possiede, è di fatto vista e trattata alla stregua di una frazione. Lungo le strade del Comune fanno ancora mostra i cartelli pubblicitari con la grande scritta “Visitate Mutignano” installati circa dieci anni fa e ormai così anneriti da passare inosservati. Nel centro storico, con un impianto urbano a spina di pesce che si snoda tra la chiesa parrocchiale e il parco del Castellare (dove era il Castello), pochi sono gli abitanti rimasti. Non si trova nessuno nemmeno nella settimana di Ferragosto, quando tutta la zona è stracolma di turisti. La comunità protestante locale, di cui rimane la graziosa cappella sul Corso, per l’esiguità si è dovuta unire a quella di Giulianova. La chiesa di Sant’Antonio, piccolo gioiello barocco, è aperta solo in occasione di conferenze e concerti, che di certo non sono continui lungo tutto l’anno. Poco più facile è visitare la parrocchiale di san Silvestro, le cui aperture sono drasticamente diminuite dopo il furto di alcune tavolette della pala rinascimentale di Andrea De Litio nel 2006, segno della mancanza di un’adeguata custodia e tutela. Molti edifici antichi, nonostante le sapienti ristrutturazioni degli ultimi anni, mostrano ancora parti decisamente poco consone alla struttura.

Il culmine del disinteresse locale verso questo piccolo centro si ammira, come detto sopra, nella chiesa della Madonna della Consolazione. Ormai si può dire che il suo stato di abbandono sia storico. Intere generazioni l’hanno vista così, una presenza quasi familiare con quei muri dissestati e quel leggero campanile a vela affacciati sul campetto meta dei bambini del paese.

Madonna della Consolazione a Mutignano, Stato attuale della facciata
Madonna della Consolazione a Mutignano, stato attuale della facciata (foto di Francesco Mosca)


Madonna della Consolazione a Mutignano, Stato attuale della fiancata
Madonna della Consolazione a Mutignano, stato attuale della fiancata (foto da www.lacittasottile.it)

La chiesa, fondata nel 1408 come recita un’epigrafe trasferita nella parrocchiale (ma non è dato sapere se fu fondata su una chiesa precedente), era importante in zona sia a livello storico-artistico sia religioso. Costruita fuori le mura, come molti santuari mariani (Santa Maria del Soccorso a L’Aquila, la Madonna di san Luca a Bologna, la Madonna dell’Impruneta a Firenze…), e con una forma a croce greca, di derivazione bizantina, uno dei pochi edifici di questo genere presenti in Abruzzo, la chiesetta era la tipica Cona, come sono chiamate in Abruzzo le chiese rurali nate attorno ad un’immagine sacra molto venerata (da Icona), tanto che la Madonna della Consolazione era detta dai mutignanesi anche Madonna della Cona. La festa in onore della Vergine si svolgeva l’8 Settembre e vedeva una grande partecipazione per la possibilità di lucrare un’indulgenza plenaria, non si sa quando istituita.

Il problema della salute della chiesa si era presentato fin dal 1924, segnalato dall’ispettore di zona per la Regia Soprintendenza di Roma e dall’Amministrazione Comunale, che ancora per pochi anni avrebbe avuto la sua sede a Mutignano. I danni strutturali riscontrati risalivano a vario tempo addietro, forse al terremoto del 1884.

La relazione sull’edificio portava l’attenzione soprattutto su alcuni affreschi, con due foto allegate raffiguranti San Sebastiano e la Madonna con Bambino, databili entro i primi due decenni del ‘500, di un pittore umbro-marchigiano assai vicino ai modi di Bernardino di Mariotto di Perugia, attivo dal 1502 al 1521 a San Severino Marche, che cercava di coniugare in una maniera facile e piacevole i modi tardogotici di Carlo Crivelli, lo stile delicato del maestro locale appena morto Lorenzo d’Alessandro e le novità di Perugino e Pinturicchio. Lo stesso pittore della Madonna della Consolazione ha probabilmente operato nella chiesa di san Silvestro, dove affresca una Madonna con Bambino tra santa Reparata e san Biagio.

Le fotografie del san Sebastiano e della Madonna col Bambino (particolari) dalla relazione del 1924
Le fotografie del san Sebastiano e della Madonna col Bambino (particolari) dalla relazione del 1924


Madonna con Bambino e santi nella chiesa di San Silvestro
L’affresco della Madonna con Bambino tra santa Reparata e san Biagio nella chiesa di San Silvestro (foto di Sergio Scacchia)

Influssi di area marchigiana dovevano essere presenti in zona se si guarda anche alla grande Pala degli Osservanti, oggi al Museo Capitolare di Atri, eseguita da un anonimo maestro meridionale di più alta levatura del pittore di Mutignano che ripropone in uno stile personale le varie tendenze artistiche circolanti allora lungo la costa adriatica. Per un migliore restauro dell’edificio si consigliava di abbassare il pavimento della chiesa, rialzato nel 1749 per ospitare le sepolture, in modo da poter portare alla luce altri affreschi. Ma nessun intervento fu messo in atto. Dalle foto d’epoca e dall’aspetto attuale dell’edificio si può ipotizzare che siano stati realizzati interventi architettonici senza scrupoli di tutela che hanno pesantemente modificato la chiesa, forse dovuti ad un altro terremoto, quello del 1930: la facciata fu spostata dove è oggi, direttamente sul viale, facendo diventare navata ciò che prima era il transetto e rialzando i muri di questo, mentre il vecchio presbiterio fu abbattuto.

La Pala degli Osservanti
La Pala degli Osservanti (Atri, Museo Capitolare - foto di Gino Di Paolo)

Inoltre, durante la Seconda Guerra Mondiale, a detta della popolazione locale, sembra che sia stata adibita a magazzino di armi. La chiesa continuò ad essere officiata fino agli anni ’60, quando il degrado era così avanzato che il parroco decise di chiuderla per inagibilità, decretando così la fine della festa settembrina. Forse il sacerdote aveva intuito che la cosa non si sarebbe risolta subito: tutto il salvabile fu portato nella parrocchia, la pala d’altare (una copia ottocentesca della Madonna Bridgewater di Raffaello), alcune tele della prima metà del ‘600 tra cui una Madonna del Rosario, infine qualche ex voto. Gli affreschi rimasero sulle pareti e ad oggi non si sa quale sia la loro sorte.

Nel corso dei decenni, la situazione peggiorò, fino ad arrivare ai danni causati dal terremoto del 1984, che minò soprattutto la stabilità del tetto (che infatti crollò pochi anni dopo). Il parroco aveva pensato di demolirla, ma l’Amministrazione Comunale di Pineto la comprò, senza comunque avviare un progetto di recupero. Santa Maria della Consolazione era destinata a diventare in tutto un rudere da studiare per l’Archeologia, finchè nel 1998 il Ministero delle Belle Arti non è (modestamente) intervenuto realizzando puntellamenti e un tetto provvisorio in ferro (tranne che nell’area dell’ingresso originario), rinnovati nel corso degli anni. La Soprintendenza nel 2006 ha stanziato 250.000 euro per il restauro, somma piuttosto esigua che, ancora una volta, non si è tradotta in fatti. Le Amministrazioni locali si sono sempre poste l’obiettivo di restaurare la Madonna della Consolazione, ma ad oggi il suo stato è sempre quello di un rudere, a più di cinquant’anni dalla sua chiusura. Negli ultimi mesi del 2015 e nei primi del 2016 accordi stretti tra il Comune, la Regione, la Diocesi di Teramo – Atri e una serie di architetti hanno fatto sembrare imminente l’avvio dei lavori.

Ma ad oggi, inizio del 2017, la chiesa della Madonna della Consolazione di Mutignano è nel suo stato tradizionale di rudere puntellato. Chissà, forse rimarrà per sempre così. D’altronde, nessuno la ricorda aperta e tante chiese sono diventate famose per il loro stato di abbandono, come San Galgano a Chiusdino (Siena), o in Abruzzo Santa Maria di Cartignano presso Bussi sul Tirino. Così, come quelle chiese hanno perso la loro funzione per una serie di eventi e mutamenti culturali della zona, anche questa, ben più modesta, sarà lasciata lì. Anzi, con la sua poca appariscenza, la mancanza di elementi artistici notevoli (ma quello che aveva è trasferito o sarà andato distrutto!), forse un giorno finirà sotto le ruspe e al suo posto comparirà una nuova casa. O amplieranno il campetto, che già ha preso il posto del vecchio presbiterio.

Bibliografia storico – artistica di riferimento su Mutignano

  • Luisa Franchi Dell’Orto (a cura di), Documenti dell’Abruzzo Teramano, vol. 5, Dalla valle del Piomba alla valle del basso Pescara, Sambuceto (Ch), Poligrafica Mancini, 2001
  • CARSA Edizioni, Meraviglie sconosciute d’Abruzzo, vol. 11 I tesori della storia, pagg. 64 – 67, Sambuceto (Ch), Litografia Brandolini, 2006


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L'autore di questo articolo: Gioele Scordella

Gioele Scordella è uno studente abruzzese di Storia dell'Arte all'Università di Firenze.



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