Che problema c'è se si organizza un ballo nel cortile di Brera a museo chiuso?


Riflessioni a margine del cosiddetto 'Ballo di Brera', la serata danzante a inviti che si è svolta il 21 giugno nel cortile della Pinacoteca di Brera.

La domanda con cui ho deciso d’intitolare questo articolo è ovviamente retorica. In realtà, i problemi ci sono. Un museo dovrebbe essere base per costruire il nostro senso di cittadinanza e non semplice location per spettacoli destinati a cosiddetti vip, o presunti tali. Un museo dovrebbe includere e, per evitare conseguenti conflittualità con tale obiettivo, dovrebbe rifuggire qualsivoglia evento al quale attribuire l’etichetta di “esclusivo”, come è un ballo riservato esclusivamente a un migliaio di selezionatissimi invitati. Un museo, in sostanza, dovrebbe essere un palazzo della cultura e non un palazzo delle feste, tanto più se queste ultime sono riservate a un ristretto nugolo di facoltosi ospiti che zampettano grondanti di furori tersicorei.

Sala XIV della Pinacoteca di Brera. Foto: Finestre sull'Arte
Sala XIV della Pinacoteca di Brera. Foto: Finestre sull’Arte

Occorre però anche analizzare le singole situazioni in maniera un po’ più approfondita, evitando di fermarsi al piano della pura ideologia, che sicuramente metterà d’accordo molti di noi, ma che spesso non basta per trovare risposte adeguate. Dovremmo, in altri termini, domandarci se ogni tanto non si dia il caso di scendere a compromessi: lo abbiamo spesso scritto su queste pagine, e lo ripetiamo anche dopo il Ballo di Brera, nato da un’idea del direttore della Pinacoteca, James Bradburne, e del critico Philippe Daverio. Senza volersi addentrare in giudizî sul parterre (chi è curioso di leggere i nomi di alcuni partecipanti, o di vedere le foto dell’evento, incontrerà poche difficoltà nel recarsi su Google e inserire un paio di parole chiave atte allo scopo), possiamo giusto affermare che s’è trattato, sicuramente, d’un ballo per pochi invitati. Di un evento mondano, insomma, come ce ne sono tanti a Milano e in altre città d’Italia. Ma è necessario rimarcare che il tutto s’è svolto in orario di chiusura al pubblico e, almeno a quanto ne sappiamo, la normale fruizione da parte del pubblico non è stata in alcun modo intaccata dal gran ballo d’estate.

Si potrà poi asserire che la Pinacoteca non ha ricavato alcun introito economico diretto dall’operazione, dal momento che i suoi spazî non sono stati affittati a un locatario che ne abbia fatto richiesta: si trattava d’un ballo organizzato dalla stessa Pinacoteca di Brera, che probabilmente l’avrà ideato come una mera operazione di marketing. Banalizzando, qualcuno forse avrà pensato: "dal momento che, per taluni potenziali sostenitori, la vista del Cristo morto di Mantegna, della Pala Montefeltro di Piero della Francesca o dello Sposalizio di Raffaello potrebbe non costituire condizione sufficiente per un avvicinamento al museo, ci facciamo forti d’una serata danzereccia che si ponga lo scopo di aprire i cuori dei più restii". Il marketing (che, come abbiamo sottolineato spesso, non è parola da evitare con orrore) si fa anche in questo modo. E, ancora, il ballo s’è configurato anche come una sorta di ringraziamento a quanti hanno garantito elargizioni alla Pinacoteca di Brera: tra gli invitati erano infatti presenti diversi soggetti che hanno sostenuto il museo. D’accordo: una donazione che voglia dirsi veramente tale dovrebbe essere disinteressata. Ma, francamente, non ci sentiamo di condannare la Pinacoteca se quest’ultima ha deciso di offrire ai suoi sostenitori una festa in segno di gratitudine. Il direttore avrebbe potuto organizzarla altrove senza impegnare il cortile della Pinacoteca? Forse sì, ma evidentemente, agli occhi della platea, la cosa non avrebbe sortito lo stesso fascino.

Utilizzare il cortile di un museo per un party è una mossa scientificamente ignobile? In realtà, non vedo dove sia il problema: un ballo nel cortile non coinvolge gli apparati scientifici d’un istituto, e un museo può anche ospitare eventi, soprattutto laddove il museo debba anche diventare spazio d’aggregazione e di costruzione della comunità. Basta saperlo fare in modo intelligente (come, del resto, avviene ormai in molti casi) e favorendo l’inclusione. A Brera non è andata così? Il museo non è stato sufficientemente inclusivo? Tutti coltiviamo il sogno d’un museo che non chiuda le porte a nessuno e non faccia selezioni tra il pubblico. Ma dobbiamo anche domandarci se, in questo momento storico, questo percorso non possa essere costruito anche con serate come quella dedicata al “Ballo di Brera”, che non hanno ripercussioni né sui visitatori, né sulle opere, che non recano danni d’immagine all’istituto, e che potrebbero essere prese come occasioni per sostenere il museo.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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