Gli etruschi, abili commercianti e navigatori. Gli scambi, i prodotti che compravano e vendevano, gli empori


Gli etruschi furono abili commercianti, che producevano merce da esportare in tutto il Mediterraneo. Ecco quali prodotti comperavano e vendevano, quali rotte frequentavano, quali empori fondarono

Entrando in un museo archeologico che abbia una sezione dedicata agli etruschi, è pressoché certo che si troveranno grandi vetrine colme di ceramiche d’ogni epoca, molte prodotte in Etruria, ma molte altre provenienti dalla Grecia: sono forse la testimonianza più viva ed eloquente del commercio etrusco. In Etruria, infatti, lo sviluppo dell’arte della ceramica conobbe una crescita rapida e consistente grazie ai rapporti che gli etruschi intrattenevano con i greci: la presenza, nell’Italia meridionale, di colonie greche aveva fatto sì che in Italia si muovessero diversi mercanti che arrivavano dalla Grecia portando con loro ceramiche di produzione ellenica. Dapprima, in epoca arcaica, era consistente il commercio di ceramiche prodotte nella Grecia orientale (per esempio a Rodi, Samo, Mileto), a Corinto o a Sparta, mentre a partire dalla metà del sesto secolo avanti Cristo sarebbe stata la ceramica attica il prodotto più richiesto sul mercato. Gli etruschi diventarono forti importatori di ceramica greca, e ciò consentì, come detto, l’evolversi delle scuole locali (che, tuttavia, non raggiunsero mai il grado di qualità dei modelli greci): soprattutto a Chiusi fu fiorente la produzione di ceramiche d’imitazione, soprattutto di quelle a figure rosse. Il processo fu inoltre facilitato dalla presenza di artisti immigrati dalla Grecia, o dall’abilità degli artisti locali che più di altri seppero cogliere i tratti distintivi dell’arte greca migliorando in tal modo il livello della ceramica etrusca. La storiografia ha anche coniato il termine “ceramica etrusco-corinzia” per designare la produzione ceramica sviluppatasi tra la fine del settimo e la metà del sesto secolo avanti Cristo, soprattutto nell’Etruria meridionale (corrispondente oggi, all’incirca, alla provincia di Viterbo), e che si rifaceva alla ceramica tipica di Corinto, oppure imitava modelli di altre città greche ma inserendovi la presenza di elementi tipicamente corinzi. Uno dei più attivi artisti etrusco-corinzi fu il cosiddetto Pittore della Sfinge Barbuta (così soprannominato per il fatto che in molti oggetti a lui attribuibili compare la figura della sfinge barbuta), un prolifico ceramista che garantì un notevole impulso alla diffusione della ceramica locale. I modelli poi cambiarono verso il 550 avanti Cristo, quando l’importazione delle ceramiche da Corinto cominciò a frenare e aumentò invece l’importazione delle ceramiche a figure nere: sorsero anche in Etruria botteghe che le imitavano.

L’importazione di ceramiche, benché sia quella più nota e documentata, non era comunque l’unica: dopo che la civiltà etrusca iniziò a diventare ricca, prospera e aperta al mondo (a partire dal settimo secolo avanti Cristo), molte città dell’Etruria iniziarono a importare merci con sempre maggior frequenza. Dalla Grecia, oltre alle ceramiche, s’importavano oggetti in bronzo (per esempio vasellame e utensileria d’uso quotidiano), operte d’arte (come il cosiddetto Pigmeo del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, un’opera in avorio d’epoca ellenistica, probabilmente prodotta proprio in Grecia) e beni di lusso. Erano particolarmente attivi anche i traffici con la Gallia, da cui venivano importati schiavi (in Etruria, infatti, vigeva la schiavitù: è celebre il passo di Diodoro Siculo in cui si narra di come, in occasioni di feste e convivialità, gli schiavi fossero vestiti talmente bene che si sarebbero potuto scambiare per i loro signori) e beni tipici delle produzioni di quei luoghi, come pellicce, sale e minerali quali l’oro e lo stagno. Dalle terre del Vicino Oriente invece si importavano vasellame, avorio e preziosi oggetti d’oreficeria. Quanto all’avorio, è interessante notare come la lavorazione di questo materiale (secondaria rispetto, per esempio, a quella del bronzo o dell’oro) avvenisse direttamente in Etruria: in alcuni scavi archeologici sono stati infatti ritrovati avori non ancora lavorati. In Etruria l’avorio serviva per realizzare piccole e preziose opere d’arte (nell’articolo sulla cosmesi etrusca si è fatto l’esempio del pettine della Banditella, probabilmente un accessorio da esposizione e non da uso), ma anche utensili e oggetti destinati all’utilizzo quotidiano (per quanto si trattasse comunque di beni dal costo elevato, dunque appannaggio delle classi sociali più elevate). Alcuni esempi sono la tavoletta di Marsiliana, una sorta di “guida” dell’alfabeto etrusco, ma al Museo Archeologico Nazionale di Firenze o al Museo Guarnacci di Volterra si conservano anche dei dadi da gioco (ed è quasi incredibile notare come somiglino a quelli odierni), e sempre a Firenze è possibile trovare manici di flabello (un particolare tipo di ventaglio), fermagli, raschiatoi.

Ceramica etrusco-corinzia. A sinistra: olpe (580-560 a.C. circa; ceramica; Pisa, Antiquarium dell'Università di Pisa). A destra: due olpai e una coppa (fine VII - inizi del VI secolo a.C.; ceramica; Fucecchio, Museo Civico)
Ceramica etrusco-corinzia. A sinistra: olpe (580-560 a.C. circa; ceramica; Pisa, Antiquarium dell’Università di Pisa). A destra: due olpai e una coppa (fine VII - inizi del VI secolo a.C.; ceramica; Fucecchio, Museo Civico). Ph. Credit Francesco Bini


Pittore della Sfinge Barbuta, Anfora con figure di animali (630-580 a.C. circa; ceramica; Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia)
Al centro: Pittore della Sfinge Barbuta, Anfora con figure di animali (630-580 a.C. circa; ceramica; Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia). Ph. Credit Francesco Bini


Arte ellenistica, Pigmeo (325-300 a.C. circa; avorio; Firenze, Museo Archeologico Nazionale)
Arte ellenistica, Pigmeo (325-300 a.C. circa; avorio; Firenze, Museo Archeologico Nazionale). Ph. Credit Francesco Bini


Manifattura etrusca, coppia di dadi (VII secolo a.C.; avorio; Firenze, Museo Archeologico Nazionale)
Manifattura etrusca, coppia di dadi (VII secolo a.C.; avorio; Firenze, Museo Archeologico Nazionale). Ph. Credit Finestre sull’Arte


Manifattura etrusca, manico di flabello (675-625 a.C. circa; avorio; Firenze, Museo Archeologico Nazionale)
Manifattura etrusca, manico di flabello (675-625 a.C. circa; avorio; Firenze, Museo Archeologico Nazionale)

Gli etruschi avevano anche, come si direbbe oggi, un export di dimensioni molto consistenti: la ceramica in bucchero, in particolare, tipica dell’Etruria e che veniva esportata in diverse zone del Mediterraneo e oltre, ci ha consentito, grazie ai ritrovamenti negli scavi archeologici, di ricostruire con una certa sicurezza le rotte commerciali frequentate dagli etruschi. E lo stesso vale per le anfore vinarie con le quali gli etruschi esportavano un altro prodotto tipico dei loro territori, il vino, molto apprezzato anche fuori dai confini dell’Etruria. Diverse informazioni interessanti sono poi giunte dai relitti, ritrovati al largo della Toscana ma anche in altre zone (per esempio di fronte alle coste della Provenza): siamo dunque certi che non esistevano rotte che venivano percorse esclusivamente dagli etruschi, dai greci o dai cartaginesi, come si è a lungo pensato. In antico, ha scritto l’etruscologo Mauro Cristofani, il Mediterrano era "un notevole mélange di uomini, di oggetti e di prodotti", e le navi che lo solcavano contenevano carichi di diversa provenienza: è quindi probabile che le navi raccogliessero merci prodotte in diverse località (nei relitti, per esempio, sono state sempre ritrovate anfore etrusche accanto ad anfore greche) e poi le smistassero secondo la necessità. Non abbiamo però molte informazioni su come fosse effettivamente organizzato il commercio al tempo egli etruschi: possiamo ipotizzare che, almeno in un primo momento, le transazioni fossero organizzate sotto forma di scambi (l’utilizzo del denaro sarebbe iniziato solo verso la prima metà del quinto secolo avanti Cristo), soprattutto per quel che riguarda generi di prima necessità. Per quanto concerne i beni di lusso, è probabile che fossero gli aristocratici a mettere a disposizione le navi che esportavano le produzioni etrusche e tornavano con carichi di merce prodotta fuori dall’Etruria: per tali beni forse gli etruschi si avvalevano della pratica del gift-trade (ovvero dello scambio di doni cerimoniali, che potevano anche essere elargiti in cambio di ospitalità: pratiche commerciali difficili da comprendere ai nostri occhi abituati alle transazioni monetarie, ma si trattava di prassi del tutto normali nel mondo degli etruschi). La storiografia greca inoltre specifica come gli etruschi fossero anche dediti alla pirateria: un autore come Eforo di Cuma, vissuto nel quarto secolo avanti Cristo, sosteneva che i greci temessero i pirati tirreni, e che tale paura avesse ostacolato i greci nell’apertura di traffici commerciali. Talvolta l’associazione d’idee tra etruschi e pirati a certi autori sorge quasi spontanea: tuttavia, com’è noto, gli autori greci spesso hanno dimostrato d’affrontare con certa parzialità gli argomenti relativi agli etruschi.

Valutando la situazione secondo un’ottica più imparziale, occorre specificare che spesso, nell’antichità, pirateria e commercio erano attività che si sovrapponevano, e si è anche ipotizzato che, più che pirati, gli etruschi fossero corsari che in realtà attaccavano soltanto navi nemiche (si trattava, comunque, di un’usanza tipica anche di altre popolazioni, e che fu subita anche dagli stessi etruschi). Tuttavia, vero è che la potenza degli etruschi sul mare (la cosiddetta talassocrazia etrusca) conoscesse proporzioni ragguardevoli, e per diversi storici dell’antichità gli etruschi erano, semplicemente, i signori del mare. Le navi etrusche lasciavano i porti collocati sulla fascia costiera che si estende dalla Toscana al Lazio (come Populonia in Toscana, l’unica grande città etrusca bagnata dal mare, o Gravisca, Pyrgi e Regisvilla nel Lazio, che erano le città portuali da cui dipendevano, rispettivamente, Tarquinia, Cerveteri e Vulci) e raggiungevano le località più disparate del Mediterraneo, viaggiando verso la Sardegna, la Corsica, la Francia meridionale, la Spagna, i territori di Cartagine e l’Africa, la Grecia e la Magna Grecia, l’Asia Minore. Gli etruschi facevano utilizzo di navi leggere e veloci, dotate di un ordine di remi e di un albero che issava una vela quadrata: dalle raffigurazioni, soprattutto quelle su ceramica, possiamo dedurre che lo scafo fosse arrotondato, la prua tagliente e la poppa ricurva. È poi probabile che gli etruschi avessero introdotto l’innovazione dell’ancora in piombo (prima d’allora si utilizzavano ancore in pietra). Anche dalle opere d’arte che ci sono giunte si evince l’importanza che gli etruschi attribuivano alla marineria, perché molte sono le scene di navigazione o di pesca che si sono conservate. Occorre poi sottolineare anche un importante aspetto simbolico legato alla marineria: molte opere etrusche a tema marino includono infatti la raffigurazione di delfini, che erano considerati simbolo di buon auspicio (quando nuotavano di fianco alle navi, per gli etruschi era un buon segno) e, se dipinti sulle pareti delle tombe, probabilmente indicavano che il signore lì sepolto era probabilmente a capo di una qualche impresa marittima.

Arte etrusca, scena di pesca (530 a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba della Caccia e della Pesca)
Arte etrusca, Scena di pesca (530 a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba della Caccia e della Pesca)


Arte etrusca, Delfini (530 a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba della Caccia e della Pesca)
Arte etrusca, Delfini (530 a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba della Caccia e della Pesca)


Exekias, Kylix con il mito di Dioniso e dei pirati tirreni trasformati in delfini (530 a.C. circa; ceramica a figure nere, diametro 30,5 cm, altezza 13,6 cm; Monaco di Baviera, Staatliche Antikensammlungen
Exekias, Kylix con il mito di Dioniso e dei pirati tirreni trasformati in delfini (530 a.C. circa; ceramica a figure nere, diametro 30,5 cm, altezza 13,6 cm; Monaco di Baviera, Staatliche Antikensammlungen


Kleitias, Cratere attico detto Vaso François, dettaglio con la nave degli ateniesi a Creta (570 a.C. circa; ceramica a figure nere, 66 x 57 cm; Firenze, Museo Archeologico Nazionale)
Kleitias, Cratere attico detto Vaso François, dettaglio con la nave degli ateniesi a Creta (570 a.C. circa; ceramica a figure nere, 66 x 57 cm; Firenze, Museo Archeologico Nazionale)

Ma quali erano i beni che gli etruschi esportavano? Si è già accennato al fatto che tra le merci etrusche più richieste ci fossero i buccheri: in diverse zone del Mediterraneo sono stati ritrovati dei vasi molto semplici, privi di decorazioni e simili tra loro, che hanno fatto pensare a una sorta di produzione standardizzata, pensata appositamente per l’esportazione sui mercati internazionali, e probabilmente dotata anche di un certo valore di scambio prima dell’introduzione del denaro. Buccheri etruschi sono stati ritrovati nel meridione d’Italia, in Sicilia e in Sardegna, ma anche in altri luoghi molto più lontani: nella Francia del sud, in Grecia, a Cartagine, addirittura in Siria. Altro prodotto fortemente richiesto, come s’è detto, era il vino, che gli etruschi producevano in quantità eccedenti il loro fabbisogno: dai fenici, gli etruschi adottarono l’utilizzo delle anfore per conservarlo e trasportarlo, e furono abili nel dar vita a una vasta produzione di anfore, appositamente pensate per lo stivaggio nelle imbarcazioni (si trattava di anfore particolarmente snelle e facilmente trasportabili). L’ampia disponibilità di ferro in Etruria (soprattutto nelle miniere dell’isola d’Elba, attorno alle quali nacque un fiorente distretto minerario) aveva permesso agli etruschi di esportare lavorati e utensili. Molto richiesti erano inoltre gli accessori in bronzo: l’utensileria domestica in bronzo di fabbricazione etrusca (come vasi, lucerne, candelabri, oggetti da cucina) ricevette lodi anche da parte degli storici greci (come Crizia e Ferecrate). Altri prodotti che lasciavano l’Etruria per essere esportati erano i cereali e i prodotti della terra, l’olio, l’artigianato.

I ricchi commerci avrebbero portato gli etruschi a espandersi a livello territoriale: a partire dal sesto secolo avanti Cristo, spinti anche da un periodo di declino economico che aveva interessato l’Etruria meridionale, li troviamo stabilmente nell’Italia del nord, dove fondarono due importanti empori internazionali, le città portuali di Spina (nei pressi dell’odierna Comacchio, e che nell’attuale toponomastica sopravvive nella località di Lido di Spina) e Adria, grazie alle quali poterono intensificare gli scambi con la Grecia, aprire la navigazione fluviale dal delta del Po verso l’interno, e garantirsi anche il controllo del mare Adriatico. Si trattava dei porti da dove partivano soprattutto le derrate alimentari garantite dalla fertile Pianura Padana, dove si registrò in antico una stabile presenza etrusca. Ancora, gli etruschi fondarono, in Emilia, la città di Kainua (l’attuale Marzabotto): si tratta dell’unica città etrusca sorta con un preciso piano urbanistico, con pianta regolare, particolare che non lascia molti dubbi circa le origini coloniali di questa importante città etrusca del nord Italia.

Buccheri etruschi esportati in Sardegna, conservati al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari
Buccheri etruschi esportati in Sardegna, conservati al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Ph. Credit Museo Archeologico Nazionale di Cagliari


Manifattura etrusca, Anfora vinaria (fine VI - inizi V secolo a.C.; ceramica; Firenze, Museo Archeologico Nazionale)
Manifattura etrusca, Anfora vinaria (fine VI - inizi V secolo a.C.; ceramica; Firenze, Museo Archeologico Nazionale)


Arte etrusca, Candelabro con Enea e Anchise, dalla necropoli di Valle Trebbia a Spina (430-410 a.C. circa; bronzo; Bologna, Museo Civico Archeologico
Arte etrusca, Candelabro con Enea e Anchise, dalla necropoli di Valle Trebbia a Spina (430-410 a.C. circa; bronzo; Bologna, Museo Civico Archeologico

Infine, occorre specificare che tra gli etruschi era vivo anche un intenso commercio tra le loro città, ognuna delle quali (come del resto accade al giorno d’oggi) era specializzata nella produzione di certe merci. Per esempio, Chiusi era famosa per i suoi buccheri, così come Cerveteri e Bolsena, che erano però anche fiorenti centri vitivinicoli, e ancora Populonia era la capitale etrusca del ferro, mentre Tarquinia, oltre al vino e all’olio, commerciava il tufo abbondante nei suoi dintorni. Altre città come Volterra, Veio e Vulci erano centri specializzati nella produzione di ceramica, Perugia e Vetulonia erano importanti per la produzione dei bronzi, e Arezzo era un centro agricolo in cui prospera era la fabbricazione di attrezzature per l’agricoltura. Tuttavia, anche per gli scambi interni, non abbiamo informazioni su come fossero organizzati i commerci: non sappiamo dove arrivassero le merci, quali fossero i sistemi di trasporto (non sappiamo, per esempio, se ci fossero importanti vie di comunicazione, né quali mezzi le attraversassero), quali i luoghi di scambio, non sappiamo com’era organizzata la produzione nelle città d’origine e la distribuzione nelle città a cui i beni erano destinati.

Un’ultima nota, infine, sul denaro: come anticipato, avrebbe cominciato a circolare solo nel quinto secolo avanti Cristo e fu Populonia (date anche le sue disponibilità di ferro) la prima città etrusca a coniare monete. Dal secolo successivo, anche le altre città-stato dell’Etruria avrebbero iniziato ad adeguarsi.

Bibliografia di riferimento

  • Simona Carosi, Barbara Davidde Pietraggi, Tesori per l’aldilà: La Tomba degli Ori di Vulci, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, dal 28 maggio al 31 dicembre 2016), Gangemi, 2016
  • Giuseppe Della Fina, Giuseppe Sassatelli, Gli Etruschi, Monduzzi, 2013
  • Anna Maria Sgubini Moretti, Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia: guida breve, L’Erma di Bretschneider, 2010
  • Carlo Casi (a cura di), Il mare degli antichi: miti, marinai e imbarcazioni dalla preistoria al Medioevo, Laurum, 2010
  • Jean-Marc Irollo, Gli Etruschi: alle origini della nostra civiltà, Edizioni Dedalo, 2008
  • Mauro Cristofani (a cura di), Etruschi: una nuova immagine, Giunti, 2000
  • Anna Maria Sgubini Moretti, Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia: la collezione Augusto Castellani, L’Erma di Bretschneider, 2000
  • Mauro Cristofani, Dizionario della civiltà etrusca, Giunti, 1999
  • Giuseppe Franco, Orizzonti etruschi: una completa esplorazione del mondo etrusco, Sugarco, 1987
  • Mauro Cristofani, L’arte degli Etruschi: produzione e consumo, Einaudi, 1978


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo



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