Per il Beato Angelico a Roma: l'importante prima monografia sul tema, opera di Gerardo de Simone


Recensione della monografia di Gerardo de Simone, 'Il Beato Angelico a Roma 1445-1455. Rinascita delle arti e Umanesimo cristiano nell'Urbe di Niccolò V e Leon Battista Alberti'

Ha un respiro classico e monumentale la monografia Il Beato Angelico a Roma 1445-1455. Rinascita delle arti e Umanesimo cristiano nell’Urbe di Niccolò V e Leon Battista Alberti, l’ultimo lavoro di Gerardo de Simone (Castellammare di Stabia, 1974), storico dell’arte specialista di pittura italiana del Rinascimento: un volume impegnativo, analitico, storico-artistico e storico allo stesso tempo, costantemente teso tra due poli. Il primo è la tradizione, nel solco della quale l’opera s’inserisce a pieno titolo, tanto nella forma, assumendo uno stile grave e una veste tipografica elegante e dal sapore novecentesco, quanto nei contenuti, richiamando con dovizia, precisione e completezza fonti e studî sui soggiorni romani del Beato Angelico (fra’ Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, Vicchio, 1395 circa - Roma, 1455), cui il saggio è dedicato: in particolare, il libro rappresenta la prima monografia dedicata agli anni romani dell’Angelicus pictor, che nell’allora capitale dello Stato Pontificio trascorse un decennio, dal 1445, quando vi fu chiamato da papa Eugenio IV (al secolo Gabriele Condulmer, Venezia, 1383 - Roma, 1447) che ebbe modo di vedere il pittore fiorentino all’opera nel convento di San Marco a Firenze, fino al 1455, interrompendo tuttavia il suo periodo di permanenza per un paio d’anni tra la fine del 1449 e il 1452, quando tornò in Toscana, investito della carica di priore del convento di San Domenico a Fiesole. Il secondo polo è, invece, la sua dimensione di ricerca, ch’è stata capace di portare a diversi spunti inediti sull’artista, ipotesi, novità.

Volume storico-artistico e storico, si diceva: tant’è che il libro s’apre proprio con un’attenta ricognizione storica della Roma d’Eugenio IV e del suo successore, Niccolò V (al secolo Tommaso Parentucelli, Sarzana, 1397 - Roma, 1455). La città che il Beato Angelico trovò al suo arrivo era in pieno rinnovamento, grazie all’impulso che Eugenio IV, mosso dalla sua volontà di magnificentia, in certa misura mutuata dall’azione politica di Cosimo de’ Medici ch’ebbe modo di conoscere e approfondire a Firenze (dove, durante i suoi soggiorni, poté apprezzare le meraviglie del Rinascimento fiorentino), seppe conferirle: furono avviate imprese artistiche notevoli, come il completamento delle decorazioni della navata di San Giovanni in Laterano a opera del Pisanello, i battenti bronzei di San Pietro commissionati al Filarete, sempre per San Pietro il Tabernacolo del Sacramento, del quale fu incaricato Donatello. Non solo: Eugenio IV si preoccupò di restaurare gli edificî nuovi e quelli antichi, riaprì lo Studium Urbis, ovvero la prima università di Roma, fondando anche collegi destinati agli studenti meno abbienti, e accolse alla sua corte diversi tra i maggiori letterati del tempo (come Ambrogio Traversari, Poggio Bracciolini, l’Aurispa, Leonardo Bruni, Carlo Marsuppini e Flavio Biondo). Questo spiccato interesse umanistico, destinato, assieme a un’accorta ed efficace politica estera, a far risorgere Roma rendendola nuovamente protagonista delle vicende italiane, contraddistinse anche l’azione di Niccolò V, che adibì una parte dei palazzi vaticani a luogo deputato a ricevere il nucleo fondante di quella che sarebbe poi diventata la Biblioteca Vaticana, e che all’epoca del papa ligure era già comunque una biblioteca importante e in certa misura pubblica, “sia pure parzialmente”, dal momento che l’accesso era riservato a studiosi e membri del clero, “con un corpus librario ordinato attraverso inventari e registri di prestito, affidato alla responsabilità di bibliotecari e di custodi, alle cure di copisti, miniatori, restauratori e collocato in uno spazio apposito, insomma organizzato in senso moderno” (Flavia Cantatore). Non solo: Niccolò V, altro “ammiratore” della politica medicea, si fece promotore della renovatio urbis che passò per la risistemazione di gran parte della città (edificî come Santa Maria Maggiore, il Pantheon, gli stessi Palazzi Vaticani, ma anche infrastrutture come mura, ponti e acquedotti) e per la costruzione di nuovi palazzi, specialmente sull’asse Campidoglio-Vaticano.

A Roma, la prima commissione che fu affidata al Beato Angelico (da Eugenio IV) fu la decorazione della cappella del Sacramento, i cui affreschi furono terminati alla data del 23 febbraio 1447 (oggi non sono più esistenti). Ed è proprio sui perduti affreschi della Cappella del Sacramento che Gerardo de Simone avanza le prime ipotesi contenute nella monografia: come anticipato, si tratta infatti d’un profondo lavoro di ricerca che ha fatto emergere diverse novità, alcune delle quali saranno oggetto pressoché esclusivo della presente recensione (difficile, infatti, offrire un sunto esauriente del libro, data la sua mole e la sua densità). Per quanto concerne la prima opera dell’Angelico a Roma, de Simone anzitutto riconduce a quell’impresa (come già prima di lui aveva fatto Miklós Boskovits) i nove disegni su pergamena oggi conservati in parte al Museum Boijmans van Beuningen di Rotterdam e in parte al Fogg Art Museum di Cambridge nel Massachussets, schierandosi sulle posizioni di quanti hanno voluto assegnarne la paternità al frate-pittore, ma si spinge oltre: lo studioso campano, sul solco di un’intuizione di Carl Strehlke, ipotizza infatti che la Cappella del Sacramento includesse un Giudizio finale simile all’Incoronazione della Vergine oggi agli Uffizi. Per la pala fiorentina, sottolinea de Simone, sarebbe più corretto parlare di Paradiso (dacché, nella tavola, Cristo non pone una corona sul capo di Maria, ma si limita a incastonare una gemma nel diadema ch’ella già porta), lo stesso termine con cui il cinquecentesco Anonimo Magliabechiano si riferisce alla Cappella del Sacramento. Una digressione sul tema del Giudizio, peraltro, porta de Simone a ipotizzare che il trittico del Giudizio oggi a Berlino (menzionato per la prima volta nel 1572, nelle collezioni di papa Pio V), e concordemente ritenuto un’originale tavola unica e poi divisa in epoche successive, sia stato resecato poco dopo l’attestazione del 1572: le ultime indagini sulla copia del Giudizio che anticamente si trovava a Leonforte, in Sicilia (oggi è in collezione privata), hanno confermato una realizzazione tardocinquecentesca, e poiché tale copia riproduce fedelmente la resecatura, è possibile avanzare l’idea che lo smembramento sia stato effettuato pochi anni prima.

La monografia di Gerardo de Simone. Il Beato Angelico a Roma. 1445-1455
La monografia di Gerardo de Simone. Il Beato Angelico a Roma. 1445-1455


A sinistra: Beato Angelico, Strage degli innocenti (1450 circa; disegno su pergamena purpurea, 7,5 x 6 cm; Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen). A destra: Beato Angelico, Lavanda dei piedi (1450 circa; disegno su pergamena purpurea, 8 x 6 cm; Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen)
A sinistra: Beato Angelico, Strage degli innocenti (1450 circa; disegno su pergamena purpurea, 7,5 x 6 cm; Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen). A destra: Beato Angelico, Lavanda dei piedi (1450 circa; disegno su pergamena purpurea, 8 x 6 cm; Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen)


A sinistra: Beato Angelico, Cattura di Cristo (1450 circa; disegno su pergamena purpurea, 7,5 x 6 cm; Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen). A destra: Beato Angelico, Crocifissione (1450 circa; disegno su pergamena purpurea, 8 x 6,2 cm; Cambrige, Harvard University Art Museums, Fogg Art Museum)
A sinistra: Beato Angelico, Cattura di Cristo (1450 circa; disegno su pergamena purpurea, 7,5 x 6 cm; Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen). A destra: Beato Angelico, Crocifissione (1450 circa; disegno su pergamena purpurea, 8 x 6,2 cm; Cambrige, Harvard University Art Museums, Fogg Art Museum)


Beato Angelico, Paradiso (1434-1435 circa; tempera su tavola, 112 x 114 cm; Firenze, Uffizi)
Beato Angelico, Paradiso (1434-1435 circa; tempera su tavola, 112 x 114 cm; Firenze, Uffizi)


Beato Angelico, Giudizio universale (1435-1436 circa; tempera su tavola, pannello centrale 103 x 65 cm, pannelli laterali 103 x 28 cm; Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie)
Beato Angelico, Giudizio universale (1435-1436 circa; tempera su tavola, pannello centrale 103 x 65 cm, pannelli laterali 103 x 28 cm; Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie)


Da Beato Angelico (Scipione Pulzone?), Giudizio universale (1570-1580 circa; collezione privata, già a Leonforte, chiesa dei Cappuccini)
Da Beato Angelico (Scipione Pulzone?), Giudizio universale (1570-1580 circa; collezione privata, già a Leonforte, chiesa dei Cappuccini)

E sempre a proposito del Giudizio di Berlino, interessanti sono le ipotesi di Gerardo de Simone circa il probabile committente, che potrebbe essere individuato nel cardinale Juan de Casanova (Barcellona, 1387 - Firenze, 1436): evidenze fisiognomiche (il personaggio guidato da sant’Agostino nel dipinto angelichiano somiglia all’unico ritratto noto di Juan de Casanova) e storiche (il cardinale si trasferì a Firenze nel 1435, data che Gerardo de Simone reputa coerente con lo stile del Giudizio) sembrerebbero avallare l’idea. Ancora sui Giudizî dell’artista fiorentino, l’autore della monografia ipotizza una collocazione romana per il Giudizio oggi alla Galleria Corsini di Roma e, infine, lega il Cristo giudice della Cappella di San Brizio a Orvieto all’omologa tavoletta oggi al Musée du Petit Palais di Avignone, assemblata su fondo azzurro attraverso l’utilizzo di tre frammenti originali, e di recentissima attribuzione angelichiana (gli è stata assegnata senza esitazioni da Michel Laclotte nel 2005). L’opera di Avignone, che costituirebbe un precedente dell’affresco orvietano, secondo Gerardo de Simone era forse il pannello centrale d’un trittico i cui scomparti laterali erano probabilmente le ante con i Beati e i Dannati oggi conservate al Museum of Fine Arts di Houston: un’interessante novità, un’ipotesi che secondo lo studioso è suffragata dal “punto di stile”, dal “ghibertismo delle pose” e dalla “gamma cromatica tendente al lilla-violetto”, che sarebbero gli stessi sia nel dipinto di Avignone sia nelle ante statunitensi.

Altri interessanti spunti provengono dai ritratti di uomini illustri che l’artista aveva dipinto nella cappella, anche stando alle notizie fornite da Giorgio Vasari: “nella quale opera [la cappella del Sacramento, nda], che era eccellente in quella maniera sua, aveva lavorato in fresco alcune storie della vita di Gesù Cristo, e fattovi molti ritratti di naturale, di persone segnalate di que’ tempi, i quali per avventura sarebbono oggi perduti, se il Giovio non avesse fattone ricavar questi per il suo museo”. Non abbiamo idea di come il Beato Angelico avesse inserito questi ritratti nella cappella (se cioè avesse inserito i personaggi a figura intera direttamente nelle scene, così come fece Benozzo Gozzoli nella Cappella dei Magi a Firenze, o se ci fossero dei ritratti sulle cornici), ma Gerardo de Simone trova in questo ciclo di ritratti uno spunto interessante per approfondire i rapporti tra l’Angelico e uno dei più importanti pittori francesi del tempo, Jean Fouquet (Tours, 1420 circa - 1481 circa). Un’ipotesi di Fiorella Sricchia Santoro vuole infatti che autore di tali ritratti sia stato lo stesso Fouquet, che all’epoca aveva poco più di venticinque anni, si trovava in Italia e presumibilmente s’era già distinto per le sue doti di ritrattista: arrivato a Roma, Fouquet dipinse (e questa è notizia certa) un ritratto d’Eugenio IV, oggi perduto ma noto attraverso una copia eseguita da Cristofano dell’Altissimo (Firenze, 1525 – Firenze, 1605). Il dipinto era destinato alla sagrestia della basilica di Santa Maria sopra Minerva, sede dei domenicani in Roma, luogo dove risiedette il Beato Angelico (che era un frate domenicano), ed edificio oggetto d’importanti lavori promossi dal cardinale Juan de Torquemada (Valladolid, 1388 – Roma, 26 settembre 1468) che, come si vedrà più avanti, ebbe strettissimi e proficui rapporti con l’Angelico, ed è probabilmente identificabile come il committente di Fouquet. De Simone ritiene che “l’Angelico possa aver giocato un ruolo importante nello ’sponsorizzare’ il giovane francese, visto che era il pittore papale e visto che la sua residenza romana era proprio il convento domenicano della Minerva cui il ritratto era destinato”. Ciò anche in ragione del fatto che forse i due s’erano già conosciuti in precedenza a Firenze: il rapporto tra di loro fu dunque “profondo e importante, e non a senso unico dal maestro più anziano a quello più giovane: la sensibilità realistico-ritrattistica, e una certa magniloquenza formale, di cui il beato domenicano riesce infatti a dar prova nella fase tarda della sua attività non furono immuni dall’influenza del genio di Tours”.

A sinistra: dettaglio con sant'Agostino che guida Juan de Casanova nel Giudizio di Berlino. A destra: Lleonard Crespí, Dedica del codice al re Alfonso il Magnanimo da parte del suo confessore Joan de Casanova (dopo il 1424-prima del 1430; British Library, Ms. Add. 28962, fol. 14v)
A sinistra: dettaglio con sant’Agostino che guida Juan de Casanova nel Giudizio di Berlino. A destra: Lleonard Crespí, Dedica del codice al re Alfonso il Magnanimo da parte del suo confessore Joan de Casanova, dettaglio (dopo il 1424-prima del 1430; British Library, Ms. Add. 28962, fol. 14v)


Beato Angelico, Trittico con Ascensione, Giudizio Universale e Pentecoste (1446-1448 circa; tempera su tavola, pannello centrale 55 x 38,5 cm, pannelli laterali 55 x 18 cm; Roma, Galleria Corsini)
Beato Angelico, Trittico con Ascensione, Giudizio Universale e Pentecoste (1446-1448 circa; tempera su tavola, pannello centrale 55 x 38,5 cm, pannelli laterali 55 x 18 cm; Roma, Galleria Corsini)


Beato Angelico, Cristo giudice e angeli (1447; affresco; Orvieto, Duomo, Cappella di San Brizio)
Beato Angelico, Cristo giudice e angeli (1447; affresco; Orvieto, Duomo, Cappella di San Brizio)


In alto: Beato Angelico, Giudizio universale (1430-1432 circa; Avignone, Musée du Petit Palais). In basso, a sinistra: Beato Angelico, Beati (1430-1432 circa; in deposito a Houston, Museum of Fine Arts). A destra: Beato Angelico, Dannati (1430-1432 circa; in deposito a Houston, Museum of Fine Arts).
In alto: Beato Angelico, Giudizio universale (1430-1432 circa; Avignone, Musée du Petit Palais). In basso, a sinistra: Beato Angelico, Beati (1430-1432 circa; in deposito a Houston, Museum of Fine Arts). A destra: Beato Angelico, Dannati (1430-1432 circa; in deposito a Houston, Museum of Fine Arts).

Della Cappella Niccolina, la grande impresa che Niccolò V commissionò al Beato Angelico nonché unico dei suoi lavori vaticani a essersi conservato, Gerardo de Simone ripercorre, con una ricostruzione minuziosa e precisa, la storia, l’iconografia, le fortune critiche: in merito a queste ultime, l’autore elenca diverse notizie in precedenza sfuggite, a cominciare dall’esistenza d’un primo saggio monografico sulla cappella, opera del tedesco Aloys Ludwig Hirt e pubblicato nel 1789, per proseguire con il riferimento a un “negletto saggio monografico” di Maurice Faucon, che addirittura ritiene l’opera del Beato Angelico superiore rispetto agli affreschi vaticani di Raffaello, fino a giungere a una lirica del semisconosciuto poeta ottocentesto tedesco Karl Adam Berthold, che cantò dell’incontro tra il frate-pittore e il pontefice sarzanese, e il cui componimento fu pubblicato nel 1880 sul giornale Die Gartenlaube, corredato da un’illustrazione di un non meglio specificato J. Lang. Parlando più nello specifico della Cappella Niccolina, si può cominciare dalla ricostruzione delle vicende della grande Deposizione che in antico decorava la parete di fondo dell’ambiente (non sappiamo tuttavia se si trattasse d’un affresco o d’una tavola): Gerardo de Simone parte da un’incisione del 1853 in cui si vede ancora una parte dell’opera, raffigurante il Deposto di croce, in una posa simile a quella che assume nella Deposizione oggi alla National Gallery di Washington, per arrivare tuttavia alla conclusione che non è possibile stabilire con certezza se il brano che si vede nell’incisione sia effettivamente il frammento della Deposizione angelichiana. Sui fondamenti ideologici delle decorazioni della cappella (affrescata con le storie dei santi Stefano e Lorenzo), l’autore ribadisce, tra l’altro, che “le vicende parallele dei due santi offrono un paradigma di esemplarità alieno da celebrazioni e trionfalismi espliciti [...] ma che si esprime invece nei toni solenni ed atemporali della liturgia e si articola secondo i valori cardine di una rinnovata ecclesiologia, plasmata insieme dalle riflessioni dei teologi e dalle sollecitazioni del momento storico: il primato papale e la diakonía / servizio (nelle due Ordinazioni); la caritas (nelle rispettive Distribuzioni di elemosine) e la predicazione del Vangelo (nella Predicazione di Stefano e nella Conversione di Lucillo); il martirio, testimonianza estrema di fede e di imitatio Christi”.

Accanto a questa ideologia “anticelebrativa, di totale dedizione al prossimo, di rinuncia caritatevole ai beni della Chiesa per assistere i bisognosi”, s’allineava tuttavia la necessità d’evidenziare la grande opera di renovatio di Niccolò V: sussisteva, banalizzando, il problema di far coesistere celebrazione e anticelebrazione. È lecito supporre che il Beato Angelico abbia trovato la risposta all’interno delle architetture: un capitolo del saggio è dedicato proprio alle architetture della Cappella Niccolina, monumentali, ispirate tanto alle vestigia della Roma classica quanto ai contemporanei risultati del (classicheggiante) Rinascimento fiorentino, segnatamente quello brunelleschiano e albertiano. Questa commistione tra istanze classiche e istanze religiose, evidente emergenza dell’umanesimo cristiano del Beato Angelico, trova uno dei suoi apici nel pavimento della Cappella Niccolina, a proposito del quale Gerardo de Simone propone una delle più interessanti novità contenute nella monografia, ovvero l’attribuzione dell’opera a Leon Battista Alberti (Genova, 1404 - Roma, 1472), motivando la posizione sulla base di riscontri stilistici (il sole al centro del pavimento, per esempio, ricorda da vicino quello della facciata albertiana di Santa Maria Novella a Firenze, dove è possibile ritrovare anche il motivo del vaso biansato), filosofici (la presenza, nei trattati di Leon Battista Alberti, di molte pagine dedicate alle decorazioni pavimentali, spesso in relazione alle opere antiche, ma anche la complessa simbologia del pavimento niccolino, compatibile coi presupposti concettuali che un personaggio come Alberti avrebbe potuto suggerire), storici (il fatto che il Beato Angelico fosse al corrente delle teorie albertiane).

Procedendo oltre nella lettura del volume, è utile segnalare un’ulteriore novità, ossia l’attribuzione al Beato Angelico d’un frammento con la Madonna della Febbre oggi conservato presso il Museo del Tesoro di San Pietro ma un tempo nella Rotonda di Sant’Andrea (nota, a partire dal Cinquecento, anche come “Santa Maria della Febbre”), demolita tra il 1776 e il 1777. L’affresco deve il suo nome al fatto che in antico i fedeli vi si recavano per invocare prodigiose guarigioni e, malgrado le pesanti ridipinture occorse in epoche successive, i raffronti stilistici (per esempio con la Madonna e il Bambino che compaiono nella pala di Bosco ai Frati, oggi custodita al Museo di San Marco a Firenze, o con la Madonna col Bambino del Kunstumuseum di Berna) suggeriscono l’idea che il Beato Angelico abbia potuto occuparsi del dipinto, che a sua volta rappresentava il radicale rifacimento di un originale trecentesco. De Simone porta a sostegno della sua ipotesi anche particolari ideologici: la chiesetta di Santa Maria della Febbre all’epoca fu oggetto di importanti lavori di rinnovamento (in particolare fu coperta d’ornamenti lignei, così come avvenne per lo studio di Niccolò V in Vaticano: si trattava infatti d’un tipo di decorazione particolarmente apprezzato all’epoca) ed è probabile che la rivisitazione, da parte dell’Angelico, dell’antico dipinto trecentesco si collocasse in un programma d’affermazione della “moderna iconografia devozionale mariana a Roma”, in linea con la realizzazione, pochi anni prima (attorno al 1449: la Madonna della Febbre viene invece collocata in un periodo all’incirca tra il 1453 e il 1454), del grande stendardo giubilare della Minerva, che rispondeva alle stesse sollecitazioni.

Infine, merita grande attenzione il capitolo dedicato al perduto ciclo di affreschi che decorava un tempo il chiostro di Santa Maria sopra Minerva: il convento era luogo in cui risiedevano sia il Beato Angelico, sia il summenzionato cardinale Juan de Torquemada, che al monastero minervitano lasciò la propria cospicua biblioteca. Merito di Gerardo de Simone è quello d’aver focalizzato il ruolo di Torquemada nell’ambito delle decorazioni del chiostro (andate distrutte già nel Cinquecento a seguito d’alcuni lavori di rifacimento). Da uno studio delle fonti antiche emerge che Torquemada ideò il programma iconografico del chiostro sulla base d’un suo testo, le Meditationes reverendissimi patris domini Johannis de turrecremata Sacrosancte Romane ecclesie Cardinalis posite et depicte de ipsius mandato in ecclesie ambitu sancte Marie de Minerva Rome, che evidenzia già nel titolo il rapporto che i contenuti dovevano avere con le scene dipinte. Le Meditationes (trentaquattro meditazioni religiose su episodî del Vecchio e del Nuovo Testamento, principalmente sulle storie di Cristo) rappresentano il primo libro illustrato che si sia stampato in Italia (era il 1467), pertanto sono ben conosciute dai bibliologi, ma non altrettanto si può dire per gli storici dell’arte (la monografia di de Simone, tuttavia, colma le mancanze). Non è dato sapere se Torquemada avesse fatto edificare il chiostro ex novo, come parrebbero indicare alcune fonti antiche (probabilmente non fu così: diversi testi lasciano supporre, da alcuni indizî, a cominciare dai motivi cosmateschi delle decorazioni delle architetture, che il chiostro fosse precedente): di sicuro lo fece però decorare, come attesta lo storico Gaspare Veronese, presente all’epoca dei fatti (“Claustrum sanctissimae Mariae Super Minervam pulcherrimis epigrammatibus historiisque egregie exornavit”, ovvero “[Torquemada] ornò il chiostro di Santa Maria sopra Minerva egregiamente e con bellissime storie e iscrizioni”), e altrettanto sicuramente ne suggerì i contenuti. Altro merito di de Simone è dunque quello d’aver affrontato uno studio esauriente e inedito delle Meditationes in rapporto all’arte del Beato Angelico, indicato dallo studioso come l’autore degli affreschi minervitani. De Simone sostiene che “l’ampiezza dell’impresa, la centralità del sito, la statura del committente inducono senza dubbio a pensare ad un artista di primo piano” come autore del ciclo: un artista “di fama consolidata, capace di tener dietro ad un ciclo esteso nelle dimensioni e complesso nell’iconografia”. Il codice Vaticano Latino 973, manoscritto contenente le illustrazioni delle Meditationes, viene posto in relazione ai dipinti del chiostro, e per il fatto che le illustrazioni presentano una “chiara impronta italiana, e più precisamente centro italiana (meglio ancora, tosco-fiorentina), nel disegno generale come nei dettagli”, oltre che per il fatto che l’opera è sottoscritta con una nota autografa di Torquemada, è possibile pensare a tale manoscritto come alla “traccia più importante per una ideale ricostruzione della decorazione originaria del chiostro”. De Simone procede quindi con molti convincenti confronti tra le illustrazioni del manoscritto e i dipinti del Beato Angelico: la Fuga in Egitto, per esempio, è identica alla stessa scena che compare nell’angelichiano Armadio degli Argenti, e lo stesso vale per il Battesimo di Cristo e le Nozze di Cana (le cui scene nell’Armadio degli Argenti furono dipinte da Alesso Baldovinetti su disegno dell’Angelico), e ancora l’Annunciazione palesa analogie con le omologhe tavole oggi al Prado, a Cortona e in San Marco, la Tentazione di Cristo somiglia alla scena affrescata in San Marco, e così via. Moltissime le similitudini riscontrate dallo studioso, tali da non lasciar troppo campo a dubbî circa la paternità angelichiana dei perduti affreschi.

La Cappella di Nicola V. Dipinta a fresco dal Beato Angelico in Vaticano, incisione pubblicata in L'Album. Giornale letterario di belle arti, Roma, XX, 31 dicembre 1853 (dettaglio)
La Cappella di Nicola V. Dipinta a fresco dal Beato Angelico in Vaticano, incisione pubblicata in “L’Album. Giornale letterario di belle arti”, Roma, XX, 31 dicembre 1853 (dettaglio)


Beato Angelico (e Jacopo del Sellaio), Deposizione di Cristo (1440-1445 circa e 1460-1465 circa; tempera su tavola, 88,9 x 54,9 cm; Washington, National Gallery)
Beato Angelico (e Jacopo del Sellaio), Deposizione di Cristo (1440-1445 circa e 1460-1465 circa; tempera su tavola, 88,9 x 54,9 cm; Washington, National Gallery)


La Cappella Niccolina
La Cappella Niccolina


Varrone d'Agnolo Belfradelli su disegno attribuito a Leon Battista Alberti, Pavimento marmoreo della Cappella Niccolina (1450-1451; Città del Vaticano, Palazzi Vaticani)
Varrone d’Agnolo Belfradelli su disegno attribuito a Leon Battista Alberti, Pavimento marmoreo della Cappella Niccolina (1450-1451; Città del Vaticano, Palazzi Vaticani)


Giovanni di Bertino su disegno attribuito a Leon Battista Alberti, Facciata di santa Maria Novella, dettaglio (1460-1470 circa; Firenze, Santa Maria Novella)
Giovanni di Bertino su disegno attribuito a Leon Battista Alberti, Facciata di santa Maria Novella, dettaglio (1460-1470 circa; Firenze, Santa Maria Novella)


Beato Angelico (?) e restauratori sei-settecenteschi, Madonna col Bambino detta Madonna della febbre (1453-1454 circa; affresco staccato; Città del Vaticano, Museo del Tesoro di San Pietro)
Beato Angelico (?) e restauratori sei-settecenteschi, Madonna col Bambino detta Madonna della febbre (1453-1454 circa; affresco staccato; Città del Vaticano, Museo del Tesoro di San Pietro)


Beato Angelico, Pala di Bosco ai frati (1450 circa; tempera su tavola, 174 x 174 cm; Firenze, Museo di San Marco)
Beato Angelico, Pala di Bosco ai frati (1450 circa; tempera su tavola, 174 x 174 cm; Firenze, Museo di San Marco)


Beato Angelico, Madonna col Bambino (1450 circa; tempera su tavola; Berna, Kunstumuseum)
Beato Angelico, Madonna col Bambino (1450 circa; tempera su tavola; Berna, Kunstumuseum)


Beato Angelico, Madonna col Bambino (1449 circa; Roma, Santa Maria sopra Minerva, cappella Frangipane)


Juan de Torquemada, Meditationes (1463 circa; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 973, c. 9r), Fuga in Egitto
Juan de Torquemada, Meditationes (1463 circa; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 973, c. 9r), Fuga in Egitto


Beato Angelico, Fuga in Egitto, particolare dell'Armadio degli Argenti (1450-1452; tempera su tavola; Firenze, Museo di San Marco)
Beato Angelico, Fuga in Egitto, particolare dell’Armadio degli Argenti (1450-1452; tempera su tavola; Firenze, Museo di San Marco)


Juan de Torquemada, Meditationes (1463 circa; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 973, c. 11v), Battesimo di Cristo
Juan de Torquemada, Meditationes (1463 circa; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 973, c. 11v), Battesimo di Cristo


Beato Angelico, Battesimo di Cristo, particolare dell'Armadio degli Argenti (1450-1452; tempera su tavola; Firenze, Museo di San Marco)
Beato Angelico, Battesimo di Cristo, particolare dell’Armadio degli Argenti (1450-1452; tempera su tavola; Firenze, Museo di San Marco)


Juan de Torquemada, Meditationes (1463 circa; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 973, c. 4v), Annunciazione
Juan de Torquemada, Meditationes (1463 circa; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 973, c. 4v), Annunciazione


Beato Angelico, Annunciazione (1430 circa; tempera su tavola, 175 x 180 cm; Cortona, Museo Diocesano)
Beato Angelico, Annunciazione (1430 circa; tempera su tavola, 175 x 180 cm; Cortona, Museo Diocesano)

Parlare del Beato Angelico a Roma significa sostanzialmente parlare di opere perdute, tanto che quella che Gerardo de Simone racconta nel suo importante saggio è, per sua stessa ammissione, “purtroppo in gran parte una storia di assenze e di lacune”: tuttavia, ricostruirla significa cercare di mettere in atto un tentativo di riempire quegli spazî vuoti che da molto tempo rimangono tali. Uno di questi spazî vuoti è proprio l’attività estrema dell’artista: una lacuna che può essere ben rimpinguata ammettendo il coinvolgimento del Beato Angelico nell’impresa degli affreschi del chiostro della Minerva. E come s’è visto, quella appena citata non è che una delle tante proposte avanzate da Gerardo de Simone: per questa e per molte altre ragioni il suo è un contributo già fondamentale per gli studî sul pittore toscano, imprescindibile anche perché s’avvale d’una poderosa bibliografia che riepiloga tutta la precedente tradizione sull’argomento, con puntualità estrema.

In conclusione è necessario poi ricordare che uno dei principali obiettivi del saggio è quello di collocare l’Angelico, e nello specifico l’Angelico romano, nella posizione che gli è più confacente. Artista di svolta, il Beato Angelico seppe rinnovare la pittura romana in senso umanistico, esattamente come stava accadendo a Firenze: dunque non tanto un pittore esclusivamente pio e devoto o un pittore mistico, com’è stato dipinto da tanti biografi e da tanta storiografia, ma un artista assimilabile, per volontà, idee e peso, a un Leon Battista Alberti o a un Piero della Francesca, a tal segno da essersi procurato l’onore d’una sepoltura monumentale proprio in Santa Maria sopra Minerva. Una sepoltura con tanto d’epitaffio (attribuito niente meno che a Lorenzo Valla) che paragonava l’artista, il quale veniva fatto parlare in prima persona, al grande pittore greco Apelle: “Non mihi sit laudi quod eram velut alter Apelles / Sed quod lucra tuis omnia Christe dabam / Altera nam terris opera extant altera coelo / Urbs me Joannem Flos tulit Etruriae” (“Non mi siano rivolte lodi perché ero considerato un secondo Apelle, ma perché, o Cristo, ho dato tutti i miei guadagni ai tuoi: le prime opere infatti rimangono in terra, ma le seconde sono in cielo. Nacqui nel fiore della Toscana, mi prese l’Urbe”). L’Angelico era il primo pittore paragonato a un artista della classicità (prima di lui l’onore era toccato solo a due architetti: Brunelleschi e Buscheto, entrambi equiparati al mitico Dedalo) e, conclude de Simone, “tale celebrazione in chiave solennemente umanistica - che tanto stride con l’immagine del pittore mistico tardomedievale poi dominante per secoli - non poteva che avvenire a Roma, la città dove l’Angelico compì la maturazione finale del suo stile in direzione di un classicismo pieno e ’latino’”.

Gerardo de Simone
Il Beato Angelico a Roma 1445-1455. Rinascita delle arti e Umanesimo cristiano nell’Urbe di Niccolò V e Leon Battista Alberti
Leo S. Olschki Editore, 2017
xvi-358 pagine con 80 tavole in bianco e nero e 80 a tavole a colori
140 euro


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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