Le opere delle grandi mostre d'arte contemporanea non suscitano più piacere? Verso la Biennale di Venezia 2019


Arte contemporanea: le opere delle grandi mostre non suscitano più piacere ma cercano solo di veicolare idee? Una riflessione, in vista della Biennale di Venezia 2019.

A pochi mesi dallo scorso 16 luglio 2018, quando è stata presentata l’edizione numero 58 della prossima Biennale d’arte di Venezia (11 maggio - 24 novembre 2019), si hanno già i primi nomi degli artisti scelti da alcuni dei padiglioni stranieri: ultimi in ordine di presentazione sono stati quelli dei paesi nordici, preceduti da Finlandia, Austria, Francia, Stati Uniti, solo per citarne alcuni.

Certo, l’attesa maggiore è sicuramente per i nomi degli artisti partecipanti che Milovan Farronato, curatore del Padiglione italiano, svelerà (si spera) fra non moltissimo tempo. In attesa di sapere qualcosa in più su quella che di fatto è una delle manifestazioni artistiche più importanti non solo per l’Italia, ma per il panorama artistico internazionale, è possibile fare una piccola riflessione su quello che già è stato svelato e che è racchiuso nelle parole del presidente della Biennale, Paolo Baratta, e del curatore, Ralph Rugoff.

Prima di tutto, il titolo. Sappiamo, infatti, che si intitolerà May you live in interesting times (“Che tu possa vivere in tempi interessanti”), un antico detto cinese che richiamerebbe la condizione dell’artista (ma anche dei visitatori) di vivere fra la realtà che li circonda e il mondo della creatività e dell’invenzione. Si vuole confermare, dunque, il cammino già intrapreso durante le scorse Biennali, ovvero quello di qualificare la mostra come “un luogo di incontro tra il visitatore, l’arte e gli artisti”, in cui il visitatore si confronta direttamente con le opere. Non solo: il titolo deriverebbe volutamente da un falso anatema, una scelta del curatore Rugoff per sottolinearne il focus principale, ovvero come gli artisti relazionino se stessi e le proprie opere d’arte all’interno di un’epoca in cui la diffusione di fake news ha completamente stravolto non solo la maniera di far politica, ma anche i suoi stessi risultati. Secondo Rugoff, l’arte non ha forza nell’ambito della politica, ma gli artisti possono, con le opere, rimettere in discussione i propri confini culturali, specialmente mediante la funzione ludica dell’opera d’arte stessa, “perché è quando giochiamo che siamo più compiutamente ‘umani’”.

Ralph Rugoff. Ph. Credit Mark Atkin
Ralph Rugoff. Ph. Credit Mark Atkin


Milovan Farronato
Milovan Farronato

Secondo quanto dichiarato da Rugoff, infatti, “May You Live in Interesting Times includerà senza dubbio opere d’arte che riflettono sugli aspetti precari della nostra esistenza attuale, fra i quali le molte minacce alle tradizioni fondanti, alle istituzioni e alle relazioni dell’‘ordine postbellico’. Riconosciamo però fin da subito che l’arte non esercita le sue forze nell’ambito della politica. Per esempio, l’arte non può fermare l’avanzata dei movimenti nazionalisti e dei governi autoritari, né può alleviare il tragico destino dei profughi in tutto il pianeta (il cui numero ora corrisponde a quasi l’un percento dell’intera popolazione mondiale). In modo indiretto, tuttavia, forse l’arte può offrire una guida che ci aiuti a vivere e pensare in questi ‘tempi interessanti’”. Con queste parole il curatore della prossima Biennale si pone in linea diretta con quanto aveva già affermato la curatrice dell’edizione numero 57, Christine Macel, secondo cui, in un mondo costernato da conflitti, l’arte si pone come testimonianza di ciò che ci rende più umani, in quanto ultimo baluardo per la riflessione, l’espressione individuale, la libertà e ciò che ci pone di fronte a questioni fondamentali. L’arte, dunque, come regno privilegiato di sogni e utopie, un giardino dove poter continuare a coltivare gli interessi globali contro l’individualismo e l’indifferenza.

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo (2017). Percorrendo il tunnel.
Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo (2017), il tunnel. Ph. Credit Roberto Marossi. Courtesy Roberto Cuoghi

Come del resto dimostrato anche dai precedenti documenta14, realizzati fra Kassel e la Grecia, all’arte contemporanea (anzi: agli artisti contemporanei) viene affidato un ruolo fondamentale etico e civico, che è quello della formazione dell’individuo nella società contemporanea. Un compito non facile, anzi spesso eccessivamente impegnativo: il rischio, da parte degli artisti, è quello di focalizzarsi troppo su quanto richiesto dai curatori delle grandi mostre internazionali (queste ultime quasi tutte indirizzate a svolgere appieno questa funzione etico-politica) da dimenticarsi, talvolta, del valore estetico dell’opera d’arte, e della sua capacità comunicativa universale. Certo, l’“art pour art” non è quasi più possibile: già dagli anni Trenta, infatti, Walter Benjamin, a fronte dei nuovi processi culturali e della società di massa, aveva dissolto il modello estetizzante dell’“arte per l’arte”. Rispetto ai nuovi cambiamenti del mondo contemporaneo, gli artisti e i critici d’arte hanno cercato più volte di riproporre un modello meno improntato al valore sociale dell’opera e più incentrato su quello estetico: negli anni Ottanta, ad esempio, si era tentato di riproporlo con il ritorno alla figurazione e alle tecniche artistiche tradizionali.

La Biennale di Venezia
La Biennale di Venezia

L’ímpressione che si ha, visitando le grandi esibizioni internazionali degli ultimi anni, è che queste manchino talvolta, nell’approccio all’opera d’arte, del piacere che ci si concede nell’osservarla. Questo piacere è uno dei nuclei fondamentali che danno vita all’opera d’arte stessa e da cui non si può prescindere, anche nel momento in cui vengono suscitate nell’osservatore emozioni-reazioni forti o contrastanti. Nel suo intervento del 16 luglio a presentazione della prossima Biennale, Rugoff afferma “In fin dei conti, la Biennale Arte 2019 aspira a questo ideale: ciò che più conta in una mostra non è quello che viene esposto, ma come il pubblico possa poi servirsi dell’esperienza della mostra per guardare alla realtà quotidiana da punti di vista più ampi e con nuove energie. Una mostra dovrebbe aprire gli occhi delle persone a modi inesplorati di essere al mondo, cambiando così la loro visione di quel mondo.” Ciò è senza dubbio vero: una mostra (specie se internazionale) ha il compito di indurre il proprio pubblico alla riflessione sulla realtà quotidiana, senza però perdere di vista ciò che viene esposto. Una mostra d’arte, infatti, espone prima di tutto opere d’arte, prima ancora che idee e riflessioni perché è dall’oggetto d’arte che ha luogo la riflessione estetica e quella etica sul mondo che circonda il pubblico della mostra.

Intanto, nell’attesa che Farronato faccia i nomi degli artisti che parteciperanno al Padiglione Italiano, si augura buon lavoro a chi è coinvolto nella curatela di questa importante manifestazione internazionale, con la certezza che saprá soddisfare le esigenze dei suoi visitatori.


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Francesca Della Ventura

L'autrice di questo articolo: Francesca Della Ventura

Ha studiato storia dell'arte (triennale, magistrale e scuola di specializzazione) in Italia e ha lavorato per alcuni anni come curatrice freelancer e collaboratrice presso il Dipartimento dei Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Molise (2012-2014). Dal 2014 risiede in Germania dove ha collaborato con diverse gallerie d'arte e istituzioni culturali tra Colonia e Düsselorf. Dallo stesso anno svolge un dottorato di ricerca in storia dell'arte contemporanea all'Università di Colonia con una tesi sul ritorno all'arte figurativa negli anni Ottanta in Germania e Italia. Nel 2018 è stata ricercatrice presso l'Universidad Autonoma di Madrid. Ha scritto sull'identità tedesca e italiana nell'arte contemporanea e nella politica, sul cinema tedesco e italiano del dopoguerra e grazie a diverse borse di studio D.A.A.D. ha presentato la sua ricerca a livello internazionale. Attualmente i suoi temi di ricerca riguardano l’arte degli anni Ottanta, in particolar modo quella femminista. Dal 2020 è entrata a far parte del gruppo di ricerca dell’Universitá di Bonn “Contemporary Asymmetrical Dependencies” con un progetto di ricerca sulla costruzione dei nuovi musei e delle condizioni di dipendenza asimmetrica dei lavoratori migranti nell’isola di Saadyat ad Abu Dhabi. Nell'ottobre 2020 ha fondato inWomen.Gallery, galleria online, sostenibile e per artiste. Dal 2017 lavora come giornalista d'arte per la rivista online e cartacea Finestre sull'Arte.



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