Un capolavoro di Francesco Hayez: Giovanni David in costume teatrale

La nota

2011, Prima puntata

Nella prima metà dell'Ottocento nacque una curiosa moda in pittura: quella di raffigurare cantati, attori, ballerini durante le loro esibizioni sul palcoscenico, nei momenti più importanti della performance. Il dipinto di Francesco Hayez (clic), commissionatogli da una ricca contessa russa, si inserisce proprio in questo contesto e Ambra ne fa un'analisi molto raffinata!

Sussurri, voci, colori e forme si alternavano incalzanti sulla dominante scena, nell'idillio di un sodalizio che proprio lì, davanti agli occhi curiosi degli spettatori, inebriava i sensi, scossi ed eccitati da un brivido cutaneo che scivolava soave sul candore di quelle pelli eburnee.
E se all'interno del più celebre teatro di Milano, la musica, il canto ed i costumi coloravano il palcoscenico di sfavillanti tinte rompendo il suono del silenzio, un vento primaverile trasportava i profumi di un'arte evanescente.

Quest'arte, così coinvolgente e passionale, si consumava davanti ad un'aristocratica moltitudine di gentil donne e galanti signori desiderosi di udire le acute e gravi note di tenori e soprani, in quell'ossimoro di dolore e piacere che si stemperava fra le calde passioni di un fiorente romanticismo.
Per riuscire a cogliere e fermare quell'attimo fuggente, quell'espressione che sboccia davanti ad un pubblico assetato di pathos e desideroso di una catarsi tanto attesa quanto temuta, la pittura ha la forza di bloccare la fugacità di un gesto fissando l'attimo in cui l'attore esibisce la sua bravura.

Egli, famoso tenore napoletano, avvolto dagli accesi costumi di scena, fa rivivere un dramma d'amore fra le gioie e i dolori di una finzione che abbraccia la realtà. Quella forza evocatrice che feconda lo spettatore di gioie desiderate e di dolori mai accettati, non muore mai fra la fitta trama di una tela su cui Francesco Hayez fissa la potenza di un'opera così coinvolgente come quella di “Giovanni David in costume teatrale” dove il tenore sfoggia le sue doti canore ne “Gli arabi nelle Gallie”.

In quel lontano 1827, nel fervore di un romanticismo che ben presto si contrappose a quella fredda rigidità accademica, il milanese teatro della Scala mise in scena tal passionale dramma abilmente musicato da Giovanni Pacini.
Qui, Agobarm, comandante degli arabi, assetato di vendetta per il crudele sterminio della sua famiglia, mostra al pubblico il suo profondo dolore che giorno dopo giorno lo consuma per un amore verso Ezilda, donna tanto desiderata quanto proibita.

Come Romeo e Giulietta nel cuore di una una Verona all'alba di un tragico delitto, anche nella Milano romantica, un fervido intreccio amoroso sì alimentò di desideri accecanti, consumati tanto nella fantasia quanto nella realtà.
Oh, povera, dolce Paolina Borghese, abbandonata dall'amato Giovanni Pacini catturato dal gelido fascino di una contessa straniera che nella fredda Milano decise di ritirarsi.
Fu lei, la russa Giulia Samoyloff Pahelau, la ricca committente del quadro che Francesco Hayez realizzò con la massima minuzia di particolari come dimostrano le fastose vestii che il tenore Stefano Favelli sfoggia allo sguardo mai distratto di chi l'osserva.

Ambra Grieco








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