La “transizione ecologica” potrebbe indebolire la tutela del paesaggio? Ecco su cosa si discute


In questi giorni si accende la discussione sul Decreto Semplificazioni: nella bozza ci sono misure che, per favorire la cosiddetta transizione ecologica, potrebbero indebolire notevolmente la tutela del paesaggio e della cultura. Ecco perché.

“Dobbiamo essere orgogliosi di vivere in un Paese che, grazie a una legislazione molto antica e a una presenza capillare sul territorio attraverso le Soprintendenze, ha sostanzialmente vinto la battaglia della tutela nel Novecento: del paesaggio, delle coste, dei centri storici. Altrove è andata molto peggio. E la bellezza del nostro Paese è una grande forza economica: non solo per il turismo, ma anche per il made in Italy che viene venduto nel mondo”: sono parole che il ministro della cultura Dario Franceschini ha pronunciato in un’intervista a Repubblica pubblicata ieri, domenica 23 maggio. Eppure, in queste ore non sono pochi coloro che temono che la tutela della cultura e del paesaggio, principio che ci ha consegnato l’Italia che tutti conosciamo e che, come ha ricordato lo stesso ministro, è protetto dall’articolo 9 della Costituzione, stia subendo un attacco che potrebbe indebolirla. In questi giorni il governo sta lavorando a un decreto legge, il Dl Semplificazioni, che nelle intenzioni della compagine alla guida del paese dovrebbe introdurre norme volte a semplificare l’iter autorizzativo degli interventi di “transizione ecologica” del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

L’idea che gli interventi di “transizione ecologica” debbano procedere spediti è dello stesso ministro Franceschini. “È evidente che, in riferimento all’esigenza che il PNRR comporta di rispettare i tempi per non perdere i finanziamenti, in questi giorni stiamo discutendo di procedure di velocizzazione e semplificazione che saranno oggetto di un provvedimento che il Consiglio dei ministri approverà in un tempo sufficientemente breve”, ha dichiarato il ministro lo scorso 20 maggio durante il question time al Senato. Franceschini ha spiegato anche di aver ben chiaro che “i principi della tutela sono scritti e stabiliti all’articolo 9 della Costituzione: siamo l’unico paese ad avere tra i principi fondamentali la tutela del patrimonio storico e artistico e del paesaggio della Nazione. Pensiamo alla lungimiranza dei padri costituenti, che scrissero più di settant’anni fa il principio della tutela del paesaggio”. Le rassicurazioni di Dario Franceschini, tuttavia, non sono evidentemente sufficienti perché le norme incluse nella bozza del Dl Semplificazioni lasciano più di un dubbio.

Il ministro Dario Franceschini
Il ministro Dario Franceschini

Se le soprintendenze diventano un ostacolo...

Nella discussione attorno al tema della tutela, in questi giorni hanno fatto molto rumore due interventi che hanno riacceso gli scontri sul ruolo delle soprintendenze, da sempre viste da una parte dell’opinione pubblica come una specie di ostacolo allo sviluppo economico e ambientale dell’Italia. L’intervento che ha forse fatto più discutere è quello di Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, che in un’intervista a Repubblica è stato molto netto e tagliente: “le soprintendenze frenano la transizione ecologica”, ha dichiarato. “Le soprintendenze”, si legge nell’intervista, “sono e saranno nostre alleate quando si tratta di combattere cementificazione selvaggia e speculazione edilizia. Ma sulla transizione ecologica proprio non ci siamo. Occorre un cambio culturale, non può essere che ogni mutamento del territorio sia bocciato a prescindere dalle soprintendenze”. Il problema, secondo Ciafani, sono i no dei soprintendenti agli impianti eolici e fotovoltaici. “In Sardegna, per esempio”, argomenta il presidente di Legambiente, “la società che gestisce un campo eolico voleva ridurre il numero di pale per metterne di più potenti: le è stato impedito. A Taranto l’impianto eolico offshore è stato bloccato per l’impatto paesaggistico, in una città che convive da decenni con le ciminiere dell’Ilva, della raffineria Eni e di un cementificio. Le soprintendenze hanno lasciato installare migliaia di condizionatori sulle facciate e migliaia di parabole sui tetti dei centri storici: se si guarda Roma dal Giardino degli aranci è una distesa di cerchietti bianchi sui terrazzi, spuntati negli anni Novanta durante il boom della tv satellitare. Se però si tratta di fonti rinnovabili arriva subito il parere contrario”. Per Ciafani è un “problema di formazione dei dirigenti delle soprintendenze. Chi ha studiato sui testi sacri dell’impatto ambientale probabilmente considera un orrore modificare il paesaggio con una torre eolica. Ma il paesaggio italiano è sempre stato modificato: dagli acquedotti romani, dalle cupole, dalle autostrade. Ci sono cose che vanno fatte bene, ma vanno fatte”. Infine, per fornire un esempio di come far convivere armoniosamente esigenze dell’energia rinnovabile ed esigenze della tutela, Ciafani parla del tetto della Sala Nervi in Vaticano, sul quale sono stati installati pannelli fotovoltaici: “se questo monumento fosse stato di competenza di una soprintendenza”, conclude il presidente di Legambiente, “l’impianto sarebbe stato bocciato certamente”.

Il secondo intervento è quello di Antonio Decaro, sindaco di Bari nonché presidente dell’Associaizone Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), che sabato, su Repubblica, ha firmato una dura lettera-appello rivolta direttamente al ministro Dario Franceschini, al quale è stato presentato una sorta di aut aut: o verranno rivisti i processi autorizzativi, o i sindaci sono pronti ad abdicare al loro ruolo. Tutto nasce da un caso specifico: il sindaco di Bari intende realizzare una biblioteca nella sua città, ma la Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Puglia, secondo quanto riporta il giornalista Fabio Grasso sulla pagina Facebook di “Parresia Cultura”, non avrebbe mai ricevuto la richiesta di autorizzazione da parte del Comune, pur avendo la Soprintendenza chiesto informazioni, ma senza ricevere risposte. Il caso ha fornito a Decaro la base per presentare a Franceschini la richiesta di semplificare i procedimenti amministrativi e tecnici “per far ripartire il paese”. “Credo sia necessario definire compiutamente i confini e la portata delle norme di competenza degli uffici del suo ministero e, soprattutto, evitare interpretazioni difformi sul territorio nazionale a seconda dell’ufficio periferico chiamato ad esprimersi”, ha scritto Decaro. Il primo cittadino di Bari lamenta inoltre il fatto che, nel suo ruolo di presidente dell’ANCO, gli arrivino quotidianamente “segnalazioni e lamentele dai sindaci sull’atteggiamento ostruzionistico e, sovente, interdittivo esercitato dalle diverse Soprintendenze rispetto alle iniziative dispiegate dalle giunte comunali”. Decaro precisa: “non si tratta in alcun modo di rivendicare per i sindaci un potere che vada oltre la legge, oltre le sacrosante esigenze di conservazione del nostro patrimonio artistico, architettonico, storico e archivistico, oltre la necessaria azione di tutela del paesaggio ma di richiedere un approccio diverso e meno antagonista da parte dei suoi uffici”.

“Non si tratta”, sottolinea Decaro, “di abdicare o rinunciare alla tutela dei beni culturali ma di passare da una tutela di maniera, che a tratti rischia di essere dannosa, a una tutela effettiva, concreta ed efficace. Soprattutto, di passare dall’esercizio di un potere inteso come sovra ordinato, in base ad una vecchia concezione dirigista e statalista, ad uno più collaborativo con gli enti di governo del territorio, con l’obiettivo di mettere in campo azioni di tutela e valorizzazione sempre più integrate e attente ai singoli contesti territoriali. Collaborazione e condivisione in un quadro semplificato di norme e di rapporti: questo è ciò che i sindaci chiedono. Questo è ciò di cui il nostro Paese ha bisogno, soprattutto in un momento di difficile ripartenza. A maggior ragione oggi che la Pubblica Amministrazione è chiamata ad affrontare la sfida impegnativa e complessa dell’utilizzo dei fondi europei del Next generation Eu”.

Ed è proprio questo il terreno ideologico sul quale si stanno costruendo le fondamenta degli interventi che faranno uso dei fondi Next Generation: la ratio delle misure incluse nella bozza del Dl semplificazioni sembra essere quella di snellire le procedure e di rendere più facile l’ottenimento delle autorizzazioni, ma le perplessità sono molte. A questi timori vanno poi ad aggiungersi quelli sull’archeologia preventiva, vista anch’essa come un ostacolo (quando invece è uno strumento utile per velocizzare le procedure ed evitare il blocco dei lavori): solo negli ultimi cinque mesi, ci sono stati ben due tentativi di depotenziarla, uno per mano della Lega che a febbraio presentava un emendamento al decreto Milleproroghe per limitare il ricorso all’archeologia preventiva, e uno pochi giorni fa (un ddl del Ministero per la Transizione Ecologica nato per incrementare la realizzazione delle opere connesse alla cosiddetta “transizione ecologica”).

L'impianto fotovoltaico installato sul tetto della Sala Nervi in Vaticano
L’impianto fotovoltaico installato sul tetto della Sala Nervi in Vaticano


Un archeologo esegue saggio archeologico a Spilamberto di Modena (2015)
Un archeologo esegue saggio archeologico a Spilamberto di Modena (2015)

Cosa prevede la bozza del Dl semplificazioni

Sono essenzialmente tre le misure contenute nella bozza del Dl Semplificazioni circolata nelle ultime ore sulle quali si discute: la soprintendenza unica per gli interventi del PNRR, la disciplina degli interventi di demolizione e ricostruzione e il rafforzamento del silenzio assenso. Di soprintendenza unica si parla all’articolo 12 della bozza: “Al fine di assicurare la più efficace e tempestiva attuazione degli interventi del PNRR”, si legge nel documento, “presso il Ministero della cultura è istituita la Soprintendenza speciale per il PNRR, ufficio di livello dirigenziale generale straordinario operativo fino al 31 dicembre 2026. La Soprintendenza speciale svolge le funzioni di tutela dei beni culturali e paesaggistici nei casi in cui tali beni siano interessati dagli interventi previsti dal PNRR sottoposti a VIA in sede statale oppure rientrino nella competenza territoriale di almeno due uffici periferici del Ministero. La Soprintendenza speciale opera anche avvalendosi, per l’attività istruttoria, delle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio. In caso di necessità e per assicurare la tempestiva attuazione del PNRR, la Soprintendenza speciale può esercitare, con riguardo a ulteriori interventi strategici del PNRR, i poteri di avocazione e sostituzione nei confronti delle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio”. La bozza del decreto stabilisce inoltre che le funzioni di Direttore della Soprintendenza speciale siano “svolte dal Direttore della Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero, al quale spetta la retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva nazionale per gli incarichi dirigenziali ad interim”. Ancora, nella bozza si legge che “presso la Soprintendenza speciale è costituita una segreteria tecnica composta, oltre che da personale di ruolo del Ministero, da un contingente di esperti di comprovata qualificazione professionale [...] per la durata massima di trentasei mesi, per un importo massimo di 50.000 euro lordi annui per singolo incarico, entro il limite di spesa di 750.000 euro per ciascuno degli anni 2021, 2022, 2023”. La Soprintendenza unica per il PNRR avrà un costo di 875.000 euro all’anno “per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023” e 125.000 euro l’anno “per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026”.

L’articolo 18 introduce semplificazioni in materia di rigenerazione urbana, in particolare disciplina il percorso di demolizione e ricostruzione, andando a modificare il decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno 2001. Il comma 1-ter dell’articolo 2-bis del DPR prevede che, in casi di interventi che prevedano la demolizione e la ricostruzione di edifici, la ricostruzione sia consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti, e che gli incentivi volumetrici riconosciuti per gli interventi possano essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Nelle zone omogenee “A” del decreto del Ministro per i lavori pubblici n. 1444 del 2 aprile 1968 (ovvero gli agglomerati urbani che hanno “carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale”, o le porzioni di tali agglomerati che possano essere considerate parti integranti degli agglomerati stessi), o nelle zone assimilabili (dunque in tutte le aree che abbiano carattere storico o artistico), tutti gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti esclusivamente nell’ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatti salvi le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti e i pareri degli enti preposti alla tutela. La bozza del Dl semplificazioni interviene per sostituire in toto il comma 1-ter, che verrà modificato in questo modo: “Nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e in ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamenti fuori sagoma o innalzamento dell’altezza massima dell’edificio demolito sono consentiti senza il rispetto delle distanze minime prescritte, purché nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti, nell’ambito di appositi piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, ferma restando la disciplina di tutela cui siano eventualmente sottoposti gli immobili interessati dagli interventi”.

Infine, l’articolo 42 introduce il rafforzamento della disciplina del silenzio assenso: “Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento [...], fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l’amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare in via telematica, un’attestazione dell’intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l’attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato ai sensi dell’art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”. Vengono inoltre ristretti i limiti temporali in cui le autorità competenti devono pronunciarsi sugli interventi soggetti a Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA): in particolare, viene ridotto da 45 a 30 il numero di giorni in cui chiunque sia interessato può presentare le proprie osservazioni all’autorità competente in merito allo studio preliminare ambientale e alla documentazione allegata, al comma 7 viene aggiunto un periodo in cui si stabilisce che “l’autorità competente si pronuncia sulla richiesta di condizioni ambientali formulata dal proponente entro il termine di trenta giorni con determinazione positiva o negativa, esclusa ogni ulteriore interlocuzione o proposta di modifica”, e infine all’articolo 20 viene aggiunto un periodo che obbliga l’autorità competente a esprimersi entro 30 giorni nella fase di confronto con il proponente al fine di definire la portata e il livello di dettaglio delle informazioni necessarie da considerare per la redazione dello studio di impatto ambientale.

Il parco eolico di Collarmele in Abruzzo. Foto di Ra Boe
Il parco eolico di Collarmele in Abruzzo. Foto di Ra Boe

Cosa c’è che non va nella bozza del Dl Semplificazioni: i pareri degli esperti

Quello che il Dl Semplificazioni introduce, secondo l’archeologo Giuliano Volpe, presidente emerito del Consiglio superiore Beni culturali e paesaggistici del MiBAC (che ha scritto in merito un articolo sull’Huffington Post), è un contrasto tra due priorità, ovvero la tutela del paesaggio e dei beni culturali da una parte, e la produzione di energia pulita dall’altra, entrambe importanti e irrinunciabili. Eppure, secondo Volpe, si tratta di un conflitto assurdo, esattamente come quelli che oppongono salute a lavoro, alta velocità a paesaggio, modernizzazione e cultura. Possibile che non possano correre di pari passo? Per Volpe, la Soprintendenza Unica Nazionale, “dotata di 15 persone assunte a tempo determinato, oltre a personale del Ministero”, “rischia di essere l’ennesima ‘pezza’ per tamponare una falla e non una soluzione strutturale”. Il PNRR, si domanda Volpe, “non dovrebbe servire a dotarci di riforme strutturali”? La sensata proposta del presidente meerito del Consiglio superiore dei beni culturali è l’istituzione di un Istituto Nazionale di Archeologia Preventiva sul modello francese: in Francia, infatti, dal 2002 opera l’INRAP (Institut National de Recherches Archéologiques Préventives), che svolge una profonda e frenetica attività di ricerca archeologica preventiva in occasione della realizzazione di opere pubbliche e private, e che ha 8 direzioni regionali e 43 centri di ricerca archeologica. “Mentre in Italia si pensa di risolvere i problemi riducendo o eliminando l’archeologia preventiva”, argomenta Volpe, “in Francia (che - non me ne vogliano i colleghi francesi - ha un patrimonio archeologico un po’ meno consistente di quello italiano) si fa ricerca, si producono dati, si alimenta conoscenza (in questi anni il livello della conoscenza della storia e dell’archeologia ha avuto un vero exploit), si tutela e si valorizza, e si realizzano le grandi opere, si modernizza il paese, si crea sviluppo, senza però danneggiare la cultura e senza mortificare i professionisti della cultura”.

Ieri, sul Fatto Quotidiano, l’archeologo Leonardo Bison è sceso ancor più nei dettagli delle misure che il Dl Semplificazioni vorrebbe introdurre. Secondo Bison, la soprintendenza unica non riuscirà a migliorare il quadro attuale e semplicemente si tradurrà nella “creazione di un nuovo ufficio dirigenziale a Roma che deliberi su quasi tutti gli interventi legati al PNRR, con tanto di possibilità di avocare a sé i poteri delle soprintendenze locali”. Non è questa la risposta che i tecnici del MiC attendevano, fa sapere Bison: “il pensiero diffuso tra le fila ministeriali”, afferma l’archeologo, “è che si tratti di una procedura costosa (875 mila euro per i prossimi tre anni), superflua e che rischia di indebolire controlli e trasparenza. Insomma, la stessa direzione che ha l’intero impianto del decreto Semplificazioni. Inoltre, il rafforzamento del silenzio-assenso (con i tempi contingentati) metterebbe in difficoltà gli uffici periferici del ministero, provati da carenze strutturali. I tecnici (spesso con esperienza pluriennale e assunti con regolare concorso) hanno appreso la notizia dai giornali”. Secondo l’archeologo Flavio Utzeri, la centralizzazione e gli incarichi a termine senza concorso (quelli che verranno assegnati ai tecnici che opereranno nella Soprintendenza Unica, che peraltro, prendendo 50.000 euro l’anno, riceveranno più di quanto riceva un funzionario ministeriale regolare) “appaiono un modo per politicizzare decisioni che dovrebbero essere tecniche, un processo tipico del ministero di Franceschini”. Dubbi poi sul fatto che la Soprintendenza Unica sarà diretta dalla stessa direttrice generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, che si ritroverebbe ad avere un doppio incarico, su questioni estremamente delicate.

Secondo diversi giornali (ne ha parlato, per esempio, ancora l’Huffington Post in un articolo a firma di Federica Fantozzi) sono in corso tensioni tra il ministro Franceschini e il ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, che preme per accelerare gli iter, e la Soprintendenza Unica sarebbe dunque una sorta di escamotage per risolvere gli attriti cercando di tenere in piedi le esigenze della tutela e quelle della modernizzazione del paese. Le associazioni attive nel campo della tutela della cultura annunciano già mobilitazioni e manifestazioni nei prossimi giorni e nelle prossime settimane: il rischio è che la tutela cada sotto i colpi degli attacchi incrociati e finisca per cedere alla deregolamentazione.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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