Ritrovato un capolavoro del tardobarocco genovese: l'Immacolata di Francesco Schiaffino


È stato ritrovato un vertice finissimo del tardobarocco genovese: l’Immacolata di Francesco Maria Schiaffino, il più grande scultore in marmo del Settecento a Genova. La scoperta si deve alla galleria antiquaria Goldfinch Fine Arts, che l’ha appena presentata.

Una villa nel torinese, una fotografia di fine Ottocento scoperta per caso, la determinazione di due giovani antiquarî. E, soprattutto, la riscoperta d’un capolavoro della scultura genovese del Settecento che, dopo oltre un secolo, è tornato a Genova. Sono questi gli elementi alla base del ritrovamento dell’altare dell’Immacolata Concezione, finissima opera di Francesco Maria Schiaffino (Genova, 1689 – 1765), svelata al pubblico ieri, 18 maggio 2023, nella sede di Goldfinch Fine Arts, la galleria fondata da Luigi Pesce e Clemente Zerbone. Che davanti a questo splendido lavoro in marmo statuario di Carrara ammettono d’aver avuto un po’ di fortuna: anche la sorte, del resto, talvolta occorre se si fa il mestiere dell’antiquario, che sa essere “particolarmente avventuroso”, come loro stessi sottolineano. Lo stupore di chi ammira per la prima volta quest’opera può forse dare un’idea di quello che hanno provato loro quando si son trovati davanti questo altare: percepita l’altissima qualità dell’opera e riscontrato l’eccezionale stato di conservazione, hanno subito commissionato i necessarî studî per inquadrare la scultura e scoprire da dove provenisse. Ed è emerso che questa Immacolata Concezione ha una provenienza illustre: una fotografia del XIX secolo, rinvenuta quasi per caso in una recente pubblicazione, dimostra infatti che in antico l’opera si trovava nella cappella di Palazzo Lomellini – Doria Lamba – Ponzone, nel cuore del quartiere dove abitava la famiglia Lomellini, nei pressi della basilica del Vastato. Un edificio le cui prime notizie, come ricostruisce lo studioso Roberto Santamaria (a lui si deve il merito d’aver rintracciato la provenienza dell’altare), rimontano alla fine del Cinquecento, quando l’immobile è menzionato nel testamento di Bannetta Garibaldi, vedova di Francesco Lomellini.

L’Immacolata Concezione risale all’epoca dell’ampliamento del palazzo, commissionato al giovanissimo architetto svizzero Giovanni Angelo Gregorio, alla sua prima opera genovese, da Bartolomeo Lomellini: la cappella che accoglieva l’altare ritrovato fu edificata entro il 1753, mentre risale al 1756 l’autorizzazione vescovile per officiare le celebrazioni al so interno. Di conseguenza, è entro questo periodo di tre anni che va collocata l’esecuzione dell’altare con la statua che lo sormonta. L’identificazione, come detto, è stata possibile sulla base di una fotografia della fine del XIX secolo, pubblicata nel 2022 in un libro sulla famiglia Doria Lamba, scritto da Lodovico Doria Lamba e Andrea Lercari e pubblicato da Sagep: vi si può osservare la cappella com’era prima che venisse trasformata in un “gabinetto di toeletta” che viene citato in una descrizione dell’edificio risalente a prima del 1898, anno in cui il palazzo divenne di proprietà dei Ponzone.

Francesco Maria Schiaffino, Immacolata Concezione (1753-1756; marmo statuario di Carrara; Genova, già palazzo Lomellini Ponzone)
Francesco Maria Schiaffino, Immacolata Concezione (1753-1756; marmo statuario di Carrara; Genova, già palazzo Lomellini Ponzone). Foto: Mauro Magliani
Francesco Maria Schiaffino, Immacolata Concezione (1753-1756; marmo statuario di Carrara; Genova, già palazzo Lomellini Ponzone)
Francesco Maria Schiaffino, Immacolata Concezione (1753-1756; marmo statuario di Carrara; Genova, già palazzo Lomellini Ponzone). Foto: Mauro Magliani
La statua
La statua. Foto: Mauro Magliani

Non sappiamo invece, di preciso, quando l’altare uscì dal palazzo e quali strade prese prima di giungere agli ultimi proprietarî. Ma appena si vede la statua dell’Immacolata, ci s’accorge anche a un primo sguardo d’esser dinnanzi a un’opera pregevolissima: il giovane storico dell’arte Gabriele Langosco, incaricato di studiare l’opera in vista della sua pubblicazione, la definisce “un’opera capace di incarnare l’essenza della scultura genovese del Settecento”, di cui ha tutti i principali caratteri. Il movimento, i panneggi che cadono fluidi e quasi svolazzanti con le pieghe che paiono accartocciate e contrastano con la delicatezza dell’epidermide (si notino le mani piene dalle dita però affusolate, col virtuosismo dell’anulare della mano destra nascosto sotto una piega della veste), e poi ancora la grazia di cui è infuso il volto della Vergine, l’eleganza dei gesti e della posa, la linea sinuosa, il senso di leggerezza che la figura emana, la virtuosa e studiatissima alternanza di vuoti e pieni che creano intensi effetti di luce e ombra: sono questi gli elementi che meglio identificano la cifra stilistica di Francesco Maria Schiaffino. Come da tipica iconografia dell’Immacolata Concezione, la Vergine poggia i piedi sulla mezza luna, chiaro richiamo della nota immagine giovannea (in particolare del capitolo 12 dell’Apocalisse: “una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”), oltre che simbolo della purezza e della castità di Maria, e al contempo schiaccia il demonio raffigurato tradizionalmente in forma di serpente, allusione alla sua vittoria sul peccato: l’apparizione ha luogo su di una nuvola da cui spuntano teste di cherubini, per esprimere la vicinanza della Vergine a Dio.

Non abbiamo documenti che possano testimoniare la commissione a Schiaffino, ma l’attribuzione allo scultore genovese risulta evidente, ed è suffragata dagli elementi stilistici, come spiega Langosco: “La vicinanza del marmo alle migliori opere della tarda attività del maestro, il singolarissimo ‘far di panni’, la presenza di elementi che sono parte del repertorio figurativo del maestro ci informano che la scultura uscì dalla bottega schiaffiniana”. E nell’ambito della frenetica bottega di Francesco Maria Schiaffino, dalla quale uscirono opere di qualità non sempre sostenuta dacché lo scultore poteva contare su di un consistente numero di collaboratori che spesso intervenivano largamente sulle commesse, l’Immacolata Concezione riscoperta da Goldfinch può essere ritenuta un prodotto dovuto per lo più alla mano del maestro: “Il sostenuto discorso qualitativo - che si ritrova solamente nelle opere di piena autografia - e la precisazione delle coordinate cronologiche di realizzazione”, prosegue Langosco, “portano a escludere un esteso coinvolgimento dei suoi allievi nella lavorazione dell’Immacolata. Sembra possibile riconoscere qui uno dei rarissimi marmi largamente ‘toccati’ dal maestro”.

Il volto della Vergine
Il volto della Vergine. Foto: Mauro Magliani
Dettaglio delle mani della Vergine
Dettaglio delle mani della Vergine. Foto: Mauro Magliani
Cappella del Palazzo Lomellini - Doria Lamba - Ponzone, fine XIX secolo, fotografia, Collezione Privata
Cappella del Palazzo Lomellini - Doria Lamba - Ponzone, fine XIX secolo, fotografia, Collezione Privata

I confronti che hanno consentito d’assegnare senza particolari dubbî l’Immacolata Concezione a Schiaffino sono con un gruppo d’opere degli anni Cinquanta e Sessanta del Settecento. Quello probabilmente più preciso è con l’Adorazione dei Pastori delle Scuole Pie di Genova, opera del 1762, quindi di poco più recente rispetto all’Immacolata Concezione: il volto della Vergine nelle due sculture è pressoché sovrapponibile, con la sua forma ovale ma non troppo allungata, il naso lungo e dritto, gli occhi grandi con la palpebra superiore sporgente, i capelli con la scriminatura al centro, la bocca piccola, poco carnosa e con le labbra appena schiuse. Si può poi chiamare in causa la Sant’Anna e Maria Bambina della chiesa di Sant’Anna a Genova, soprattutto per l’identico modo in cui sono condotti i panneggi (in particolare lungo le maniche e attorno alla testa: “la scelta di terminare le vesti con un triangolo di tessuto che si incunea tra i piedi”, spiega Langosco, “è forse dovuta alla pratica - sperimentata sul modello - di stringere un lembo di stoffa al fine di esercitare una leggera pressione verso il basso, per poi disporlo a toccare il basamento”), e anche per la posa della Maria Bambina che porta le mani al petto mettendo le braccia in parallelo alle spalle, in segno di devozione (“affusolate e flesse nel più antinaturalistico spirito tardobarocco”, ha scritto Giacomo Montanari, studioso esperto di cose genovesi del tempo), esattamente come accade nell’Immacolata di Goldfinch. E similarità concrete si possono riscontrare anche nella nube con i cherubini. La Sant’Anna è opera dei primi anni Cinquanta, e dello stesso periodo, anche se leggermente più tarda, è l’Addolorata della chiesa di San Siro a Nervi, altro punto di riferimento importante per assegnare l’Immacolata Concezione a Schiaffino, malgrado quest’ultima risulti opera di qualità più alta rispetto a quella di San Siro. Precedente d’una ventina d’anni, ma utile per avere un confronto sulla stessa iconografia, è l’Immacolata Concezione della chiesa del Redentore di Genova, risolta con una posa molto diversa rispetto a quella eseguita per il palazzo dei Lomellini, che invece appare più vicina alla soprammenzionata Maria Bambina della chiesa di Sant’Anna. Per avere un’idea della finezza dell’opera di Schiaffino, la si potrebbe paragonare a un’analoga opera d’un altro artista, eseguita nello stesso periodo (fu cominciata dopo il 1741 ma venne forse terminata molto tempo dopo), l’Immacolata Concezione di Giovanni Antonio Cybei, eseguita per l’oratorio privato di Francesco Ubaldo Berrettari e oggi conservata nella cappella dell’Ospedale Civico di Carrara: la pur elegante e fine scultura di Cybei appare meno leggera e meno esuberante rispetto alla straordinaria scultura di Schiaffino, che fu comunque a sua volta punto di riferimento ineludibile per lo scultore carrarese, più giovane d’una ventina d’anni.

Merita un cenno anche l’altare marmoreo sul quale la Vergine è collocata: opera della bottega di Schiaffino, di dimensioni contenute rispetto ai grandi altari coevi che s’ammirano nelle chiese della città, ma sicuramente singolare per la sua qualità e per certe sue particolarità, prima tra tutte il fatto che la mensa su cui poggia l’Immacolata è interamente in marmo di Carrara. Una rarità, dal momento che spesso altari simili nelle cappelle private erano realizzati soprattutto in stucco o in legno. Altra particolarità è la scelta del tipo di marmo: lo statuario, il marmo bianco per antonomasia, in un’epoca in cui il gusto dominante prediligeva la scelta di marmi policromi. In questo caso, come ha notato Roberto Santamaria (che peraltro, nello studio dell’altare dell’Immacolata Concezione, attribuisce per la prima volta a Schiaffino altri due altari: quelli delle chiese di Santa Maria Maddalena a Genova e di San Giacomo di Rupinaro a Chiavari), la scelta del marmo bianco rispondeva a esigenze di equilibrio con l’ambiente che ospitava l’intera macchina. Più consueta, invece, la struttura dell’altare, che imita, in piccolo, quella dei grandi altari delle chiese tardobarocche genovesi, come quello eseguito nel 1670 da Pierre Puget per la chiesa di San Siro, il primo altare tardobarocco che si possa rintracciare in città: si esce dalla logica dell’altare dalle forme rigide e rigorose per andare incontro a una struttura che, come in questo caso, poggia su di una base che si espande in orizzontale con moto curvilineo, andando a sorreggere una balaustra orizzontale su cui, a sua volta, è installato una sorta di timpano che culmina con due graziose volute decorate, al centro delle quali s’alza un peduccio che accoglie la statua di Schiaffino. Una struttura tutta ingentilita da elementi decorativi mariani, come le rose e le conchiglie.

Francesco Maria Schiaffino, Adorazione dei pastori, dettaglio (1762; marmo; Genova, Chiesa delle Scuole Pie)
Francesco Maria Schiaffino, Adorazione dei pastori, dettaglio (1762; marmo; Genova, Chiesa delle Scuole Pie)
Francesco Maria Schiaffino, Immacolata Concezione, dettaglio (1753-1756; marmo statuario di Carrara; Genova, già palazzo Lomellini Ponzone)
Francesco Maria Schiaffino, Immacolata Concezione, dettaglio (1753-1756; marmo statuario di Carrara; Genova, già palazzo Lomellini Ponzone)
Francesco Maria Schiaffino, Sant’Anna con Maria Bambina (1755 circa; marmo; Genova, Sant’Anna)
Francesco Maria Schiaffino, Sant’Anna con Maria Bambina (1755 circa; marmo; Genova, Sant’Anna)
Francesco Maria Schiaffino, Immacolata Concezione (1735-1740 circa; marmo; Genova, Chiesa del Redentore)
Francesco Maria Schiaffino, Immacolata Concezione (1735-1740 circa; marmo; Genova, Chiesa del Redentore)
Giovanni Antonio Cybei, Immacolata Concezione (post 1741 [1757]; scultura in marmo statuario, 123 x 36 x 30 cm; Carrara, ex Ospedale Civico, Azienda USL Toscana Nord-Ovest)
Giovanni Antonio Cybei, Immacolata Concezione (post 1741 [1757]; scultura in marmo statuario, 123 x 36 x 30 cm; Carrara, ex Ospedale Civico, Azienda USL Toscana Nord-Ovest)

La scoperta dell’Immacolata Concezione è accompagnata da un ampio catalogo con gli studî di Langosco, Santamaria e di Fausta Franchini Guelfi, che nel volume traccia un profilo della scultura marmorea a Genova fra Sei e Settecento, il tutto arricchito da un ampio apparato iconografico che trova il suo vertice nell’atlante fotografico di Mauro Magliani, specialista della fotografia di sculture, che ha indugiato sui dettagli più significativi dell’Immacolata Concezione e di alcune delle opere che le sono state poste a confronto.

Genova ritrova dunque un vertice della scultura tardobarocca, e in particolare d’una scultura tardobarocca che sorprende sì il riguardante per le sue trovate scenografiche, ma che al contempo si pone con garbo e raffinatezza: un prodotto altissimo della maniera di Francesco Maria Schiaffino, l’impareggiabile artista che scolpì la Madonna Regina di Genova che campeggia al centro della Cappella del Doge in Palazzo Ducale, il talentuoso maestro che all’epoca era all’apice della sua fortuna, ed era divenuto il primo e più richiesto scultore in marmo della Liguria, capace di far arrivare le sue opere anche fuori dai confini della Repubblica, fornendo suggestioni ad artisti che lavoravano altrove, come s’è visto con Cybei. Un ritrovamento di grande importanza, una splendida notizia per chiunque ami l’arte, una scoperta ch’è merito d’una squadra di trentenni. Un apice del tardobarocco genovese che oggi si mostra al pubblico nella sede di Goldfinch, dentro a quello che fu il Palazzo di Lazzaro e Giacomo Spinola, nel cuore di via Garibaldi, la “Strada Nuova” dei Rolli di Genova. Chi vuol vedere l’Immacolata Concezione di Schiaffino ha tempo fino al 1° luglio.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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