Interessante opera del tardo manierismo bolognese, questa Giuditta e Oloferne fu attribuita per la prima volta a Lavinia Fontana nel 1987 da Giuseppe Cirillo e Giovanni Godi che definirono "sicuro lo stile della pittrice, basato sull'eclettismo del padre Prospero". I due studiosi hanno collegato il dipinto ad altri realizzati dalla pittrice negli anni Novanta del Cinquecento (è quindi ipotizzabile che a tale lasso di tempo appartenga anche l'opera in esame): la proposta è stata poi ben accolta dalla critica e oggi il dipinto è entrato nel catalogo di Lavinia Fontana.
Nella scena, resa celebre soprattutto dalle interpretazioni seicentesche, l'eroina biblica Giuditta ha già decapitato l'avversario, il generale assiro Oloferne, e sta nascondendo la testa in una sacca che viene tenuta aperta dalla fantesca Abra. La posa complicata di Giuditta (davvero scomoda per compiere un'operazione come quella a cui sta attendendo) è indicativa del gusto per l'artificio tipico di molti pittori manieristi, specialmente di quelli di area toscana e romana, dei quali Lavinia Fontana pare accogliere qui diversi spunti, filtrati attraverso l'esperienza dei primi manieristi bolognesi (come Denis Calvaert, , pittore fiammingo a lungo attivo a Bologna). Da notare anche il suo elaborato abbigliamento, con il velo fermato all'altezza delle cosce con spille preziose (una soluzione che, assieme alla posa, deriva dall'Allegoria della Vigilanza dello stesso Calvaert), la corazza da cui spunta una camicetta con maniche ricamate, il bracciale dorato, i finissimi sandali.
L'opera, destinata probabilmente a un esigente committente privato d'alta estrazione sociale, è oggi conservata a Bologna presso il Museo Civico Davia Bargellini.
22 giugno 2017
Se quello che hai appena letto ti è piaciuto, clicca qui per iscriverti alla nostra newsletter!