Anna Franchi: la straordinaria storia della donna che scoprì i Macchiaioli


La critica Anna Franchi fu una delle figure più importanti dell'arte del primo Novecento: è anche grazie a lei che si deve il successo dei macchiaioli. Ripercorriamo la carriera di questa grande donna.

Poco più di quarant’anni orsono le sale di Palazzo RealeaMilano ospitavano la celebre mostra L’altra metà dell’avanguardia 1919-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche, che costituisce una tappa fondamentale negli studi che intrecciano la storia dell’arte e questioni di genere. Attraverso una selezione di oltre cento opere di artiste appartenute ai movimenti d’avanguardia della prima metà del XX secolo, Lea Vergine, critica d’arte recentemente scomparsa, tentava di offrire un controcanto alla storia dell’arte dei manuali, che registrava continuamente solo artisti di sesso maschile, omettendo il gigantesco contributo nello sviluppo dei movimenti artistici delle donne. Da quel 1980, molti studi si sono avvicendati sull’arte femminile, sebbene ancora molto ci sia da fare, con lo scopo di ridefinire il ruolo della donna-artista all’interno del troppo maschilista mondo dell’arte. Ma scarsa è stata l’attenzione nei confronti della critica d’arte al femminile.

Solo così si spiega come mai si siano persi nelle pieghe della storia molti nomi di personalità di assoluta eccezione. Fra questi, un ruolo di primo piano dovrebbe essere riservato ad Anna Franchi (Livorno, 1867 – Milano, 1954), scrittrice e giornalista d’arte, autrice di oltre sessanta pubblicazioni e innumerevoli saggi, drammaturga, musicista, ma anche attivista, mossa da una complessa coscienza sociale che la portò a combattere per tante cause, in particolare per i diritti delle donne. Una vita lunghissima attraversata da due guerre, molti lutti e dispiaceri, ma tante ancora le cose da raccontare, tante che in un solo articolo sarebbe impresa difficile. Per fortuna vi riesce almeno in parte, ma magistralmente, la sua autobiografia La Mia Vita (Garzanti, Milano 1940), un testo che vale davvero la pena leggere.

La vita fuori dal comune di Anna Franchi inizia a Livorno nel 1867, città che le fu sempre cara e dove infatti lei stessa volle che tornasse non solo la sua salma, ma anche i suoi sforzi letterari, i libri, gli appunti, le corrispondenze con gli artisti e altri intellettuali, e tante altre testimonianze della sua vulcanica personalità. Questo immenso materiale è conservato alla Biblioteca Labronica, e costituisce un fondo di grandissimo interesse e imprescindibile per la ricostruzione della vita di questo straordinario personaggio.

Anna Franchi crebbe in un ambiente agiato, di idee progressiste e mazziniane. Iniziò la sua vita da adulta ancora da adolescente, sposandosi nel 1883 a sedici anni con Ettore Martini, violinista e direttore d’orchestra. Fin da subito si scontrò con le imposizioni sociali che gravavano sulle donne, fatte di aspettative imposte, limiti, e il dover continuamente soffocare le proprie ambizioni per assolvere al compito della madre di famiglia. La mal combinata unione matrimoniale si rivelò ben presto una gabbia con un uomo violento e fedifrago, e il rapporto naufragò definitivamente quando il marito si trasferì a Filadelfia. Fu allora che Anna Franchi dovette fare i conti con il ruolo di subalternità della donna anche di fronte alla legge: infatti non poté amministrare autonomamente i propri beni poiché il Codice civile non permetteva alle donne sposate di gestire le economie senza l’autorizzazione maritale. In risposta Anna lottò per far riconoscere maggiori diritti alle donne, a Firenze si impegnò nel partito socialista, e nel 1902 scrisse il romanzo Avanti il Divorzio (Sandron, Milano). Con fatica e accettando molti compromessi lavorativi, riuscì a mantenere sé stessa e la sua famiglia, compresa la madre, attraverso la scrittura. Scrisse su diversi giornali e nel 1900 venneammessa nell’Albo dei giornalisti di Milano, preceduta soltanto da un’altra donna, Anna Kuliscioff, compagna di Filippo Turati. Scrisse romanzi per bambini come I viaggi di un soldatino di piombo (Salani, Firenze 1901), ma anche appassionate riflessioni irredentiste come Città Sorelle (Treves, Milano) del 1915. Poi un nuovo lacerante dolore: l’amato figlio Gino morì sul fronte. Ciononostante non venne meno la sua passione civica e fondò la Lega di Assistenza tra le Madri dei Caduti, che le procurò una certa notorietà e il permesso provvisorio di guida, ai tempi inibita alle donne. Con il fascismo finirono il suo impegno pubblico e la sua attività letteraria; fu costretta a tenersi lontana dalla battaglia politica, mantenendosi scrivendo controvoglia su riviste di bellezza. In seguito, partecipò alla Resistenza.

Ritratto di Anna Franchi, F.lli Alinari, 1895 circa
Ritratto di Anna Franchi, F.lli Alinari, 1895 circa


Anna Franchi mentre dipinge, 1905 circa
Anna Franchi mentre dipinge, 1905 circa


Anna Franchi nel suo studio
Anna Franchi nel suo studio


Anna Franchi narra novelle ad un gruppo di bambini, 1915 circa
Anna Franchi narra novelle ad un gruppo di bambini, 1915 circa


Anna Franchi con il giornalista e politico Ettore Janni, 1953 circa
Anna Franchi con il giornalista e politico Ettore Janni, 1953 circa

Ma Anna Franchi meriterebbe di essere ricordata non solo per tutte queste attività, ma anche per il suo impegno nel mondo dell’arte. Amica degli artisti grazie alle sue frequentazioni della villa dei pittori Tommasi, diventò giornalista e critica d’arte militante, intermediaria nelle vendite, corrispondente e conferenziera. Anche in questa attività ebbe dei primati di non poco conto che vale la pena approfondire. Innanzitutto, fu genuinamente appassionata d’arte, tanto che nonostante i trascorsi con l’ex marito, innamorata della sua arte, tentò anche dopo la morte di quest’ultimo di valorizzarne le creazioni, sentendo il dovere di salvaguardare quel genio artistico, che l’aveva stregata, ma che si sprecò dietro una vita dissoluta.

Si diceva prima dell’amicizia con i Tommasi, che fu il tramite per la scrittrice per conoscere una compagine affiatata di pittori, quasi tutti di origine toscana: i Macchiaioli. Nel 1883 Franchi e il marito trascorsero il loro viaggio di nozze a Firenze presso la casa dei Tommasi, amici di famiglia, in particolare Lodovico, che a Livorno studiò violino dal marito Ettore. In quell’occasione, Franchi conobbe Silvestro Lega, maestro dei Tommasi: “Romagnolo un po’ sgarbato[che]aveva l’arte di colorire con una pennellata un racconto”, Telemaco Signorini “finemente sarcastico” e Giovanni Fattori “semplice e fiducioso”, e poi tutti gli altri “poveri tutti, lieti quasi della loro miseria”. “Personalità schiette ribelli [che] furono una rivelazione che non dovevo più dimenticare”, scriverà nella sua biografia. Qualche anno dopo, quando il marito venne chiamato a dirigere un’orchestra a Firenze, la famiglia lo seguì, offrendo a Franchi l’occasione per tornare a frequentare “i superstiti e i nuovi” artisti. In quel gruppo così irriverente e libero nei confronti delle tradizioni e convinzioni, la scrittrice trovò, oltre che una compagine di amici, anche un esempio: “quanto bene facevano all’anima mia l’esempio della loro fede, della loro gioconda rassegnazione alla miseria”.

Negli studi degli artisti, durante le loro esposizioni e nelle serate in compagnia, Anna Franchi parla d’arte, si confronta, impara aneddoti e ricordi che i vecchi Macchiaioli le affidavano come se fossero dei preziosi segreti, quasi presagendo il ruolo di memoria storica che avrebbe avuto per il gruppo. “Fu dopo il ’95 che l’amicizia del Signorini mi incoraggiò a scrivere d’arte”: fu infatti negli anni Novanta che iniziò la sua attività di critica e giornalista d’arte. Scrisse su diversi giornali tra cui La Nazione, La Settimana, La Domenica fiorentina, Il Secolo XX come corrispondente dalle grandi esposizioni internazionali, e dal 1897 si occupò delle Biennali veneziane. Fu ancora il Signorini, forse il più colto della combriccola, che dopo aver letto un suo saggio su Segantini, le chiese di occuparsi di un libro che avrebbe dovuto raccogliere le memorie del movimento artistico dei Macchiaioli e Franchi accettò. La notizia fu subito accolta con grande entusiasmo dai vari artisti, che forse vedevano in una pubblicazione una sorta di rivincita sul sistema che li aveva sempre messi da parte. “Se lei farà questo libro, mi sarà di consolazione più di una croce, perché queste saranno le parole di un’amica”, le disse Fattori. Nel 1902 Anna Franchi diede finalmente alle stampe Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi (Alinari, Firenze), ma Signorini sfortunatamente non poté leggerlo: morì infatti l’anno precedente. Il libro ottenne molti apprezzamenti.

Anna Franchi con il figlio Gino Martini Franchi, morto in guerra
Anna Franchi con il figlio Gino Martini Franchi, morto in guerra


Gino Martini, La mamma al tavolino (bozzetto eseguito dal figlio durante l’ultima licenza, 1917)
Gino Martini, La mamma al tavolino (bozzetto eseguito dal figlio durante l’ultima licenza, 1917)


Ruggero Focardi, Caricatura di Anna Franchi (1904; Firenze, Galleria d’arte moderna)
Ruggero Focardi, Caricatura di Anna Franchi (1904; Firenze, Galleria d’arte moderna)


Giovanni Fattori e Anna Franchi, 1900 circa
Giovanni Fattori e Anna Franchi, 1900 circa

Nel 1910 Anna Franchi venne scelta insieme a Plinio Nomellini per commemorare Giovanni Fattori, morto due anni prima, alla retrospettiva a lui dedicata, e in quell’occasione pubblicò con Alinari Giovanni Fattori. studio biografico, che a giusto titolo si può ritenere la prima biografia dell’artista livornese, e i cui ricavi concorsero per le spese di un busto dedicato al maestro. Questi testi critici dimostrano come Anna Franchi fu seconda solo a Diego Martelli, in ordine di tempo, nell’aver riconosciuto e creduto nella grandezza di un manipolo di artisti a cui invece il mercato e la critica non guardavano con altrettanta convinzione. Anche in campo artistico, come del resto in tutti gli aspetti della sua vita, la critica livornese ebbe un pensiero libero, scevro di pregiudizi: “Fortunatamente non faccio la critica – a questo scopo vi sono apposite persone alle quali si è dato passo libero prima del pubblico, perché potessero slanciare ai quattro venti sugli ospitali fogli compiacenti, il loro inappellabile giudizio - su questo si deve informare il popolo. È una fortuna, poiché così almeno rimane ai semplici innamorati dell’arte, la grande soddisfazione di dire la verità”, scriveva nel suo lungo resoconto della Biennale di Venezia del 1905.

Dedicò ancora molte pagine ai Macchiaioli in numerosi saggi e in un capitolo della sua biografia e nuovamente nella pubblicazione IMacchiaioli toscani del 1945 (Garzanti, Milano). Nei testi Franchi evoca gli ambienti vissuti dai Macchiaioli, tra cui il Caffè Michelangelo dove “tra il fumo delle pipe e le burle” si ritrovavano pittori e letterati accomunati da aneliti di ribellione. Qui, un giorno, tornò Serafino De Tivoli dalla Francia portando con sé le novità della pittura d’Oltralpe e divenendo così “il papà della macchia”. Ma il Caffè fu anche luogo di scherzi e di burle sguaiate, che furono confidate alla scrittrice, che con gran cura le riportò nei suoi libri, non solo per il puro gusto dell’aneddoto ma per far rivivere il clima creativo ed irriverente che sempre accompagnò il movimento dei Macchiaioli.

È a Giovanni Fattori che Franchi dedica le sue parole più ammirate: pittore la cui “opera è un monumento che non può perire tanto è nato dalla verità”. Per la critica, il maestro livornese è un uomo puro, in pittura come nella vita, ed ecco dunque che lo battezza “il grande fanciullo”, la cui vita “fu una sola smagliante narrazione, ripetuta con frasi sempre nuove”. L’amore per l’arte e la sincerità avevano spinto Fattori a rifiutare ogni compromesso. Egli fu tanto riservato che quando scoprì che Anna Franchi stava scrivendo un libro sui Macchiaioli, volle assicurarsi che non si scrivesse troppo di lui per non far credere in giro di voler farsi reclame; sconsolato le diceva: “Sa cara amica quanto odio la cosa”.

Franchi vedeva nel maestro livornese quella “sincerità brutale alla ricerca della luce”, e quando scrisse che “la sua mano sembra precorrere il pensiero”, con grande acutezza identificava la peculiarità del pittore di rendere la verità della natura, non colta nella sua manifestazione fenomenica, ma nella sua essenza. Anna Franchi svelò la genialità del pittore anche nella descrizione del quadro Cavallo morto, in cui secondo lei Fattori voleva esprimere l’orrore della disperazione e dove nonostante l’apparente semplicità ed essenzialità della scena “tutto è detto e il dolore è impresso in quella tela, non dalle quattro pennellate, ma dal sentimento, dall’anima dell’artista, quasi incosciente di ciò che la mano tracciava”. Franchi frequentò e assistette il vecchio maestro fino a pochi giorni prima della morte, scrivendolo poi nei suoi testi: Fattori le chiese di vedere Firenze dal Piazzale Michelangelo, e le diceva “lavorerò, mi par di non aver fatto abbastanza [..] ah l’arte, quante cose non ho fatto quante cose ho pensato! Potevo fare di più”.

Franchi, con acutezza, eternò non solo Fattori, ma tutti i partecipanti alla Macchia. Dal De Tivoli che rendeva in pittura “gli alberi fatti a massa, bucati con delle pennellate, per farvi entrare l’aria” a Cristiano Banti che si procurò uno specchio nero per mezzo del quale riusciva a vedere come rendere la macchia. Poi Odoardo Borrani che “aveva compreso come si può fermare un raggio di sole sulla tela”, fino anche ai più giovani, come Ludovico Tommasi che segue il vero quasi con irrequietezza, “quel vero che varia col minuto che passa”, e Plinio Nomellini che usa il simbolo per la ricerca del vero, di un concetto alto e profondo, e riproduce “il poema che la natura canta per lui”; o Benvenuto Benvenuti “artista del poema umano”.

La Franchi rivendicava la bontà di quella ricerca che partita dalla Macchia si dipana verso molteplici esiti, ma ciò che accomuna i toscani per Franchi è l’amore per la loro natura quieta: “Non hanno concezioni difficili, sono semplici chiari narratori di ciò che osservano, senza frasi declamatorie ma con il periodo corretto e conciso”. Per la scrittrice, il valore più alto del movimento è quella spasmodica ricerca del vero senza effetti o compromessi. Quella “superba verità di liberazione verso la quale andarono fidenti e coraggiosi”.

Adriano Cecioni, Il caffè Michelangelo (1861 circa; acquarello, 53 x 82 cm; Milano, Collezione privata)
Adriano Cecioni, Il caffè Michelangelo (1861 circa; acquarello, 53 x 82 cm; Milano, Collezione privata)


Giovanni Fattori, II cavallo morto (1903; olio su tavola, 62 x 107 cm; Collezione privata)
Giovanni Fattori, II cavallo morto (1903; olio su tavola, 62 x 107 cm; Collezione privata)


Telemaco Signorini, Via Torta a Firenze (1870 circa; olio su tavola, 16,6 x 11,3 cm; Collezione privata)
Telemaco Signorini, Via Torta a Firenze (1870 circa; olio su tavola, 16,6 x 11,3 cm; Collezione privata)


Plinio Nomellini, Il golfo di Genova o Marina ligure (1891; olio su tela, 59 x 96 cm; Tortona, Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona)
Plinio Nomellini, Il golfo di Genova o Marina ligure (1891; olio su tela, 59 x 96 cm; Tortona, Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona)

Attraverso le sue pubblicazioni i Macchiaioli trovarono affermazione e fortuna di pubblico, ma purtroppo si realizzò quanto profetizzato da Telemaco Signorini: “Quando saremo crepati diventeremo celebri”. Franchi acquisì una certa notorietà tanto che perfino Matisse parlò di lei con il giornalista Milziade Torelli, affermando che gli amici Macchiaioli furono difesi e capiti soprattutto da lei. I Macchiaioli trovarono in lei una fidata alleata, e il suo sostegno non rimase solo su carta stampata, ma ella sostenne in ogni modo la causa degli artisti toscani, per esempio con le numerose conferenze e, in maniera ancor più diretta, come intermediaria con i collezionisti per le vendite. Franchi portò avanti questa attività, di primaria importanza, ma difficile da ricostruire, soprattutto a Milano, dove i Macchiaioli entrarono in diverse collezioni, grazie alla sua stretta conoscenza di lungimiranti collezionisti, che del resto dovevano dimostrarsi “un po’ mecenati un po’ appassionati”. Gli straordinari meriti di critica militante di Anna Franchi furono da sempre riconosciuti dagli artisti, con cui intrattenne lunghe corrispondenze, in cui i toni son sempre molto affettuosi. Furono veri rapporti di amicizia come quello con Nomellini che la chiamava “cara amica” o con Giorgio Kienerk che con ancor più intimità si rivolgeva a lei con parole che finivano nello scherno bonario e nel turpiloquio. Mentre decisamente più freddo fu il mondo della critica d’arte italiana: spesso si faticò a riconoscerle i grandi meriti, tanto che dovette rivendicarli lei stessa pubblicamente: “La prima ad occuparsi dei Macchiaioli toscani sono stata io […]. Ugo Ojetti è venuto – semmai – dopo di me”, scrisse dopo che il potente critico, che all’inizio si era dimostrato piuttosto mal disposto verso l’esperienza Macchiaiola e Fattori salvo poi cambiare idea, si era occupato della compagine toscana senza citarla fra i principali studiosi.

La vita di Franchi, sebbene poco nota al grande pubblico, è stata negli anni interessata da alcuni importanti studi, in particolare il testo Anna Franchi: L’indocile scrittura. Passione civile e intuizioni critiche di Elisabetta De Troja del 2016, che delinea la straordinaria esperienza creativa e letteraria di Anna Franchi, anche ponendo l’attenzione alla sua attività di critica d’arte. Ciononostante, anche fra gli studi e nelle mostre, spesso la grande importanza di Anna Franchi viene ancora oggi omessa. Non ultimo ne è una riprova anche il suadente appellativo dato a Margherita Sarfatti di “prima critica d’arte italiana ed europea”: l’attività di Margherita Sarfatti, sebbene sia stata un altro personaggio di primario interesse del panorama italiano, si colloca infatti nel mondo dell’arte almeno due decenni dopo quella di Franchi. Ma Dio ce ne scampi a cascare nello stesso errore e attribuire ad Anna Franchi tale titolo, poiché la storia è sempre molto parca nel registrare correttamente il nome delle grandi donne.


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Jacopo Suggi

L'autore di questo articolo: Jacopo Suggi

Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.



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