L'eclissi del sacro

Percorsi contemporanei

2010, Ottava puntata

Salve a tutti!!
Riprendiamo la nostra chiacchierata su alcuni aspetti dell'Ottocento, parlando dell'ultimo fenomeno che, in un certo senso, ritroveremo anche nel XX secolo.
Cosa per intendiamo per “eclissi del sacro”?
Con questa espressione Cesare De Seta indicava la sostanziale crisi ottocentesca della chiesa in quanto tipologia architettonica: rispetto ai secoli precedenti, per tutto l'Ottocento fino alla prima metà del Novecento vengono costruite poche nuove chiese, quasi tutte secondo uno stile neo-gotico o neo- rinascimentale (a seconda delle zone) che utilizzavano un vocabolario di forme architettoniche già usato e, in molti casi, scontato.

Rivolgendo lo sguardo alle arti figurative, possiamo notare (ad esempio visitando un museo, o sfogliando le pagine di un manuale di storia dell'arte) come dall'inizio dell'Ottocento i quadri di soggetto religioso scompaiano quasi del tutto. Cerchiamo di scoprire le possibili cause.
Fino alla rivoluzione francese, la sfera sacrale era associata al sovrano regnante e alla Chiesa: in ogni caso la sacralità del sovrano era legata ad un'investitura divina, per cui nelle celebrazioni dei regnanti di area cattolico-cristiana spesso si potevano trovare allusioni a santi omonimi o alle virtù cristiane di cui il sovrano doveva essere il sommo rappresentante. Nella vita del re di Francia, re cristianissimo per eccellenza, le ore del giorno e gli impegni annuali erano scanditi da un rituale teso a sottolineare l'eccezionalità dei poteri del monarca, che talvolta si presentavano affini ai poteri taumaturgici attribuiti ai sani e al Cristo stesso (si pensi alla cerimonia della guarigione degli scrofolosi, risanati al tocco del re di Francia durante una cerimonia ufficiale).

Il connubio tra potere temporale e sacralità religiosa venne meno con la rivoluzione francese: alla rappresentazione ufficiale del “re cristianissimo” si sostituiscono le immagini dei martiri della libertà, esemplificate sul modello dell'iconografia cristiana, come quella, celeberrima, del Marat assassinato di Jacques Louis David (https://it.wikipedia.org/wiki/File:Death_of_Marat_by_David.jpg), che richiama l'altrettanto celebre deposizione di Caravaggio (https://it.wikipedia.org/wiki/File:Caravaggio_-_La_Deposizione_di_Cristo.jpg). Si tratta di un brusco mutamento iconografico, che non procede più per assimilazione del soggetto al suo modello ideale, ma, stabilendone il parallelo, ne sancisce di fatto il distacco. L'iconografia dei patrioti mutuava da quella dei santi l'insistenza sul motivo della sofferenza corporale, trasponendo su un piano laico ed ideale la sofferenza cristiana.

Parallelamente, nei paesi mitteleuropei, ed in particolar modo in quelli di lingua e cultura tedesca, si andava affermando sempre più la temperie romantica, che recuperava un rapporto sentimentale e spirituale con la natura, lontano dalle classificazioni della tassonomia illuministica; la Natura viene vista come prodotto primo della forza creatrice divina, il luogo in cui la divinità si manifesta in tutta la sua potenza, distruttrice e creatrice nel medesimo istante.

Un altro spostamento iconografico rilevante che deriva da questo fenomeno è l'importanza sempre maggiore accordata ai quadri di paesaggio; il genere paesaggistico era stato considerato fino ad allora un genere minore, relegato ad una funzione di supporto nelle grandi tele d'altare o mitologiche, ma mai riconosciuto come genere nobile, al pari della pittura di storia, considerato come il genere aulico e decoroso per eccellenza. La pittura di paesaggio, che nel Seicento inizia a ritagliarsi un piccolo spazio tra i generi maggiori attraverso le opere di Poussin, nel Settecento conosce una grande diffusione tra la piccola nobiltà, grazie soprattutto all'opera dei vedutisti veneziani e dei ritrattisti del Grand Tour. Si trattava tuttavia di un'attenzione accordata non allo spettacolo della natura, ma all'impronta ordinatrice che la mano dell'uomo aveva impresso su di essa.

Con la nuova sensibilità nei confronti della natura, la rappresentazione del paesaggio, da elemento secondario assurge a protagonista assoluto della scena sacra, attraverso la condensazione simbolica degli elementi, spesso ridotti al minimo. Maestri e apristrada della nuova iconografia furono Joseph Mallord William Turner (1775-1851) e Caspar David Friedrich (1774-1840), i quali condensarono nel paesaggio un forte significato simbolico; se, da un lato, Turner mostra il lato “sublime” del mare in tempesta, alludendo alla precarietà della vita e all'impotenza umana di fronte alla forza prorompente della natura (https://it.wikipedia.org/wiki/File:Joseph_Mallord_William_Turner_024.jpg), dall'altro Friedrich mostra la piccolezza dell'uomo di fronte al creato (https://it.wikipedia.org/wiki/File:Caspar_David_Friedrich_029.jpg).

In entrambi i dipinti possiamo osservare l'impiego di tre soli elementi compositivi: la massa d'acqua, il cielo, l'uomo o un suo manufatto (come la barca). Sebbene la divinità non venga direttamente raffigurata, è quell'affascinante terribilità che diventa una sua sua diretta emanazione.
Lo spazio del sacro non è più, quindi, quello dell'immagine immediatamente riconoscibile secondo codici e schemi visivi consolidati nel tempo, ma si pone sul piano delle emozioni che l'opera è in grado di suscitare.
Questo punto è di fondamentale importanza: come abbiamo visto nelle precedenti puntate, l'Ottocento è il secolo in cui gli artisti, volenti o nolenti, restano privi del supporto delle accademie, e iniziano a confrontarsi sempre più con il mercato e con il problema del rapporto con il pubblico.

La comunicazione del “significato” e dello “spirito” di un quadro esplode:le vie per cercare di risolvere quella che sembra essere l'insanabile contraddizione esistente in ogni opera d'arte (essere portatrice di un significato potente ma ambiguo, dal quale si esige una chiarezza che renderebbe però l'opera un testo visivo definito, scontato, non più “arte”) sono state molteplici: cerchiamo di passarle in rassegna brevissimamente.
Alcuni artisti fecero un uso esasperato, quasi onirico dei simboli che costellano le loro opere d'arte. Spesso questi simboli intrecciano ai testi biblici le antiche religioni autoctone (nell'Ottocento si sviluppa per esempio la comprensione delle rune e delle religioni arcaiche), creando dei sistemi cosmologici le cui regole sono definite dall'artista stesso, accessibili solo tramite la lettura degli scritti ad esse associate: pensiamo alle produzioni di William Blake (https://it.wikipedia.org/wiki/File:Sconfitta_(William_Blake).jpg), pittore, incisore e poeta che ci ha lasciato degli splendidi libri da lui stesso decorati in cui poesia e pittura ritrovano un'unità persa da tempo; altri cercarono nei manufatti delle popolazioni primitive un senso di religiosità primitivo, ingenuo e intimo, veritiero: il fascino per i popoli “primitivi” o per la cultura popolare contadina esercitò su artisti come Van Gogh e Gauguin una forte attrazione, ispirando in entrambi il senso di una ritrovata religiosità:Van Gogh cercherà sempre il segno divino del Dio Creatore, seguendo il parallelo che l'Antico testamento tracciava tra l'uomo e Dio; esemplare, a tal fine, è il caso del “seminatore”, in cui il contadino che semina il grano viene protetto alle spalle dal sole (antico simbolo divino): l'uomo è l'unico essere vivente che, essendo stato creato a immagine e somiglianza di Dio, può disporre dei cicli vitali della natura (https://it.wikipedia.org/wiki/Seminatore_al_tramonto).

In Italia artisti come Segantini, Previati, Pellizza da Volpedo produssero delle opere in cui il mondo contadino, con gli elementi della natura che ne scandiscono i giorni, vengono simbolizzati e trasformati in segni di un'emanazione divina che, pur riferendosi ad un immaginario religioso di tipo cristiano, ne oltrepassa i confini, Infine, alcuni artisti si concentrarono sugli elementi essenziali del linguaggio della pittura: colore, segno, forme geometriche. Già George Seurat aveva iniziato a studiare come la composizione di colore e forma influenzi la percezione psicologica, e quali simboli vengono automaticamente associati a determinati timbri cromatici o andamenti lineari. Una ricerca che investirà molti artisti di fine Ottocento, che porterà ad un uso sempre più simbolico ed ermetico di forme e colori, coinvolgendo anche i padri dell'astrattismo novecentesco, come Piet Mondrian, Vasilij Kandinsky, Paul Klee.

La scomparsa dell'iconografia cristiana tradizionale durante il corso del XIX secolo è stato un evento traumatico per la storia dell'arte occidentale, figlia della tradizione classica e delle lotte all'iconoclastia. Per secoli la produzione artistica aveva avuto un doppio fine: essere oggetto di diletto o mezzo di riflessione e di culto. Nel momento in cui l'arte si svincola da queste referenze, afferma di fatto la nascita di un nuovo territorio di ricerca, quello dello spirito umano, in cui il senso del sacro diventa soggettivo, perché non è dato a priori da un'autorità religiosa costituita.

Un'eclissi del sacro, dunque, che ha coinvolto nello specifico il senso della sacralità cristiana (minata anche dagli avvenimenti storico-politici che avevano adombrato il volto della Chiesa nel XIX secolo), che verrà profondamente rinnovata nei decenni che precedono, assistono e seguono alla seconda Guerra Mondiale, quando (lo vedremo tra qualche puntata) in Italia si cerca di nuovo il sacro cristiano in pittura, per denunciare gli avvenimenti politici o per ritrovare il rapporto con un dio che è stato dimenticato dagli uomini. Ma di questo, ne parleremo tra qualche puntata.

Per approfondire:
- Cesare de Seta, Architetture della fede in Italia, Mondadori, 12 euro.
- Robert Rosenblum, Pittura moderna e romanticismo nordico. Da Friedrich a Rothko, Five continents edition, 24 euro.

Antoniettachiara Russo








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