Guido Reni e il classicismo cattolico: un paradosso?

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2013, Prima puntata

La storia dell'arte è segnata dalle continue e sempre in costante aggiornamento rappresentazioni di Cristo. Guido Reni, nel Seicento, con il suo Ecce Homo conservato al Louvre, propose un nuovo canone per la rappresentazione di Gesù, fondando l'idea del "classicismo cattolico". Una pittura apollinea, quella di Guido Reni, che però mal si adattava al suo stile di vita. Tutti temi affrontati in questo articolo di Riccardo!

La storia, spesso, se studiata in modo scientifico e chirurgico, può fare sorgere considerazioni molto profonde e talvolta inaspettate. La storia deve insegnare ai posteri che non tutto è ciò che sembra e deve porsi come uno strumento – anche – filosofico di riflessioni. La storia dell'arte innesca lo stesso meccanismo ma attraverso le immagini che devono essere lette attraverso l'osservazione e una buona dose di estetica.

Poco dopo il Natale 2012, che per i più tragici non avrebbe neppure avuto luogo dato che i Maya ci avevano detto che il 21 tutto si sarebbe concluso ventilando l'idea di una possibile e catastrofica fine del mondo (e anche qua vorremmo ricordare chi nel 999 d.C. era convinto che gli sarebbe rimasto solo un anno di vita...), potremmo analizzare quella pittura sacra che poi dalla Chiesa è stata utilizzata come veicolo di comunicazione: i famosi “santini” e le altrettanto famose “immaginette” che si prendono dopo aver acceso un lume dinnanzi ad una pala d'altare o di fronte alle spoglie di un santo che riposa in una teca di legno dorato. Anche la Chiesa, come ogni istituzione che funziona da molto tempo e che opera in modo capillare per un fine più o meno condivisibile (con mezzi più o meno condivisibili), ha ricercato tramite l'arte di raccontarsi e, in una certa maniera, di sponsorizzare la proprio immagine.

Il volto di Cristo, ad esempio, è stato rappresentato nel corso della storia secondo diverse modalità e tramite iconografie differenti. La prima rappresentazione che conosciamo risale al II secolo d. C. ed è il Cristo in croce con testa d'asino, un graffito in cui il Salvatore dei cristiani viene rappresentato dai romani (“pagani”) in modo denigratorio. “Voi pagani avete fantasticato che una testa d'asino è il nostro Dio. Tale sospetto l'ha introdotto Cornelio Tacito. [...]” scrive Tertulliano nell'Apologetico. Si passerà, poi, nei secoli successivi, a rappresentarlo attraverso due distinte modalità: o divin fanciullo, figurazione in cui Gesù si trova ad essere di fatto un Apollo dei cristiani: bello, seducente e dai tratti puerili; oppure, con tratti più adulti e forse più coerenti in rapporto all'area da cui proveniva, l'attuale Palestina: lunga barba, occhi scuri e capelli castani. Sarà nel corso dei secoli che l'immagine del Cristo che tutti abbiamo in testa si incarnerà nella seconda descrizione, tra l'altro molto vicina a quella che possiamo leggere in un testo apocrifo attribuito a un funzionario romano della Giudea, contemporaneo del Messia: “E' un uomo dalla statura alta, ben proporzionata, dallo sguardo improntato a severità. I suoi capelli hanno il colore delle noci di Sorrento molto mature e discendono dritti quasi fino alle orecchie. […] Ha barba abbondante, dello stesso colore dei capelli: non è lunga e sul mento è biforcuta. [...]”.

Chi, fra tutti, darà del Cristo una rappresentazione magistrale, nitida, chiara, quasi “pubblicitaria” fu il grande Guido Reni (Bologna, 4 novembre 1575 – Bologna, 18 agosto 1642). Chi pensa a Gesù si immagina senz'altro un viso come quello che lui dipinse nell'Ecce Homo del Louvre: lo sguardo estatico e malinconico ma non disperato né tragicamente sofferente, la corona di spine che sfuma nel vapore castano dei lunghi capelli disegnata con minuziosa maestria, la barba, soffice e più chiara, e i tetri spruzzi di sangue che colano sull'epidermide. Un bagliore di luce sullo sfondo allude all'aureola e dunque alla sua natura divina e la bocca lievemente socchiusa si pone come un'estrema preghiera al Padre. Guido fonda l'idea di “classicismo cattolico” perché vuole, di fatto, dare vita e corpo alla divinità umanata: la bellezza dei corpi viene idealizzata così con lo stesso principio usato (la cosiddetta mìmesis) da Fidia nei fregi del Partenone o da Raffaello nella sua pitture, un perfetto rapporto tra forma e contenuto. In poche parole: non era il corpo perfetto ad essere dipinto, ma bensì l'idealizzazione dello stesso. Il Raffaello emiliano anche nelle rappresentazioni sacre del Cristo indugia con notevole piacere sulle braccia splendidamente tornite, sui torsi snelli ma pur sempre dotati di una perfetta muscolatura resa vivida dalle morbide ombreggiature e sulle lisce caviglie, tutti tipici elementi della più raffinata statuaria greco – romana. Questo viene chiarificato dall'osservazione del Crocifisso del 1639 conservato alla Galleria estense di Modena.

Eppure, se dal punto di vista del suo fare arte, Reni era di fatto il Raffaello del '600, la sua vita privata risulta costellata di notizie (vere o presunte tali) che ben poco si addicono alla poesia apollinea che pervade il suo operato. Si sa che si sporcò le mani partecipando spesso a bische e che i suoi svariati atelier bolognesi in cui lavorava venivano frequentati da muscolosi facchini o uomini di malaffare (che lui usava come spunto per le meravigliose immagini sacre che ha regalato all'Occidente e non solo). Ludovico Carracci lo dipinse come un purissimo angelo ma ormai da molti pare acquisita la sua omosessualità e la sua passione per i giochi di carte fatti in clandestinità.

Per ironia della sorte il pittore che fondò il famoso classicismo cattolico, a detta di molti, sembra essere più interessato ai muscoli torniti che non alle forme sinuose delle belle fanciulle. Per gli storici questo è un dato di fatto e nulla più. Peccato che per molti questo potrebbe essere chiamato “scandalo”. Noi restiamo in silenzio ed osserviamo da uomini, ancor prima che da studiosi o da storici, la poesia che lui riuscì a donare ad immagini che resteranno immortali perché da sempre presenti nel nostro immaginario collettivo.

Riccardo Zironi








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