Biennale di Venezia 2024, la top 10 dei migliori padiglioni nazionali secondo noi


Quali sono i 10 migliori padiglioni nazionali della Biennale di Venezia? Dopo tre giorni di discussioni e confronti, ecco il verdetto di Finestre sull’Arte!

La Biennale di Venezia si prepara ad aprire le porte al pubblico per la sua 60ª Esposizione Internazionale d’Arte, intitolata Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere, curata da Adriano Pedrosa e prodotta dalla Biennale di Venezia. L’evento si svolgerà dai Giardini all’Arsenale, aperto al pubblico dal 20 aprile al 24 novembre 2024. La cerimonia di premiazione e inaugurazione avrà luogo domani, sabato, 20 aprile 2024, dopo i tradizionali tre giorni di pre-apertura dal 17 al 19 aprile. Ricca, come sempre, l’offerta dei padiglioni nazionali. E dopo tre giorni di visite e di confronti tra noi e con i colleghi, quali sono i padiglioni migliori? Ecco la lista di quelli che ci sono sembrati più interessanti: la top 10 dei migliori padiglioni della Biennale 2024 secondo Finestre sull’Arte.

10. Azerbaigian

Il padiglione dell’Azerbaigian si trova subito di fronte all’Arsenale e presenta un progetto, a cura di Anna Melikova e Luca Beatrice, con le opere di tre artisti: gli esperti Irina Eldarova e Rashad Alakbarov e la giovane Vusala Agharaziyeva. Eldarova presenta una serie di opere che vedono per protagonista Marilyn Monroe colta in una serie di scene con un operaio azero, quasi a narrare una storia d’amore impossibile, Agharaziyeva ci porta nel “Pink Planet” che dà titolo al progetto (From Caspian to Pink PLanet: I am Here), mentre Alakbarov firma il terzo momento (I am here) con un’installazione che sorprende nel finale. Il percorso parla di temi come l’identità e la migrazione per condurre al “Pink Planet”, una sorta di meta finale che ci fa sentire stranieri dentro le nostre stesse esistenze. Buoni i dipinti, ottima la narrazione, le opere dei tre artisti si amalgamano molto bene assieme.

Padiglione dell'Azerbaigian
Padiglione dell’Azerbaigian

9. Turchia

Un mondo in pericolo, i resti di una civiltà colpita da guerre, catastrofi naturali, pericoli e calamità assortite. È quello narrato da Gülsün Karamustafa nel Padiglione della Turchia, fatto di opere scultoree, un film e una grande installazione sonora. Il progetto s’intitola Hollow and Broken: A State of the World. Colpiscono soprattutto le grandi colonne, segno di un mondo in rovina. Colonne che in realtà, a ben vedere, sono stampi di plastica: la scelta del materiale è stata fatta per suggerire al pubblico un’idea contraria a quella che solitamente si associa alla gloria e al potere. Elementi distanziati, ambiente nella penombra, sonoro cupo: un progetto che riesce a raggiungere i propri obiettivi evocando quelle sensazioni che si prefigge di evocare.

Padiglione della Turchia
Padiglione della Turchia

8. Albania

In una Biennale in cui si vede pochissima pittura occidentale (anzi, la pittura è quasi assente dai padiglioni nazionali: eppure è sempre il mezzo preferito dai collezionisti... ), uno dei rari casi è quello di Iva Lulashi, nome noto alle nostre latitudini dal momento che fin da bambina vive in Italia, e si è formata artisticamente qui. Presente dunque sulla scena da anni, arriva a Venezia con un corpus di opere (alcune già presentate in passato, altre dipinte ex novo) dedicate al sesso e al desiderio femminile dentro un padiglione che è stato allestito a ricreare le cubature del suo studio, per accrescere il senso d’intimità che le opere vogliono evocare (il titolo del progetto è Love as a glass of water, a cura di Antonio Grulli). Classe 1988, Lulashi è tra le migliori pittrici italiane della sua generazione, e il Padiglione del suo paese natale è un po’ una consacrazione rispetto a un lavoro molto apprezzato: da vedere in futuro se la sua arte, già di ottimo livello, saprà fare ulteriori scatti.

Padiglione dell'Albania
Padiglione dell’Albania

7. Croazia

La Croazia si presenta con un romantico progetto di Vlatka Horvat, intitolato By the means at hand, a cura di Antonia Majaca. L’artista croata ha dato vita a una mostra di artisti che vivono “da stranieri”, seguendo dunque il tema principale dell’edizione 2024 della Biennale. A ognuno di loro, amici e colleghi, ha chiesto un’opera, da inviare a Venezia attraverso un messo appositamente scelto (quindi non tramite corriere o mezzi di spedizione moderni). Le opere infatti vengono portate a mano, e Horvat ha chiesto a ogni artista di scattare una foto del momento della consegna all’improvvisato spedizioniere, catturando soltanto le mani. In cambio, Horvat offre a ognuno dei partecipanti una propria opera che ha per tema Venezia. Il progetto, dunque, insiste non solo sul tema del sentirsi “stranieri ovunque”, ma anche sul valore dell’incontro e dello scambio. L’allestimento è ottimo, leggero e delicato, e la mostra dà modo di vedere tante declinazioni del tema della Biennale.

Padiglione della Croazia
Padiglione della Croazia

6. Stati Uniti

Per la prima volta, un artista nativo è protagonista di un progetto monografico al Padiglione degli Stati Uniti (The space in which to place me, a cura di Abigail Winograd e Kathleen Ash-Milby). È il cherokee Jeffrey Gibson, noto per le sue opere coloratissime, che ha portato anche alla Biennale per dare vita a una narrazione che combatta gli stereotipi contro i nativi americani ma anche contro la comunità LGBTQ+. E poi, il suo obiettivo è anche quello di combattere contro la “cromofobia”, come la chiama lui, dell’arte contemporanea attraverso un’esplosione di colori che invade ogni spazio del padiglione, anche fuori: la facciata è stata infatti completamente rivestita. Dentro, altissime sculture, paperi colorati e anche un film sui temi del progetto.

Padiglione degli Stati Uniti
Padiglione degli Stati Uniti

5. Uzbekistan

Molto poetico il padiglione uzbeko, con il progetto Don’t miss the cue, progetto monografico dell’artista Aziza Kadyri, che immagina il dietro le quinte di un teatro (il padiglione è infatti ubicato nel Teatro delle Tese all’Arsenale) per indagare le esperienze delle donne dell’Asia centrale e il modo in cui pensano alla propria identità durante il processo di migrazione. Il padiglione è dunque concepito come un viaggio dentro l’identità delle donne uzbeke: onnipresente il blu, il colore della tradizione, così come il Suzani, il ricamo uzbeko. Di grande effetto il finale, con la prospettiva del visitatore che cambia completamente.

Padiglione dell'Uzbekistan
Padiglione dell’Uzbekistan

4. Danimarca

Rise of the sunken sun è il titolo del progetto del padiglione della Danimarca che per la prima volta si affida a un artista nativo della Groenlandia, il fotografo Inuuteq Storch. Curato da Louise Wolthers, si tratta di una mostra nel senso tradizionale del termine: vengono esposte le fotografie che Storch da tempo realizza nella sua terra natale per esplorare i paesaggi, la gente, il modo in cui le comunità locali si relazionano con la Danimarca, ma anche il passato coloniale di questa terra. Il tutto completato con un’installazione, il “sole affogato” che dà il titolo al padiglione, e che dischiude ulteriori significati. Da notare, inoltre, che la scritta “Danimarca” sulla facciata del Padiglione è stata sostituita con “Kalaallit Nunaat”, ovvero “Groenlandia” nella lingua locale.

Padiglione della Danimarca
Padiglione della Danimarca

3. Svizzera

Benvenuti nell’apoteosi dell’estetica camp: il regista Guerreiro do Divino Amor, con la sua opera Super Superior Civilizations, a cura di Andrea Bellini, si prende gioco di tutti gli stereotipi che da sempre circondano la Svizzera. Tra sculture kitsch, eroi della mitologia trasportati sulle Alpi, mondi onirici, schiere di transessuali che diventano bizzarri officianti, Guerreiro do Divino Amor invita il pubblico a prendere meno sul serio nazionalismi e sciovinismi assortiti con un breve film da guardare tutto dall’inizio alla fine, col naso all’insù (particolare la struttura: una grande cupola dentro il padiglione elvetico, e il filmato viene proiettato sulla cupola, come fosse un grande affresco, esattamente come quelli che secoli addietro venivano dipinti per celebrare e non per demolire, per decostruire). Le comodissime chaise longue allestite nel padiglione agevolano l’operazione.

Padiglione della Svizzera
Padiglione della Svizzera

2. Spagna

Quest’anno il Padiglione della Spagna è stato allestito come un museo: il progetto si chiama infatti Pinacoteca Migrante e presenta allestimenti e suddivisione in sale del tutto simili a quelli di una normale pinacoteca. Solo che questa pinacoteca racconta, con le opere di Sandra Gamarra Heshiki, il passato coloniale della Spagna. Dapprima con paesaggi che fanno il verso ai dipinti conservati nei grandi musei spagnoli, poi con una sorta di Wunderkammer fatta di oggetti che raccontano storie di colonizzatori e colonizzati, poi con un campionario di lavori che cercano di capire come si origina il razzismo, e poi ancora opere sul tema della migrazione e molto altro. Come in molti musei, ogni sala ha un tema. E, nel bel mezzo del museo, anche uno speciale giardino segreto. S’è già detto come in questa Biennale si veda pochissima pittura, e quella di Sandra Gamarra Heshiki è tra i lavori migliori.

Padiglione della Spagna
Padiglione della Spagna

1. Francia

Il titolo del progetto è lunghissimo: Attila cataracte ta source aux pieds des pitons verts finira dans la grande mer gouffre bleu nous nous noyâmes dans les larmes marées de la lune. L’opera è del parigino, di origini martinicane, Julien Creuzet, la curatela è affidata a Céline Kopp e Cindy Sissokho. È un’opera d’arte totale: sculture di ceramica e di corda (come se ne sono già viste diverse in passato, ma nell’insieme qui funzionano benissimo), video, un’installazione sonora che mette in cantato il lungo poema di Creuzet che dà titolo al padiglione. Un’esperienza avvolgente e ipnotica per parlare di decolonizzazione (il tema portante di questa Biennale) in maniera non pedante né didascalica, ma poetica. Decolonizzazione, in sostanza, come ripensamento, più che come riparazione, sembra voler dire Creuzet. Da visitare lasciandosi trasportare dalle onde del mare immaginato da Creuzet, un mare che bagna tanto la Martinica quanto la Francia, tanto il colonizzato quanto il colonizzatore.

Padiglione della Francia
Padiglione della Francia

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