Elemosina di santa Elisabetta d'Ungheria

Autore: Bartolomeo Schedoni
1611
Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

Questo dipinto di Bartolomeo Schedoni, importante artista emiliano vissuto tra il 1578 e il 1615, rappresenta l'Elemosina di santa Elisabetta d'Ungheria ed è probabilmente quello che, il 10 ottobre del 1611, viene registrato negli inventari dei Farnese come "il quadro grando co' un orbo, un putto che lo conduce et una donna che li fa elemosina co' un putino". La "donna che li fa elemosina" è da identificare con santa Elisabetta d'Ungheria, principessa magiara che dopo la scomparsa del marito, Ludovico IV di Turingia (occorsa nel 1227, quando lui aveva ventisette anni e lei venti) entrò nel Terz'Ordine Francescano e vi rimase fino all'anno della sua morte a soli ventiquattro anni, nel 1231. Fu canonizzata da Gregorio IX nel 1235 ed era nota per la sue opere di carità, tanto che nei dipinti è spesso raffigurata nell'atto di elargire elemosine ai bisognosi.

La santa è identificabile dal gesto: vediamo infatti che dona della pagnotte tirandole fuori dal grembo, e uno dei miracoli che le si attribuiscono è quello di aver proprio trasformato in rose delle pagnotte che portava in grembo e che aveva preso da casa contro il volere della famiglia. Tutti i protagonisti sono giovani: di particolare effetto la figura del ragazzino cieco che guarda verso l'osservatore (un'immagine disturbante diretta a suscitare la pietà del pubblico: si tratta di una delle immagini più forti della pittura del Seicento), e sempre all'osservatore si rivolge anche il bambino che accompagna santa Elisabetta (la figura che guarda chi osserva è tipica delle composizioni di Bartolomeo Schedoni).

Le figure, pervase da una certa monumentalità che ricorre nei dipinti di Schedoni, mostrano tutti i tratti caratteristici dell'artista, che si muove a metà tra grazia correggesca e naturalismo carraccesco: ne risulta una pittura dagli accenti realistici, ma sempre piuttosto delicata. Le figure, che spiccano sul fondo scuro, sono inoltre caratterizzate dalle campiture nette, anch'esse tipiche della cifra stilistica di Bartolomeo Schedoni, e che rendono la pittura dell'artista modenese pressoché unica nel panorama emiliano del tempo.

Il dipinto, se da identificare con quello citato nel documento del 10 ottobre 1611, che attesta la consegna dell'opera, da parte dell'artista stesso, a Flaminio Giunti, guardarobiere del duca di Parma e Piacenza, Ranuccio I Farnese, sarebbe opera di committenza farnesiana. Oggi è conservato a Napoli, al Museo Nazionale di Capodimonte: come molte opere dei Farnese, infatti, giunse nella città partenopea con i Borbone di Napoli, che ereditarono il ducato di Parma e Piacenza dopo la scomparsa dell'ultimo Farnese, Antonio.

23 novembre 2017

Elemosina di santa Elisabetta d'Ungheria di Bartolomeo Schedoni

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