L'arte politica di Andrei Molodkin in mostra a Barletta


Recensione della mostra 'Andrei Molodkin. Victory of Democracy' al Castello di Barletta dal 24 aprile 2018 al 24 giugno 2018.

L’artista Andrei Molodkin nasce in Russia e investe gran parte della sua produzione artistica nella realizzazione di opere dalla forte valenza concettuale e Victory of democracy, mostra in corso a Barletta fino al 24 giugno, ne è una lampante conferma. Una parte della mostra prevede una installazione ambientale composta da lettere ferree, verniciate di nero, dai prepotenti font e dimensioni (22x6x3 metri), che accoglie l’osservatore al rivellino del Castello Normanno Svevo. La parola che si concretizza è government.

La mostra è stata inaugurata il 24 aprile, data che le conferisce una notevole rilevanza politico-ideologica, in una delle province pugliesi maggiormente attive nella resistenza al dominio fascista durante il ventennio mussoliniano. Le lettere sono dissestate, confuse, e l’intera installazione sembra in costruzione, in fieri, ed è così possibile cogliere un sottile parallelismo tra la sconnessione visiva delle nere lettere con la condizione politica italiana contemporanea. È necessario addentrarsi nella fortezza (i sotterranei in particolare) un tempo abitata in varie occasioni da Federico II, per prendere visione della seconda parte della mostra. La nuova atmosfera cala le opere custodite dal complesso castellare in un’atmosfera solenne e raccolta. Le installazioni interne, poste in tre diverse stanze, sono collegate tra di loro da un sistema di cavi, webcam, proiettori e sono collegate ideologicamente all’istallazione al rivellino: il fil rouge che accomuna i tre lavori alla produzione esterna è sicuramente l’impegno socio-politico dell’artista russo che risuona come un vero e proprio leitmotiv. La prima sala accoglie con luci soffuse, calde, rosseggianti e rumori cadenzati, ritmici, che riecheggiano sulle secolari mura e che ricordano uno stanco cuore palpitante in procinto di spegnersi del tutto, ma capace di battere ancora, come la democrazia occidentale, nata con l’uomo stesso e che ne accompagna le gesta sin dalla sua fase intellettualmente embrionale partorita nella Grecia antica. I suoni in questione sono generati da un sistema di pompe idrauliche e compressori che immettono sangue all’interno di blocchi trasparenti in materiale acrilico, posizionati in modo tale da formare la parola “democracy” e nello spazio che così si crea confluisce sangue umano, creando un ambiente ansiogeno degno della filmografia del regista Dario Argento.

Andrei Molodkin, immagine dalla mostra Victory of Democracy
Andrei Molodkin, immagine dalla mostra Victory of Democracy. Ph. Credit Barbara Conteduca


Andrei Molodkin, immagine dalla mostra Victory of Democracy
Andrei Molodkin, immagine dalla mostra Victory of Democracy. Ph. Credit Barbara Conteduca


Andrei Molodkin, immagine dalla mostra Victory of Democracy
Andrei Molodkin, immagine dalla mostra Victory of Democracy. Ph. Credit Barbara Conteduca

Ad affiancare il primo complesso irrorato di sangue, uno gemello incavato e insanguinato, raffigurante la Nike di Samotracia, la celebre scultura in marmo di scuola rodia della dea della Vittoria (che richiama il titolo della mostra stessa), nonché simbolo dell’ellenismo greco, periodo di forte rinnovamento culturale e di fermento creativo, oltre che dell’intera tradizione artistico-culturale occidentale figlia del logocentrismo e dei canoni greci.

Spostandoci nella seconda sala, vi è la proiezione sulle antiche mura, ripresa da una webcam in tempo reale, del blocco di lettere “democracy”, in cui è possibile notare i particolari del fluido sanguigno che scorre nelle lettere come se fossero vene; sul pavimento sono adagiati dei blocchi trasparenti in acrilico, anch’essi lettere che costituiscono la parola “democracy”, questa volta però iniettati di petrolio greggio. Una similitudine tra sangue e petrolio nel linguaggio dell’artista? Sono interscambiabili ermeneuticamente? Riflettendo sul potere che l’Occidente ha esercitato ed esercita ancora sui territori in possesso dell’oro nero, è facile intuire come la presa di posizione di Molodkin sia radicalmente critica, quanto il petrolio spesso sia più importante del sangue delle vittime che miete e quanto sia macchiato di sangue, del sangue dei “dannati della terra”, richiamando il titolo del testo del filosofo francese Frantz Fanon, ovvero coloro che subiscono le violenze di un potere sovrastante, che fuggono da situazioni di conflitto, ricevendo l’etichetta di immigrati. La democrazia stessa è macchiata di sangue e la sua vittoria, rappresentata dal blocco acrilico irrorato e proiettato nella terza sala, è sempre una vittoria dalle ali spezzate, sfregiata, usurpata, che probabilmente non potrà mai più spiccare il volo a causa del fardello demoniaco che si trascina in termini di vite umane. Quest’opera così complessa induce alla problematizzazione del dato quotidiano, mira a sensibilizzare l’osservatore, che è probabilmente anche elettore, circa le condizioni di violenza, precarietà, estremo sfruttamento in cui versa la società a causa del capitale globale e delle oligarchie finanziarie, a duecento anni dalla nascita del filosofo Karl Marx, e circa l’attuazione di fatto di un regime etico di matrice plautina, dove l’uomo è lupo per l’altro, una condizione antropologica, dalle tinte hobbesiane, di costante guerra di tutti contro tutti.


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