Lee Miller. Storia della fotografa che fece il bagno nella vasca di Hitler


Libera e determinata, la fotografa statunitense Lee Miller è una delle più interessanti artiste del Novecento, dotata di un genio multiforme e versatile. In questo articolo, la sua storia.

Libera, determinata e dalla forte personalità, Elizabeth (Lee) Miller (Poughkeepsie, New York, 1907 - Chiddingly, 1977) è una delle più grandi fotografe del Novecento, recentemente riscoperta dal grande pubblico attraverso mostre e libri a lei dedicati. La storia della sua vita è degna in effetti di essere raccontata per tanto fu movimentata, ricca di cambiamenti e di episodi che la segnarono profondamente e la fecero assumere tra le donne più emancipate e moderne della sua epoca.

Basti pensare che dopo essere diventata fotografa freelance per Vogue, scelse di lavorare dagli inizi degli anni Quaranta come corrispondente accreditata per l’esercito americano, compiendo reportage di guerra senza censure. Fu lei infatti l’unica donna fotografa a documentare la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e di Buchenwald da parte degli alleati, testimoniando la tragica visione che le si presentava in quei luoghi: corpi accatastati e orrore ovunque.

È proprio di quel periodo il suo scatto più celebre, divenuto iconico dopo la sua pubblicazione nel 1945: nei giorni della liberazione, il 179° Reggimento, 45° Divisione dell’esercito americano aveva scoperto uno degli appartamenti di Hitler a Monaco di Baviera, in un grande edificio nel centro cittadino in Prinzregentenstrasse 16. Lee, insieme al fotografo David E. Scherman, ebbe occasione di entrarvi per prima: tutto era in perfetto ordine, con raffinati cristalli, porcellane e argenti su cui erano incise le iniziali A.H. accompagnate dalla croce nazista. Subito i due si precipitarono nel bagno: anche qui era tutto pulito e ben ordinato. Appena vide che c’era una vasca, Lee sentì la necessità di lavare via lo sporco di Dachau, così la riempì di acqua calda e vi si immerse, affidando lo scatto al collega. Ma prima si slacciò gli scarponi sporchi del fango di Dachau e li lasciò sul tappetino, bianchissimo come gli asciugamani, posto davanti alla vasca, che così da immacolato si sporcò di macchie nere; accanto lasciò su uno sgabello l’uniforme e sopra l’orologio. Sul bordo della vasca, appoggiato al muro, sistemò un quadretto con il ritratto del dittatore e infine su un tavolinetto di fronte al lavandino posizionò una statua che raffigurava una Venere al bagno. Nacque in queste circostanze la sua famosissima fotografia che la ritrae nella vasca da bagno del Führer: un’inquadratura curata nei minimi dettagli e simmetrie. Lee al centro, a sinistra Hitler, a destra la statuetta antica della Venere; la donna solleva il gomito per imitare la posa di quest’ultima. Poi fu il turno di Scherman e anche lui si fece ritrarre dalla fotografa in quella vasca. L’idea di ritrarsi in quel luogo e in quella posa era stata di Lee Miller e anche la Rolleiflex con la quale era stata scattata la foto era sua: David Scherman non aveva fatto altro che premere il tasto.

Lee Miller, Self portrait with headband, New York, USA, 1932. © Lee Miller Archives
Lee Miller, Self portrait with headband, New York, USA, 1932. © Lee Miller Archives


Lee Miller con David E. Scherman, Lee Miller in Hitler's bathtub, Hitler's apartment, Monaco di Baviera, Germania, 1945. © Lee Miller Archives
Lee Miller con David E. Scherman, Lee Miller in Hitler’s bathtub, Hitler’s apartment, Monaco di Baviera, Germania, 1945. © Lee Miller Archives


Lee Miller, Fire Masks, Londra, Regno Unito, 1941. © Lee Miller Archives
Lee Miller, Fire Masks, Londra, Regno Unito, 1941. © Lee Miller Archives

In effetti la sua era una mente brillante, alla continua ricerca di nuove esperienze, nuove sperimentazioni, per poter creare e osare in qualsiasi campo, in linea con il movimento surrealista a cui era molto vicina grazie al suo maestro, Man Ray (Filadelfia, 1890 – Parigi, 1976). Fascinosa e bellissima, preferiva sempre tuttavia dimostrare ciò che era in grado di fare e di ideare come artista autonoma piuttosto che apparire. Il suo egocentrismo e la sua testardaggine la portavano a non accettare mai compromessi, anche se le persone a lei vicine avrebbero fatto di tutto per lei e per questo soffrivano. Non si confidava mai veramente con nessuno, aveva una personalità molto complessa e non era affatto semplice starle accanto, ma nonostante tutto attirava fortemente le persone, le quali subivano tutto il suo fascino. Separava i suoi diversi affetti e le sue diverse vite in compartimenti stagni e questo faceva di lei una donna dalla personalità complessa, ma seppur con i suoi difetti e i suoi eccessi era impossibile non amarla.

Sentimentalmente si sentiva libera di seguire il suo cuore e la sua passione: si legò a Man Ray, tra gli artisti più poliedrici e più significativi di quell’epoca, nonché più importante fotografo surrealista. Lee diventò prima sua assistente, poi sua musa ispiratrice e amante. Grazie a lui conobbe tutta la cerchia degli artisti surrealisti e diventò amica di Pablo Picasso, Jean Cocteau, Joan Miró e della straordinaria coppia di pittori surrealisti Leonora Carrington e Max Ernst. Molte delle sue fotografie surrealiste (molte delle quali sono state di recente esposte in una grande mostra al Museum für Gestaltung di Zurigo tenutasi da ottobre 2020 a gennaio 2021), come Nude bent forward o Tanja Ramm under a bell jar, sono state attribuite ingiustamente a Man Ray, tanto il suo stile si era avvicinato a quello del suo maestro, ma in realtà i suoi scatti erano frutto della sua mente e della sua maturità creativa: a lui si ispirava ma cercava di dare vita autonomamente alle sue composizioni e ai suoi ritratti. Oltre al duraturo legame con Man Ray, si sposò due volte: la prima con il ricco uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey, la seconda con il fotografo surrealista Roland Penrose, insieme a cui viaggiò attraverso l’Europa.

Lee Miller, Nude bent forward (forse Noma Rathner), Parigi, Francia, 1930 © Lee Miller Archives
Lee Miller, Nude bent forward (forse Noma Rathner), Parigi, Francia, 1930 © Lee Miller Archives


Lee Miller, Floating head, Mary Taylor, New York, USA, 1933. © Lee Miller Archives
Lee Miller, Floating head, Mary Taylor, New York, USA, 1933. © Lee Miller Archives


Lee Miller, The Lead evening dress, London, 1941. © Lee Miller Archives
Lee Miller, The Lead evening dress, Londra, Regno Unito, 1941. © Lee Miller Archives

Nata a Poughkeepsie nello Stato di New York, Lee Miller posava già da bambina dietro l’obiettivo di suo padre, fotografo dilettante, e cominciò a lavorare come modella fin da giovane, dall’età di diciannove anni, affacciandosi così al mondo della moda. Per la rivista Vogue posò per alcuni dei più significativi fotografi del tempo, quali Edward Steichen, George Hoyningen-Huene o Arnold Genthe. La moda la accompagnò infatti per molto tempo nella sua esistenza, prima come modella e poi come fotografa di moda per grandi riviste. Nel 1929, decisa a passare dall’altra parte dell’obiettivo, si trasferì a Parigi, dove ebbe modo di conoscere Man Ray e di cominciare a lavorare per lui, dando il via, come già detto, al loro lungo sodalizio. Tre anni dopo decise di fare ritorno a New York per aprire uno studio fotografico tutto suo che però, nonostante avesse molto successo, chiuse dopo due anni per trasferirsi al Cairo con il ricco uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey che aveva appena sposato. In Egitto rimase affascinata dai lunghi viaggi nel deserto, durante i quali si mise a fotografare villaggi e rovine di quei paesaggi. Nel 1937, in occasione di un viaggio a Parigi, conobbe il surrealista Roland Penrose e per lui lasciò il suo primo marito. Prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, nel 1939 Lee si trasferì dall’Egitto a Londra con Penrose e, senza tener conto degli ordini dell’ambasciata americana per via che tornasse in patria, cominciò a lavorare per Vogue come fotografa freelance. Stanca del mondo patinato della moda, decise nel 1944 di diventare corrispondente accreditata per l’esercito americano per realizzare reportage di guerra insieme al fotografo delle riviste Time e Life David E. Scherman.

Seguì gli alleati durante il D-Day, seguì le truppe al fronte e documentò con i suoi scatti l’assedio di Saint-Malo, la liberazione di Parigi, le guerre in Lussemburgo e in Alsazia, ma soprattutto ebbe modo di testimoniare la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e di Buchenwald e di andare come prima fotoreporter insieme al collega David Scherman nell’appartamento di Hitler a Monaco di Baviera, dove realizzò la già citata foto nella vasca del Führer. Dopo la guerra, che le provocò traumi psicologici per quanti orrori aveva visto al fronte e nei campi di concentramento, continuò a lavorare per altri due anni per Vogue, ma tornò al mondo della moda e delle celebrità. Iniziò da qui a ritirarsi lentamente dalle scene artistiche: nel 1947 sposò Roland Penrose e contribuì alle biografie scritte da quest’ultimo su Pablo Picasso, Joan Miró, Man Ray e Antoni Tàpies. Si reinventò successivamente come chef: gli ultimi di vita lavorativa li trascorse a organizzare eventi di cucina e a scrivere ricette molto originali. Scomparve a Chiddingly, nell’East Sussex, nel 1977, all’età di settant’anni. E la sua vita e i suoi scatti rimarranno eternamente nella grande storia della fotografia.


Se ti è piaciuto questo articolo abbonati a Finestre sull'Arte.
al prezzo di 12,00 euro all'anno avrai accesso illimitato agli articoli pubblicati sul sito di Finestre sull'Arte e ci aiuterai a crescere e a mantenere la nostra informazione libera e indipendente.
ABBONATI A
FINESTRE SULL'ARTE

Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, sono co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. Sono nata a Carrara nel 1987 e mi sono laureata a Pisa. Sono responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.

Leggi il profilo completo



La tragedia dell'Olocausto in tre opere di Voltolino Fontani
La tragedia dell'Olocausto in tre opere di Voltolino Fontani
La storia di Otto Freundlich, l'artista “degenerato” che sognava una sola razza e morì nel campo di concentramento di Majdanek
La storia di Otto Freundlich, l'artista “degenerato” che sognava una sola razza e morì nel campo di concentramento di Majdanek
Charlotte Salomon: l'ebrea che si rifugiò nell'arte
Charlotte Salomon: l'ebrea che si rifugiò nell'arte
“Entartete Kunst”: la mostra nazista che condannava l’“arte degenerata”
“Entartete Kunst”: la mostra nazista che condannava l’“arte degenerata”
Samuel Bak, l'artista dell'infanzia perduta nell'Olocausto. E il museo a lui dedicato
Samuel Bak, l'artista dell'infanzia perduta nell'Olocausto. E il museo a lui dedicato
23 agosto 1944, l'eccidio del Padule di Fucecchio: a Cerreto Guidi un museo per non dimenticare
23 agosto 1944, l'eccidio del Padule di Fucecchio: a Cerreto Guidi un museo per non dimenticare


Commenta l'articolo che hai appena letto



Commenta come:      
Spunta questa casella se vuoi essere avvisato via mail di nuovi commenti





Torna indietro



MAGAZINE
primo numero
NUMERO 1

SFOGLIA ONLINE

MAR-APR-MAG 2019
secondo numero
NUMERO 2

SFOGLIA ONLINE

GIU-LUG-AGO 2019
terzo numero
NUMERO 3

SFOGLIA ONLINE

SET-OTT-NOV 2019
quarto numero
NUMERO 4

SFOGLIA ONLINE

DIC-GEN-FEB 2019/2020
Finestre sull'Arte