23 agosto 1944, l'eccidio del Padule di Fucecchio: a Cerreto Guidi un museo per non dimenticare


Il 23 agosto del 1944 si consumò una delle più orrende stragi della storia d'Italia, l'eccidio del Padule di Fucecchio. Per serbarne la memoria è nato il MuMeLoc, il Museo della Memoria Locale di Cerreto Guidi.

Erano le sei del mattino. L’area del Padule di Fucecchio, la vasta palude che occupa il cuore della Toscana tra Empoli e Pontedera e che lambisce la città di Fucecchio, si stava svegliando lentamente. I suoi abitanti cominciavano a prepararsi per affrontare un’altra dura giornata come tante, o meglio troppe, in quel periodo triste e tragico della Seconda Guerra Mondiale. Chi era sfollato da casa propria perché la sua abitazione si trovava vicino a zone colpite a cannonate dagli americani, chi andava a raccogliere il sarello, un’erba palustre che intrecciata veniva impiegata per la realizzazione di manufatti d’uso domestico (come ceste, stuoie, damigiane, sedie), chi andava a lavorare per i campi e chi si era fermato in quest’area, la più estesa palude interna dell’intero territorio italiano, perché non poteva attraversare il fronte e qui aveva frutta a sufficienza grazie ai contadini che non portavano niente al mercato. Chi andava a dare da mangiare al bestiame o a chi si era rifugiato nel Padule perché creduta una zona sicura, un’area impervia che, secondo i padulani, i nazisti, ostacolati dalle paludi, non avrebbero mai potuto raggiungere e colpire.

Quella mattina del 23 agosto 1944 venne perpetrata una delle stragi più terribili non solo del territorio dell’Empolese Valdelsa, ma di tutta l’Italia: i nazisti, grazie ad alcune spie, vennero a sapere che tanti abitanti di quella zona si erano nascosti proprio tra i canneti del Padule e, certi di andare a colpo sicuro, compirono un tremendo massacro. Fu un sanguinario e tragico rastrellamento che spezzò le vite di numerosi civili innocenti. Centosettantaquattro le vittime di quell’eccidio premeditato: tra queste, sessantadue donne, venticinque persone di età superiore ai sessant’anni, sedici adolescenti al di sotto dei diciotto anni, dieci bambini di età inferiore ai dieci anni e otto minori di due anni. Un massacro attuato contro uomini, donne e persino bambini allo scopo principale di mettere a segno un duro colpo nella guerra antipartigiana, una reazione contro coloro che si schieravano dalla parte opposta all’ideologia nazifascista. Oltre agli atti sanguinari era stata messa in campo la pratica del terrore: in altri termini, i nazifascisti volevano far capire alla popolazione che chiunque poteva essere colpito. E questo al fine di bloccare ogni pensiero ribelle antifascista e di facilitare anche deportazioni di migliaia di persone che sarebbero state successivamente impiegate nella costruzione della Linea Gotica, necessaria linea difensiva realizzata con la costruzione di fortificazioni sui crinali dell’Appennino tosco-emiliano onde impedire agli alleati anglo-americani di raggiungere la Pianura Padana.

La strage venne quindi eseguita nei confronti della popolazione civile, e non contro le formazioni partigiane, poiché la prima era considerata inerme, incapace di difendersi e perciò più facile da eliminare. Tutto ciò attraverso un piano ben premeditato dagli alti comandi e messo in atto spietatamente dagli appositi reparti di guerra. Decisamente falsa la motivazione, addotta nei processi, per giustificare l’uccisione di tanti bambini: questi ultimi sarebbero stati colpevoli di aver aiutato i partigiani, portando loro rifornimenti... impossibile se si pensa che molte delle vittime non raggiungeva i due o i quattro anni di età, o addirittura i cinque o diciassette mesi. Una ferocia senza pari, una spaventosa brutalità che non risparmiò nessuno. A Castelmartini, il borgo, frazione di Larciano, che fu uno dei principali teatri dell’orrenda mattanza, ci fu chi pianse la propria moglie, chi i figli, chi il padre o la madre, chi il nonno o i nipoti, ma tutta la comunità rimase coinvolta e profondamente segnata, anche perché le vittime provenivano da diversi borghi della palude e degli immediati dintorni: da Cintolese, Stabbia, Massarella, Querce, Ponte Buggianese. Furono cinque in tutto i comuni interessati, i comuni che contarono vittime. Molti dei responsabili della strage rimasero impuniti, perché non si poterono rintracciare, altri ancora subirono condanne lievi, come nel caso del generale della ventiseiesima divisione corazzata che operò nel Padule, Eduard Crasemann, che se la cavò con dieci anni di reclusione (ma morì in carcere in Germania nel 1950), o come avvenne per il capitano Joseph Strauch, cui venne comminata una condanna di sei anni. Altri quattro responsabili, il capitano Ernst Pistor, il maresciallo Fritz Jauss (individuato come il comandante della squadra che compì il massacro), il sergente Johann Robert Riss e il tenente Gerhard Deissmann, andarono a processo solo negli anni Duemila a Roma, e nel 2011 tutti tranne Deissmann, deceduto nel frattempo, furono condannati all’ergastolo.

Per tenere vivo il ricordo di questo terribile episodio della storia italiana, a Cerreto Guidi è stato aperto, nel 2011, il Museo della Memoria Locale (MuMeLoc), allo stesso tempo museo etnografico e museo storico. Le storie dei contadini della piana di Fucecchio e dintorni s’intrecciano con quelle dell’eccidio, in un percorso dove pareti, soffitti e pavimenti portano i visitatori nel mezzo delle paludi, tra i canneti, ai bordi delle distese d’acqua, in mezzo alle radure, tra il fruscio del vento che agita le fronde e il gracidare delle rane. Una quotidianità fatta di giornate in mezzo alla palude per pescare tinche e anguille, di donne che siedono ai bordi dei casolari intrecciando vimini per produrre fiasche e ceste, di contadini che escono per andare a lavorare la terra tornando solo la sera per scrivere o recitare, davanti agli amici, poesie e filastrocche in endecasillabi, secondo una tradizione tipica di queste zone. Una quotidianità brutalmente interrotta la mattina di quel 23 agosto.

Il Padule di Fucecchio. Ph. Credit Alberto Rescigno
Il Padule di Fucecchio. Ph. Credit Alberto Rescigno


Il Padule di Fucecchio. Ph. Credit Gabriele Tartoni
Il Padule di Fucecchio. Ph. Credit Gabriele Tartoni


Il Padule di Fucecchio. Ph. Credit Iuri Lotti
Il Padule di Fucecchio. Ph. Credit Iuri Lotti


Il Padule di Fucecchio. Ph. Credit Cristina Monticelli
Il Padule di Fucecchio. Ph. Credit Cristina Monticelli


Fotogramma del film Padule, ricordo di una strage (Italia, 1986, B/N, 60'), interamente dedicato all'eccidio del Padule di Fucecchio
Fotogramma del film Padule, ricordo di una strage (Italia, 1986, B/N, 60’), interamente dedicato all’eccidio del Padule di Fucecchio


Casa Simoni, uno dei luoghi della strage: vi furono uccise ventitré persone. Ph. Credit Matteo Grasso - Istituto Storico della Resistenza di Pistoia
Casa Simoni, uno dei luoghi della strage: vi furono uccise ventitré persone. Ph. Credit Matteo Grasso - Istituto Storico della Resistenza di Pistoia

Il MuMeLoc ha dedicato una lunga sezione del proprio percorso espositivo all’eccidio del Padule, che in parte interessò anche Cerreto Guidi (vi si contarono tredici vittime). I visitatori possono soffermarsi di fronte ai video dei testimoni dell’accaduto, possono osservare le fotografie dell’epoca, possono leggere i documenti. Il percorso del museo ha il sapore d’un viaggio: uno di quei viaggi di breve durata, ma estremamente significativi. Il pubblico viene dunque accompagnato dentro il Padule di Fucecchio: obiettivo è quello di farlo entrare in confidenza con la storia del luogo (con particolare attenzione alla storia del Novecento: si familiarizza col contesto economico, con quello sociale, con le vicende politiche, dalla prima alla seconda guerra mondiale, con in mezzo l’ascesa e la caduta del fascismo), oltre che con le tradizioni locali, con le attività del territorio, con la natura che l’ambiente palustre ospita. Una parte del racconto è affidata a degli oggetti parlanti: oggetti veri, che appoggiati su di uno speciale tavolo fanno partire dei video dedicati, grazie a degli appositi sensori. Si scoprono così le origini delle nasse, le ceste a imbuto che venivano calate nell’acqua della palude per pescare (all’epoca venivano prodotte in vimini), le funzioni del cappellotto, il rivestimento della damigiana, e ancora un falcetto avvia il racconto d’una contadina che spiega come si lavorava la terra e come si faceva il raccolto agl’inizi del Novecento, oppure una scatola di vecchie fotografie e cartoline rievoca le memorie degli anziani del luogo.

Proseguendo, si arriva alla sezione dedicata all’eccidio del Padule di Fucecchio, che occupa l’area centrale del museo, e si sviluppa, per mezzo di pannelli mobili e video proiezioni, su due nuclei: il nucleo emotivo e il nucleo riflessivo. Il nucleo emotivo ci riporta al giorno della strage. Una proiezione video su nebbia ricrea l’atmosfera della palude, e come sottofondo il vociare dei cittadini, i suoni della natura, i rumori e le urla della mattanza. Non c’è racconto, nel nucleo emotivo: semplicemente, i visitatori rivivono in prima persona quel momento. Si giunge quindi al nucleo riflessivo, il momento della narrazione attraverso testimonianze, immagini, documenti: si parla di quello che successe il 23 agosto, delle cause che portarono alla strage, delle sue tragiche conseguenze.

Il MuMeLoc di Cerreto Guidi, percorso espositivo. Ph. Credit Finestre sull'Arte
Il MuMeLoc di Cerreto Guidi, percorso espositivo. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Il MuMeLoc di Cerreto Guidi, percorso espositivo. Ph. Credit Finestre sull'Arte
Il MuMeLoc di Cerreto Guidi, percorso espositivo. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Il MuMeLoc di Cerreto Guidi, percorso espositivo. Ph. Credit Finestre sull'Arte
Il MuMeLoc di Cerreto Guidi, percorso espositivo. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Il MuMeLoc di Cerreto Guidi, percorso espositivo. Ph. Credit Finestre sull'Arte
Il MuMeLoc di Cerreto Guidi, percorso espositivo. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Gli oggetti parlanti del MuMeLoc
Gli oggetti parlanti del MuMeLoc


Oggetti parlanti del MuMeLoc: la nassa
Oggetti parlanti del MuMeLoc: la nassa


Vecchie fotografie del Padule di Fucecchio
Vecchie fotografie del Padule di Fucecchio


MuMeLoc, la vista sulle campagne di Cerreto Guidi da una delle finestre del museo
MuMeLoc, la vista sulle campagne di Cerreto Guidi da una delle finestre del museo


23 agosto 1944, un giorno lungo 100 anni. Proiezione al MuMeLoc di Cerreto Guidi
23 agosto 1944, un giorno lungo 100 anni. Proiezione al MuMeLoc di Cerreto Guidi

E proprio le testimonianze sono uno dei beni più preziosi della comunità. Diverse sono state raccolte in un volume intitolato Fra la terra, l’aria e l’acqua, pubblicato nel 2004 e curato dal fotografo Massimo D’Amato e dallo storico Sandro Nannucci: una cospicua raccolta di memorie del Padule di Fucecchio, raccontate direttamente dagli abitanti del luogo. Il 23 agosto del 1944, Lando Moschini, un contadino di Ponte Buggianese, non aveva ancora compiuto trent’anni, e nell’eccidio perse la moglie Lia. “La mattina dopo [...] la prima persona che si trovò fu la mia cognata, che era in casa con la mia sorella, avevo due sorelle e la mia cognata era in casa con la mia sorella, avevo due sorelle e la mia cognata era in casa con una, mentre il mio babbo e la mia mamma erano in casa con quell’altra. Arrivo lì e questa sorella cominciò a dirmi che non era successo niente e che il mio babbo e la mia mamma erano dall’altra sorella, vado là, arrivo in casa e c’erano queste spose di qua [della casa accanto], ad un certo punto passano le bimbette che di solito venivano da noi a dare qualcosa alle bestie e a prendere la roba e gli chiesi dove era la Lia, e cioè mia moglie, e loro mi risposero che era rimasta ferita: in quel momento ebbi il presentimento che era morta. La mattina dopo la strage, io avevo trovato mia moglie ammazzata sull’argine, la mia suocera portò il carretto, si caricò e si portò qui dove avevano portato anche quelli del casino del Lillo e erano in piazza e si portarono qui. Il sindaco fece cercare delle casse, di quelle che usavano le donne per il corredo e si misero in queste casse, invece c’era un frate, frate Marini, lui li fece rinvolgere in un lenzuolo, scavare la buca e poi furono sepolti, anche uno sopra l’altro ma in maniera che dopo, quando arrivarono a levarli, non fu niente, prendevano questi lenzuoli e li mettevano nelle bare, invece lì nelle casse fu un disastro... comunque si riuscì a far fare delle casse con quattro tavole, la mattina si portarono in chiesa e poi la sera si portarono al cimitero con il camion che veniva a pigliare il grano”.

Rigoletta Pagni si era sposata da appena un anno, raccoglieva tabacchi: lei e suo marito sopravvissero alla strage, ma suo padre fu una delle vittime. “Il mio babbo era andato via, era lontano dalla casa ma sentiva tutto, perché era andato lungo la fabbrica [il seccatoio di tabacco] alla gronda del padule e sentiva urlare, era con Vasco Bartolini, il fratello della Dosolina, un’altra del seccatoio che si è salvata, ed erano insieme. E il mio babbo gli disse: «Senti com’urlano quelle donne, si va a vedere quel che gli fanno? Io son vecchio - aveva cinquantanove anni - te sei un ragazzo... » come dire, siamo tutti e due protetti dall’età, cosa possono farci? Lui, Vasco, aveva la mamma e la sorella che erano rimaste a casa e quindi poteva essere interessato a vedere cosa stesse succedendo. Ma questo ragazzo rispose al mio babbo: «No, no, Guido, io non vengo» e così vide tutto quello che successe, cioè il mio babbo nell’avvicinarsi alla casa venne visto e chiamato dai tedeschi che erano nel campo accanto e lui si accucciò e due tedeschi lo presero uno da una parte e uno da un’altra, lo portarono in un campo e fucilato e così si rimase io e la mia mamma da sole. Mi sono rimasti impressi quelli che non si facevano vedere... quelli li conoscevo... e loro si vede che non mi volevano... erano due... tedeschi non erano, non avevano neppure la divisa, erano in borghese e si paravano la faccia con una pezzola... quelli erano del paese. Tant’è vero quando hanno fucilato il mio babbo c’era uno insieme ai tedeschi che gli doveva insegnare la strada per andare verso il padule”.

Una delle testimonianze più toccanti è quella di Marina Bini, anche lei proveniente da una famiglia di contadini, in gran parte massacrata dai nazifascisti: nell’anno della strage era una bambina di soli dodici anni, e nell’eccidio perse la mamma, il nonno, la zia e due fratellini più piccoli, Aldo Pietro di dieci anni, e Giovanni Mario di sei. “E quella mattina avevo paura, ma la mia mamma mi ripeteva che non era nulla, tanto il babbo era andato via, ma ho visto bene la mia zia Maggina e la Norma e la sua figliola che avrà avuto quattro anni ammazzati proprio mentre uscivano dalla capanna con una di quelle pistole col manico di legno che sembrava un mitragliatore, e poco dopo mi sono sentita colpire, un proiettile mi ha colpito ad una gamba, all’altezza del bacino, ed è uscito dalla parte opposta ed ho cominciato a chiamare la mia mamma ma non mi ha risposto. Dopo i tedeschi sono andati via, sono andati dal Simoni e allora io ho preso il mio fratellino di undici mesi che era stato ferito anche lui. Lì fuori c’era il mio fratello di dieci anni proprio davanti alla capanna, era sortito fuori ed era stato ammazzato proprio lì, io invece non ero uscita, ed il mio fratellino di sei anni appoggiato seduto alla capanna, morto anche lui. Allora mi sono messa a guardare per terra se c’era qualcuno vivo, stava bruciando anche la capanna dove s’era messa la biancheria e il vestiario presi in casa, un po’ più in là c’era una mia cugina ferita, il mio fratellino di undici mesi aveva un buco in una coscia”.

Superstiti dell'eccidio del Padule di Fucecchio
Superstiti dell’eccidio del Padule di Fucecchio


Monumento con l'elenco delle vittime dell'eccidio del Padule di Fucecchio. Ph. Credit Alessandro Pagni
Monumento con l’elenco delle vittime dell’eccidio del Padule di Fucecchio. Ph. Credit Alessandro Pagni


Larciano, Lo Stupore di Gino Terreni, il monumento alle vittime dell'eccidio del Padule di Fucecchio. Ph. Credit Matteo Grasso - Istituto Storico della Resistenza di Pistoia
Larciano, Lo Stupore di Gino Terreni, il monumento alle vittime dell’eccidio del Padule di Fucecchio. Ph. Credit Matteo Grasso - Istituto Storico della Resistenza di Pistoia

Testimonianze, dunque, come oggetti e beni: tanto che il MuMeLoc non espone alcun oggetto, ma solo documenti e memorie. Questi particolari “oggetti” che non si toccano, ma si sentono, si vedono e si leggono, continuano ad accompagnare i visitatori per tutto il prosieguo del percorso, che seguita con le sale dedicate agli sviluppi recenti del Padule di Fucecchio (la sezione s’intitola Storie in corso) e, per finire, con le “tracce personali”: ogni visitatore può infatti lasciare traccia di sé su di un’apposita parete approntata allo scopo, che si pone l’obiettivo di mantenere dinamico il museo anche attraverso il coinvolgimento diretto di chi lo visita. E il MuMeLoc è ben consapevole che il discorso che vuole intraprendere non ha una valenza esclusivamente locale. “All’interno del museo”, si legge in una presentazione, “non si conservano oggetti e cimeli, ma si espongono storie, voci, immagini, utilizzando le tecnologie multimediali per evocare i segni lasciati dal passato nelle forme del paesaggio toscano e nella memoria dei suoi abitanti. Una storia e una memoria locali ma non localistiche, radicate sì in un territorio specifico, ma sempre considerate paradigmatiche di una storia più ampia, e collegate alla storia generale, nazionale e internazionale”.

E se un museo, in qualità di deposito della conoscenza, dà forma a idee sociali, custodisce la memoria, rimarca i valori di una comunità e promuove la coesione sociale, come ha argomentato il grande studioso Ivan Karp in un suo fondamentale saggio di museologia (Museum and Communities, del 1992, curato assieme a Christine Mullen Kreamer e Steven Lavine), si può sicuramente dire che il MuMeLoc di Cerreto Guidi assolva in maniera egregia a questa missione. E lo fa con un percorso vivo e coinvolgente, per rendere pienamente partecipi i visitatori. Affinché il passato e la memoria possano indicare la strada verso un futuro migliore.

Per chi voglia approfondire la storia dell’eccidio del Padule di Fucecchio, consigliamo una visita al MuMeLoc che può partire dal sito web del museo, www.mumeloc.it. Per documentarsi esiste anche un sito totalmente dedicato alla strage e realizzato dall’Istituto Storico per la Resistenza di Pistoia, raggiungibile all’indirizzo www.eccidiopadulefucecchio.it: contiene la storia nei dettagli, immagini dei luoghi e di tutti i monumenti alla memoria, gli elenchi delle vittime e dei responsabili, una lunga e accurata bibliografia, e molto altro. Inoltre, all’eccidio del Padule è dedicato un film, Padule, ricordo di una strage , del 1986, diretto da Gabriele Cecconi e Averardo Brizzi, girato in bianco e nero e basato sui documenti storici e sulle testimonianze dei presenti. Lo si può vedere interamente su Vimeo.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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