Che senso ha spostare due capolavori di Antonello da Messina per un vertice internazionale?


A fine maggio si terrà il G7 a Taormina e per l'occasione si vuole inviare nella città siciliana due opere di Antonello da Messina: un'idea del tutto illogica.

Siamo alle solite. Secondo scelte come sempre imposte senza un serio a approfondito dialogo con gli addetti ai lavori e le comunità locali, due capolavori di Antonello da Messina, l’Annunciata di Palazzo Abatellis e il cosiddetto Ritratto d’ignoto marinaio del Museo Mandralisca, si apprestano a lasciare le loro sedi per recarsi a Taormina. Il motivo? Non una mostra di alto spessore scientifico, bensì un vertice internazionale, il G7 che avrà luogo nella città siciliana il 26 e il 27 maggio. Le testate locali dànno già notizia di movimenti per preparare l’accoglienza che sarà riservata alle due opere: si parla di tecnici che sarebbero al lavoro a Palazzo Corvaja, sede deputata a ricevere i lavori di Antonello provenienti da Palermo e da Cefalù. Pare saranno esposti già a partire dal 15 maggio.

Ci troviamo di fronte all’ennesimo uso strumentale della storia dell’arte. Perché non esiste alcuna ragione logica che possa giustificare lo spostamento a Taormina di due opere uniche come quelle di Antonello: tanto peggio se si pensa che il presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, nel presentare l’improvvida idea ha detto, riferendosi al Ritratto d’ignoto marinaio, che il dipinto "è la nostra Gioconda e dobbiamo cercare di valorizzarlo“ e che ”se lo avessero preso i francesi ed esposto a Parigi, adesso si parlerebbe di quest’opera in tutto il mondo". Argomentazioni da bar, ridicolamente esterofile, ingenue fin quasi all’inverosimile e del tutto incuranti del fatto che due capolavori del Quattrocento non sono in alcun modo equiparabili a testimonial di una réclame turistica. Non si comprende, peraltro, come possa un’opera in trasferta valorizzare il territorio da cui proviene: un visitatore che vede il ritratto a Taormina avrà un motivo in meno per andare a Cefalù, e le città da cui le opere arrivano vengono depauperate (anzi: possiamo dire con certa sicurezza che i due lavori di Antonello che si vuol spedire a Taormina sono le due opere più rappresentative dei rispettivi musei) perdendo attrattive agli occhi di chi le voglia visitare e, guardando anche semplicisticamente il lato pratico, causando notevole scontento in chi magari aveva prenotato un viaggio a Palermo o Cefalù nelle date del G7 e dovrà visitare Palazzo Abatellis o il Museo Mandralisca senza Antonello. Sono le solite, trite considerazioni che solo gli amministratori locali dimostrano di non aver ancora compreso. Perché non è assolutamente vero che un territorio si promuove spedendo in giro le sue opere d’arte a guisa di ambasciatori, e che il prestatore, da tale attività, ottiene imperitura gloria (peraltro, a quanto mi risulta, neppure esistono studî a sostegno di tale balzana teoria). È semmai vero il contrario: è la sede ospitante a trarre prestigio dall’eccezionalità del prestito.

Antonello da Messina, Annunciata e Ritratto d'ignoto marinaio
Le due opere di Antonello da Messina che si vorrebbe inviare a Taormina. A sinistra: l’Annunciata (1476 circa; olio su tavola, 45 x 34,5 cm; Palermo, Palazzo Abatellis, Galleria Regionale). A destra: il Ritratto d’ignoto marinaio (1465 circa; olio su teavola, 31 x 24,5 cm; Cefalù, Museo Mandralisca)

Ma al di la di ciò, esistono ragioni ben più importanti che avrebbero dovuto portare qualunque amministratore veramente attaccato alla propria terra a evitare anche solo di prendere in considerazione l’idea di una trasferta tanto futile. Intanto, stiamo parlando di opere che hanno più di cinquecento anni di storia: si tratta di oggetti delicati, ragion per la quale ogni loro spostamento, anche minimo, comporta dei gravi rischi oltre a un carico di lavoro supplementare per tecnici già oberati, che dovranno controllare lo status delle opere prima e dopo il trasferimento, controllare che lo spostamento si verifichi nelle più stringenti misure di sicurezza, assicurarsi che la sede ospitante presenti le condizioni adatte per la conservazione e, nel caso di problemi al rientro, risarcire in modo opportuno gli eventuali danni che si saranno andati a creare, il tutto con inutili aggravi di spesa. Tutte operazioni che si sarebbero potute tranquillamente evitare se a qualcuno non fosse balenato in mente che un vertice internazionale abbisogni di due opere di Antonello da Messina per conoscere l’esistenza della città di Cefalù, o per dotarsi di feticci atti a simboleggiare l’estro della Sicilia. E che l’opera possa non uscire indenne dallo spostamento non è ipotesi remota: lungo è l’elenco delle opere che, negli ultimi anni, hanno subito danneggiamenti in occasioni di viaggi ed esposizioni.

C’è poi una ragione simbolica non secondaria: un’opera d’arte, se ridotta al ruolo di fenomeno da baraccone che debba far da contorno a un summit di rilevanza mondiale, subisce un totale svuotamento del proprio significato. È un discorso che, su queste pagine, abbiamo affrontato svariate volte, ma val comunque la pena riflettere sul fatto che un’opera d’arte, parafrasando Longhi, è un testo figurativo, ovvero un’immagine che racchiude una storia, che proviene da un preciso contesto storico e sociale, che testimonia una particolare temperie culturale, che sta in rapporto col mondo che la circonda, e compito della storia dell’arte dovrebbe essere quello di ricreare tale rapporto. Una qualunque operazione che prescinda da tali presupposti non ha niente a che vedere con la storia dell’arte: è puro e semplice esibizionismo, tanto peggio se a volersi mettere in mostra sono istituzioni pubbliche che utilizzano la storia dell’arte come vacuo fondale per le location in cui hanno sede gli eventi.

Bene ha fatto dunque la comunità di Siracusa, che si è fermamente opposta al prestito del Seppellimento di santa Lucia del Caravaggio scongiurando l’eventualità che l’opera partisse alla volta di Taormina: il fatto che l’idea iniziale fosse quella di riunire Antonello da Messina e Caravaggio dovrebbe di per sé essere sufficientemente eloquente circa la totale assenza di idee da parte di chi pensa che il patrimonio artistico sia una sorta di filone aurifero da sfruttare a piacimento ogni qual volta l’occasione lo richieda. Tuttavia ciò non è bastato a ricondurre a più miti consigli gli amministratori regionali, che hanno semplicemente rivolto le loro mire verso altre opere. C’è solo da domandarsi quanto altro tempo servirà per far capire, a chi vorrebbe spostare tavole ogni quarto d’ora, che la storia dell’arte è una materia seria. Ci vediamo, dunque, al prossimo summit?


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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