Outsider Art. Origini, sviluppo e tendenze tra il Novecento e i giorni nostri


Dall’Art Brut all’Outsider Art, le opere di artisti fuori dal coro oggi considerate da uno specifico sistema dell’arte.

Con la definizione Outsider Art ci si riferisce alla produzione artistica spontanea di talenti innati ma estranei al mondo della formazione artistica e dell’arte convenzionale, le cui opere sono ritenute di interesse e qualità. Il termine inglese fu coniato dallo storico dell’arte britannico Roger Cardinal nel 1972, come equivalente inglese per il termine francese Art Brut introdotto nel 1945 dall’artista Jean Dubuffet (Le Havre, 1901 – Parigi, 1985). Dubuffet si interessò e collezionò molteplici espressioni originali di autodidatti, psicotici, prigionieri, medium ed eccentrici, persone completamente digiune di cultura artistica, socialmente e culturalmente lontane da una volontà di auto-affermazione come artisti. Dubuffet e Cardinal si occuparono principalmente di artiste e artisti europei estremamente emarginati, fino a quando la ricerca da loro seminata prese piede poi negli Stati Uniti, dove l’Outsider Art si è affermata come un fenomeno che riunisce una vasta gamma di arte marginale.

Nel tempo la definizione internazionale si è allargata e include anche l’arte di individui che sono perfettamente in grado di gestire la loro vita sociale ma che indietreggiano, consapevolmente o inconsapevolmente, dal sistema ufficiale. Artisti di ogni età e provenienza. Già Dubuffet a metà Novecento aveva riconosciuto nel lavoro di questi personaggi divergenti un tratto unificante: una qualità grezza della loro espressione artistica, non influenzata dalle regole accademiche o dalle tendenze ufficiali. Secondo Cardinal, l’ambito dell’Outsider Art si basa sull’idea che il fare arte sia un’attività umana diffusa a tutti i livelli e che il ruolo che ha l’opera di un artista outsider c’entra con la natura comunque anticonvenzionale dell’arte stessa, con la distanza dalle norme artistiche e dall’esperienza comune, oltre che naturalmente con l’emozione estetica che suscita.

“Outsider Art” si è rivelato un termine più flessibile e neutro rispetto alla nozione storica di Art Brut, e ha consentito la formazione comunque di un vero e proprio sistema dell’arte parallelo, che ha i suoi musei, le sue gallerie, i suoi collezionisti, le sue riviste, le sue aste e le sue fiere. In una prospettiva globalizzata dall’Europa agli Stati Uniti, dall’America Latina all’Asia, oggi si contano nel mondo più di ottanta istituzioni museali dedicate.

Adolf Wölfli, Irren-Anstalt Band-Hain (1910; matite colorate su carta, 99,7 x 72 cm; Losanna, Collection de l'Art Brut)
Adolf Wölfli, Irren-Anstalt Band-Hain (1910; matite colorate su carta, 99,7 x 72 cm; Losanna, Collection de l’Art Brut)
Adolf Wölfli, Couronne d’épines de Rosalie en forme de coeur (1922; matite colorate su carta, 50,5 x 67 cm; Losanna, Collection de l'Art Brut)
Adolf Wölfli, Couronne d’épines de Rosalie en forme de coeur (1922; matite colorate su carta, 50,5 x 67 cm; Losanna, Collection de l’Art Brut)
Guillaume Pujolle, La Normandie (2 agosto 1939; acquerello e inchiostro su carta, 39 x 50,5 cm; Losanna, Collection de l'Art Brut)
Guillaume Pujolle, La Normandie (2 agosto 1939; acquerello e inchiostro su carta, 39 x 50,5 cm; Losanna, Collection de l’Art Brut)
August Walla, Götter (1986; acrilico su tela, 260 x 532 cm; Losanna, Collection de l'Art Brut)
August Walla, Götter (1986; acrilico su tela, 260 x 532 cm; Losanna, Collection de l’Art Brut)

Origini e sviluppo della Outsider Art

La classificazione dell’arte marginale ha avuto origine nell’Ottocento dalle attività mediche condotte in ospedali psichiatrici europei. Le prime opere raccolte, prodotte da pazienti psichiatrici, erano state organizzate e interpretate ai fini della ricerca e dell’analisi scientifica come potenziali indizi di determinati disturbi e malattie. Agli inizi del Novecento se ne interessarono, oltre agli psichiatri, anche gli artisti che ritennero di trovare ispirazione in questi campioni artistici; infatti l’indagine iniziale che compì Jean Dubuffet nelle istituzioni psichiatriche ha alle spalle gli studi condotti da due medici, Walter Morgenthaler e Hans Prinzhorn che negli anni Venti per primi avevano riconosciuto un valore estetico nel lavoro di alcuni ricoverati.

Nel 1921 lo svizzero Morghenthaler pubblicò la prima monografia dedicata interamente al lavoro creativo di un malato mentale, Adolf Wölfli (Bowil, 1864 – Berna, 1930), che sotto cura si era dedicato da un certo momento in poi della sua vita al disegno. Nel 1922 il tedesco Prinzhorn presentò a Heidelberg le opere di numerosi altri ricoverati in varie istituzioni europee (conservate in una grande collezione che poi oggi è ospitata presso l’Università di Heidelberg) e diede alle stampe La produzione artistica dei malati mentali dandone una valutazione artistica che va oltre l’interesse psichiatrico. Il volume sarebbe stato di grande ispirazione per i surrealisti e per Dubuffet.

Nel 1945 Dubuffet partì per un viaggio in Svizzera, in compagnia di Le Corbusier e dello scrittore Jean Paulhan, alla ricerca dei “primitivi del XX secolo”, compiendo una ricognizione tra ospedali psichiatrici ma anche in prigioni e girando nelle campagne, per scoprire storie e opere di creativi eccentrici, emarginati o isolati. Nel 1947, insieme agli artisti André Breton e Slavko Kopač, il critico Michel Tapié e lo stesso Paulhan tra gli altri, riunì a Parigi la Compagnie de l’Art Brut, continuando a collezionare centinaia di lavori realizzati da personalità sconosciute. Dubuffet riteneva che questa sua ricerca di Art Brut, intesa come "arte grezza", fosse d’ispirazione per l’esercizio artistico, in quanto prodotta come espressione emotiva più pura, sincera e autentica di quella degli artisti accademici influenzati dalla cultura tradizionale.

Il profilo dell’artista Brut vive e produce in totale autonomia rispetto al mondo e al conformismo sociale, questo significa che non produce arte perché venga riconosciuta tale, ma produce per urgenza creativa o necessità, come unico apparente destinatario delle proprie opere. La Compagnie servì per l’organizzazione di ulteriori ricerche e attività curatoriali, prima dello scioglimento nel 1951 dovuto a un dissidio tra Dubuffet e il surrealista Breton. Dal 1949, anno in cui si tenne alla Galerie René Drouin di Parigi la prima mostra di Art Brut, al 1971, quando Dubuffet donò la sua intera collezione alla Città di Losanna in Svizzera, si erano raccolti 133 profili di autori e relative opere. Ad oggi La Collection de l’Art Brut, inaugurata poi nel 1976, conta oltre 1.000 creatori e 70.000 opere.

Nel frattempo, nel 1962 la Compagnie era stata riformata con più di cento membri e nel 1967 si era tenuta un’altra grande mostra al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Parallelamente negli anni Sessanta, le attività dello psichiatra Leo Navratil nella clinica psichiatrica Maria Gugging alla periferia di Vienna, contribuivano a costituire quello che oggi è un centro culturale unico al mondo, l’importante Art Brut Center Gugging. Del 1979 poi la mostra capitale Outsiders: An Art Without Precedent or Tradition curata da Roger Cardinal e Victor Musgrave alla Hayward Gallery di Londra, che costituì la spinta fino a quel momento più ampia verso questo tipo di produzione artistica. Le oltre 400 opere esposte in quella occasione, di artisti francesi, svizzeri, tedeschi e austriaci, americani e inglesi, hanno costituito il nucleo di partenza di una delle collezioni pubbliche più significative nel Regno Unito, The Musgrave Kinley Outsider Art Collection oggi alla Whitworth Art Gallery di Manchester. Dagli anni Ottanta infatti si manifestò diffuso interesse anche da parte di musei pubblici oltre che di collezionisti privati. Da allora sono nate riviste e gallerie specializzate nonché manifestazioni dedicate, come l’Outsider Art Fair che si tiene dal 1993 a New York e a Parigi. Nel complesso, con la diffusione internazionale degli ultimi anni l’arte Outsider è stata quasi del tutto affiancata a quella degli artisti di professione.

Francesco Toris, Il Nuovo Mondo (1898-1900; ossa di animali; Torino, Museo di Antropologia ed Etnografia)
Francesco Toris, Il Nuovo Mondo (1898-1900; ossa di animali; Torino, Museo di Antropologia ed Etnografia)
Ferdinand Cheval, Palais Idéal (1879-1912; Hauterives)
Ferdinand Cheval, Palais Idéal (1879-1912; Hauterives). Foto: Benoît Prieur
Simon Rodia, Watts Tower (1921-1954; materiale vario, altezza 30 metri; Los Angeles, Watts)
Simon Rodia, Watts Tower (1921-1954; materiale vario, altezza 30 metri; Los Angeles, Watts). Foto: Wikimedia/wattsfloca
Filippo Bentivegna, Castello Incantato
Filippo Bentivegna, Castello Incantato (Sciacca)

Stili e tendenze

L’arte Outsider non è un movimento con cui gli artisti si identificano, ma piuttosto una appartenenza assegnata, anche postuma, a significativi creatori autodidatti. La varietà dei linguaggi e delle tecniche, dal disegno e la pittura, alla scultura e le costruzioni di “ambienti visionari”, è sorprendente e rispecchia la singolarità di ogni creatore, che per esprimersi ricorre a mezzi e materiali non sempre canonici, con imprevedibili esiti compositivi. Per esempio, uno degli autori storici sostenuto da Dubuffet, Guillaume Pujolle, utilizzava per i suoi acquerelli i liquidi medicinali sottratti all’ambulatorio dell’ospedale in cui era ricoverato. E più diffusamente gli artisti documentati utilizzavano qualsiasi oggetto e materiale disponibile, inclusi i più impensabili, e con strumenti di fortuna poiché per lo più creavano dall’interno delle istituzioni in cui erano rinchiusi o in situazioni di isolamento ed emarginazione, con ciò a cui avevano accesso.

Tuttavia, anche al di fuori delle istituzioni e senza restrizioni, gli artisti Art Brut / Outsider tendono a utilizzare prodotti e supporti, attrezzi e modalità inconsueti. Dubuffet scriveva che questi autori “traggono tutto (argomenti, scelta dei materiali, tecnica, ritmo, modi di scrittura…) dal loro profondo e non da stereotipi dell’arte classica o dell’arte di moda”, condividendo tuttavia alcune tendenze in comune verso certi temi e motivi. Ad esempio, la ripetizione ossessiva di alcuni soggetti scelti, l’interesse per i ritratti e i propri autoritratti o gli animali, nonché l’inclinazione al decorativismo e all’accumulo e al riempimento di ogni spazio dato; o ancora la combinazione di scrittura e immagine e una certa schiettezza disinibita di certi contenuti. Caratteri frequenti ma ovviamente non esclusivi. Come anche il disinteresse per l’autorialità (spesso non firmando le opere), la produzione prolifica e compulsiva o l’esperienza creativa maturata in età adulta.

Dal punto di vista grafico-pittorico, una caratteristica diffusa è la definizione di un mondo personale di simboli, colori e forme che ogni autore è in grado di immaginare. Adolf Wölfli, che ha prodotto migliaia di opere da una piccola cella nel suo manicomio svizzero, iniziò presto a lavorare alla sua storia di vita illustrata in ben 25.000 pagine: una narrazione densamente illustrata con intricati disegni di forme geometriche, mappe fittizie, ritratti, palazzi, chiese, re, regine, animali e piante parlanti, e che incorpora anche testo e notazioni musicali e collage.

A partire da Wölfli, sono innumerevoli gli autori outsider che inseriscono nell’immagine il proprio alfabeto, nomi o elenchi apparentemente incongrui, tracce enigmatiche di racconto o note musicali. Tra i numerosissimi altri, August Walla (Klosterneburg, 1936 – Vienna, 2001), che componeva parole e immagini in scenari figurativi con dei, demoni e profeti alternati a nomi, vocaboli stranieri e termini inventati. Walla era paziente dell’ospedale di Gugging, dove come si è detto lo psichiatra Navratil stimolava i pazienti al lavoro artistico.

Altro caso esemplare è quello di Carlo Zinelli (San Giovanni Lupatoto, 1916 – Chievo, 1974), un ex alpino psichicamente labile che sviluppò un proprio personalissimo linguaggio di elementi grafici e sagome di figure e animali stilizzati di profilo, il primo creatore italiano a entrare nella Collection de l’Art Brut e uno degli autori oggi più riconosciuti. Come per la pittura e il disegno, ottenuti per esempio con colori tratti da erbe e con altre ‘soluzioni’ su cartoni di recupero, fogli casuali o ritagli di riviste, anche per la scultura, in molte forme e stili, prevale l’uso di oggetti trovati o materiali ‘poveri’, assemblati con abilità e fantasia. Dalla pietra al legno, dal sughero alla mollica di pane, dai ritagli di lamiera alla terracotta al cemento.

In Italia sfugge alle classificazioni la figura di Antonio Ligabue, per lungo tempo considerato un artista “naïf” e poi ancora un outsider, un artista brut: la sua arte, tuttavia, è estranea al contesto culturale dell’Art Brut teorizzata da Dubuffet, anche perché Ligabue era un artista consapevole dei propri mezzi, con qualche conoscenza di storia dell’arte, e dotato di un’originalità e una forza espressiva che spesso non si riscontrano negli outsider, tanto che oggi si tende a inserirlo nel solco della pittura espressionista.

Tra le altre opere storiche, Il Nuovo Mondo (1898 - 1900) di Francesco Toris (Ivrea, 1863 – Collegno, 1918), un traliccio ottenuto dall’incastro di centinaia di ossa animali levigate e cesellate che l’artista si era procurato dalla cucina del centro in cui era internato. Nel caso di numerosi autori in tutto il mondo, inoltre, si riscontra l’intuizione di costruire, attraverso una lenta strutturazione, ambienti architettonici irregolari su larga scala. Si scoprono a ogni latitudine spazi, edifici e giardini pieni di stranezze, opere maestose create in solitudine e da impulsi creativi puri e autentici. Tra gli esempi, a Hauterives in Francia il Palais Idéal (1879 - 1912) del postino Ferdinand Cheval (Charmes-sur-l’Herbasse, 1836 – Hauterives, 1924), architetto autodidatta che per ben trentatré anni lavorò all’edificazione di questo suo ambiente ideale, un labirinto costituito di pietre che trovava lungo il suo percorso. O le torri-sculture costruite a mano da Simon Rodia (Serino, 1879 – Martinez, 1965), Watts Tower (1921-1954), immigrato italiano che nel quartiere di Watts a Los Angeles ha costruito sempre lungo trent’anni diciassette strutture di altezza diversa con barre di acciaio ricoperte di vario materiale decorativo di recupero, quale porcellana, conchiglie, pezzi di bottiglie e altro.

Esemplari italiani tra i più noti il Castello Incantato di Filippo Bentivegna (Sciacca, 1888 – 1967) a Sciacca, costellazione eccentrica di teste umane scolpite sulla roccia, rami e tronchi di alberi, e il Santuario della Pazienza a San Cesario di Lecce di Ezechiele Leandro (Lequile, 1905 – San Cesario di Lecce, 1981), installazione imponente di figure e totem in cemento incrostato di cocci, vetri, ferro e molteplici scarti. Opere tutte che si comprendono considerando le fondamentali e condizionanti storie personali degli artisti.


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