Penone, Sagaria e Bolin donano agli Uffizi i loro autoritratti fotografici


Giuseppe Penone, Ilaria Sagaria e Liu Bolin hanno donato alle Gallerie degli Uffizi i loro autoritratti fotografici, portando quindi nella collezione degli autoritratti del museo fiorentino tre diverse tendenze dell’arte contemponea. 

Si arricchisce la collezione degli autoritratti delle Gallerie degli Uffizi: Giuseppe Penone, Ilaria Sagaria e Liu Bolin, tre degli artisti contemporanei più influenti al mondo, hanno infatti donato al museo fiorentino i loro autoritratti fotografici, portando quindi tre diverse tendenze dell’arte contemponea. Mentre l’opera di Ilaria Sagaria, una fotografia vera e propria, manipola e distorce l’immagine dell’autrice, quelle di Giuseppe Penone e di Liu Bolin immortalano performance artistiche che, nel primo caso, indugiano sulla relazione tra uomo e natura e, nel secondo, esplorano il concetto di individualità. Le donazioni andranno ad arricchire la vastissima collezione inaugurata da Leopoldo de’ Medici, che ha recentemente trovato spazio nelle nuove sale degli Uffizi.

Rovesciare i propri occhi di Giuseppe Penone è un viaggio introspettivo praticato dall’esterno, che separa l’autore dal proprio io e lo connette, al tempo stesso, con la sua sensibilità di poeta: attraverso un paio di lenti specchianti, l’artista tenta di restituire all’osservatore ciò che i suoi occhi assorbono dall’ambiente esterno, compreso il fotografo che lo sta documentando. Le lenti, però, lo rendono cieco, recidendo così il canale tra mente e pupilla, tra uomo e natura: eliminandosi dall’azione visiva, Penone si auto-riconduce a puro corpo, impedendo alla mente di rielaborare ciò che i suoi occhi hanno percepito e trasmettendo dunque una visione inalterata, grezza, pura. Nello stesso tempo, è l’artista che guida e controlla l’intero processo: è lui che decide quando e dove indossare le lenti, come muoversi, gli scatti da selezionare. In questo senso, Penone si cala nel ruolo di veggente: astraendosi momentaneamente dalla realtà, ma tenendone comunque le redini, Penone riesce a penetrare in una dimensione più profonda, non presente, ma passata e futura. Privandosi volontariamente della vista, Penone raggiunge la purezza sensoriale e si trasforma in medium tra il mondo e l’osservatore. Le lenti diventano una fonte di immagini primordiali, prive di qualsiasi interferenza, che l’autore trasmette come un oracolo.

Anche Ilaria Sagaria sceglie di non mostrare i propri occhi. In Dismorfofobia, la fotografa appare distopicamente distorta: il collo è allungato, lo sguardo risucchiato da una modificazione grafica che inghiotte la parte centrale del viso. L’accentuato bianco e nero e la granulosità invasiva della grafica accentuano il tentativo di distorcere la propria immagine; il volto che ne risulta è contraffatto, destabilizzante, e annacqua il confine già offuscato tra reale e digitale. In ambito psichiatrico, la dismorfofobia è un disturbo ossessivo-compulsivo che ingigantisce la percezione di alcuni tratti del proprio corpo, spesso lievi o inesistenti, generando ansia e disagio. In un’era in cui ogni fotografia viene modellata, manipolata e modificata per risultare più accattivante, Ilaria Sagaria indaga il rapporto con la propria immagine, e dunque, con la propria identità. Dismorfofobia nasce dalla necessità di evidenziare gli effetti che la percezione distorta della propria immagine può generare: l’uso incontrollato di filtri per eliminare ogni difetto ci allontana dalla nostra realtà, dalla verità di noi stessi. Il rischio è quello di essere trascinati nel vortice che ha inglobato gli occhi della protagonista dell’autoscatto, di non riconoscersi al punto tale da non volersi più guardare.

Liu Bolin cancella invece totalmente la propria percezione visiva: attraverso una sintesi di pittura, fotografia e performance, le sue opere sfidano la percezione visiva stessa, confondendo la mente dell’osservatore. Dopo essersi mimetizzato con lo sfondo circostante con un meticoloso processo di body painting totale, Liu Bolin, restando immobile come una scultura vivente, si fa fotografare in luoghi iconici, emblematici e persino disturbanti, dissolvendosi nell’opera stessa e dando insieme corpo al significato dell’ambiente raffigurato. Per il progetto Hiding in Florence, Liu Bolin ha rinunciato alla sua identità per abbracciare quella di un visitatore qualsiasi, scegliendo di scomparire nella Sala della Niobe, di confondersi tra le sculture della Sala di Venere nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti e di diventare parte della Sala Bianca. Nel tentativo di identificarsi con il pubblico, ha inevitabilmente trovato una linea diretta che lo riunisse ai grandi maestri del Cinquecento.

“Nel 2021, gli Uffizi hanno dedicato a Giuseppe Penone una mostra che ripercorreva i temi centrali dell’opera dell’artista”, ha commentato il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt. "In concomitanza con la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, gli scatti fotografici di Ilaria Sagaria dal ciclo Il dolore non è un privilegio sono stati messi a confronto con il busto di Costanza Bonarelli del Bernini, anch’essa vittima di violenza da parte dello scultore suo amante. In linea con la tradizione delle Gallerie degli Uffizi, ho chiesto a entrambi gli artisti di donare un loro autoritratto. Sono lieto che al loro gesto generoso si sia unito quello di Liu Bolin, che, giunto a Firenze per la prima volta nell’autunno del 2022, e sopraffatto dalla loro bellezza e ricchezza i nostri musei, ha deciso di realizzare ben tre diversi autoritratti. Penone, Sagaria e Bolin vanno ora ad aggiungersi al nucleo di autori viventi della nostra prestigiosa collezione di autoritratti che, dal XVII secolo, continua, mese dopo mese, a crescere".

“Nel mese di luglio del 2021 delle mie opere sono entrate in alcune sale degli Uffizi e per alcuni mesi hanno dialogato con i capolavori presenti”, ha dichiarato Giuseppe Penone. “È stata un’appartenenza temporanea che è continuata nel tempo solo nella mia mente. Ho colto con grande piacere l’opportunità di dare, ad una mia opera, la possibilità di essere presente nella collezione degli autoritratti del museo. È una fotografia del 1970 che documenta il mio volto mentre indosso delle lenti a contatto specchianti che accecano il mio sguardo e riflettono cosa dovrei vedere, separando il mio corpo dal mondo delle immagini che mi circondano e che nutrono la mia immaginazione”.

“Questo lavoro nasce da una personale necessità di porre l’attenzione sugli effetti che una percezione distorta della propria immagine corporea può causare”, ha affermato Ilaria Sagaria. “Ma la mia è una riflessione che non cerca gli effetti negativi negli strumenti in sé o almeno non in tutti: il mondo digitale e persino i social network possono rappresentare una preziosa risorsa se utilizzati con un atteggiamento positivo e critico, ma per far sì che ciò avvenga è necessario non ignorare le preoccupazioni e le ansie di una generazione estremamente fragile e soprattutto riconoscere le responsabilità e il ruolo che si hanno in questo preoccupante scenario”.

"Lavorare al progetto Hiding in Florence“, ha aggiunto infine Liu Bolion, ”è stata un’esperienza unica che mi ha permesso di vivere tutta la potenza e la forza dell’arte rinascimentale. A Firenze, la cultura e l’arte sono rimaste preziose ed essenziali per secoli. Questo progetto ha rappresentato una grande opportunità soprattutto per entrare in contatto con grandi artisti del passato come Giorgio Vasari, Antonio Canova, Pieter Paul Rubens e altri maestri che hanno reso Firenze una delle città più affascinanti del mondo".

Penone, Sagaria e Bolin donano agli Uffizi i loro autoritratti fotografici
Penone, Sagaria e Bolin donano agli Uffizi i loro autoritratti fotografici


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