Servizio Pubblico agli Uffizi: ecco cosa avrebbe voluto (ma non ha potuto) dire Antonio Natali


In questo articolo una riflessione sul reportage sugli Uffizi di Servizio Pubblico, e quello che Antonio Natali avrebbe voluto dire, benché non abbia potuto farlo.

Seppur in ritardo di quasi due settimane, sono riuscito a dare un’occhiata al reportage di Andrea Casadio sugli Uffizi che Servizio Pubblico, la trasmissione di La7, ha mandato in onda la sera del primo maggio. Chi non lo avesse ancora guardato, sappia che può impiegare gli undici minuti della durata del servizio in qualche attività più utile.

Mi domando se quello che è andato in onda su Servizio Pubblico possa definirsi giornalismo o, tanto più, giornalismo a servizio del pubblico. Il sito del giornale Il Fatto Quotidiano, sul quale è possibile vedere l’intero servizio, lo presenta come una “inchiesta”. Il punto è che si tratta di una “inchiesta” di cui si poteva fare anche a meno, perché appare sbagliata sia nei modi che nei contenuti.

Nei contenuti, perché non aggiunge niente di nuovo a quello che già si sapeva. Il che non sarebbe di per sé sbagliato, per l’assunto in base al quale repetita iuvant, e non ci si dovrebbe mai stancare di far percepire al pubblico quali sono i problemi che riguardano il museo più visitato d’Italia. Tuttavia, il modo in cui è stato costruito e montato il servizio (cambi repentini di inquadratura, musiche di sottofondo incalzanti e drammatizzanti, volti censurati, telecamere che sembrano nascoste) è quello tipico di un certo tipo di giornalismo di inchiesta scomodo (o che vorrebbe esserlo), che mira a far emergere aspetti inquietanti della politica, dell’economia, della società spesso noti a poche persone.

La realtà presentata dal servizio è una realtà invece tutt’altro che nascosta e nota a pochi. È risaputo che, specie nei giorni di festa, agli Uffizi si fanno ore di coda per entrare. È risaputo che in certe sale, specie quelle che contengono i capolavori più “pubblicizzati”, mi si passi il termine, si formino a volte degli affollamenti. Per chi frequenta gli Uffizi non una volta nella vita, ma un po’ più spesso, è normale vedere un gruppo di cinquanta crocieristi che si soffermano di fronte alla Venere di Botticelli o alla Annunciazione di Leonardo. Ed è ovvio che l’affollamento sia un problema e anche piuttosto grosso, ma è un problema noto e non ha senso presentarlo quasi fosse una verità scomoda. Più senso avrebbe discutere di soluzioni, più che di problemi: tant’è vero che nel prosieguo della trasmissione non si è più fatto cenno agli Uffizi, almeno in tal senso.

Ma non è finita: disservizi momentanei vengono presentati quasi fossero problemi strutturali. È l’esempio della temperatura degli ambienti: anche qui, chi si reca agli Uffizi con una certa frequenza sa che la climatizzazione è sempre tenuta sotto controllo. Poi è ovvio che se una persona va agli Uffizi una volta nella vita e trova che in una sala faccia caldo, quella persona finisca col pensare che non si tratti di un problema momentaneo, ma di una carenza strutturale e permanente. Vogliamo sperare quindi che Andrea Casadio abbia visitato gli Uffizi più spesso. La parte più divertente è quella durante la quale il giornalista compie la stima delle persone presenti nelle sale tirando numeri a caso. “Ci saranno un centinaio di persone in questa sala”. “La sala del Botticelli è stracolma, ci saranno trecento persone”. “Ci sono duecentocinquanta persone che ansimano”. Ma il giornalismo non si dovrebbe basare su dati precisi?

Invece, la parte più antipatica è quella in cui Casadio intervista Cristina Acidini (soprintendente del Polo Museale Fiorentino) e Antonio Natali (direttore del museo). Ah, a proposito: non meno antipatico è l’intervento di un uomo, dal volto censurato, che afferma “se l’opera si danneggia poi comunque la restaurano e ci sono sempre dei soldi che circolano”. Veramente, non pensavo che lo scopo degli storici dell’arte (e dei musei) fosse quello di danneggiare le opere per poi restaurarle e far circolare denaro. Ma comunque, sorvoliamo. L’intervista a Natali, in particolare, è stata condotta in un modo che con il giornalismo credo abbia ben poco a che vedere. Casadio ha aspettato Natali sulle scale e ha cominciato a incalzarlo con domande retoriche, chiedendogli, per esempio, se fosse preoccupato per le condizioni del museo e se è vero che il presidente di Civita (ovvero il gruppo che controlla Opera Laboratori Fiorentini, società che a sua volta gestisce alcuni servizi del Polo Museale Fiorentino come la biglietteria) sia Gianni Letta. Questo sarebbe giornalismo? Domandare al direttore degli Uffizi se è vero che Gianni Letta è il presidente di Civita? Cosa peraltro non vera, perché Gianni Letta è presidente della Associazione Civita, ma non dell’intero gruppo: ovvio che i legami ci sono, ma che almeno siano esplicitati in modo preciso. Non sarebbe stato più utile e costruttivo domandare ad Antonio Natali se sono state escogitate misure per contenere l’affollamento? Oppure se è il caso di ampliare progetti come La città degli Uffizi (uno dei più interessanti progetti culturali degli ultimi anni) con lo scopo di decentrare il patrimonio del museo? O magari, se si vuole stare su un terreno più pratico, qual è la temperatura ideale per la conservazione delle opere e quale sarebbe la situazione ottimale per mantenerla? E come funziona il monitoraggio? E poi, diciamoci la verità: non si è fatto cenno alcuno alle sale nuove dove, almeno noi di Finestre sull’Arte, non abbiamo mai riscontrato alcun problema legato alla climatizzazione. Perché quindi non dire nella trasmissione che anche le sale vecchie saranno sottoposte a lavori di adeguamento? E quindi chiedere a Natali in che modo saranno trasformate? Ma, del resto, ci rendiamo conto che tali domande non possono essere fatte sulle scale mentre una persona esce dal lavoro: semplicemente, ci domandiamo se questo sia giornalismo.

È un vero peccato, perché Servizio Pubblico avrebbe avuto l’occasione per imbastire una bella trasmissione sui problemi dei beni culturali, invitando magari gli stessi Natali e Acidini (insieme ad altri direttori e soprintendenti, visto che nelle puntata non si è parlato solo di Uffizi) per un confronto serio e intelligente con il fine di discutere di soluzioni. È questa la mentalità che manca: quella in base alla quale si dovrebbe discutere di soluzioni e non di problemi! A Servizio Pubblico si è preferito invece giocare la carta del giornalismo “scomodo” (all’apparenza) senza però approfondire la questione: non è possibile parlare di beni culturali in modo così superficiale.

Tornando ad Antonio Natali, forse non tutti gli spettatori di Servizio Pubblico sanno che il direttore degli Uffizi è poi tornato sugli argomenti della trasmissione. Non però nella trasmissione stessa (come sarebbe stato auspicabile!) bensì all’interno di un programma andato in onda su una radio fiorentina (Controradio: qui il link completo dell’intervista). Riportiamo uno stralcio interessante: “Io cercavo di spiegargli [ad Andrea Casadio], ma spesso con i giornalisti è radicalmente e totalmente inutile, che quelle sale, tra poco più di un mese e mezzo o due, si chiudono proprio perché c’è da rifare il sistema di condizionamento. Così come cercavo di spiegargli che il sistema di condizionamento degli Uffizi, in questo momento è in grave disagio perché c’è la parte tutta nuova, e la parte vecchia: si sta cercando di far funzionare la parte vecchia, che fra poco verrà cambiata con le strumentazioni nuove, ma non sempre funziona. A questo lui era radicalmente disinteressato perché lui badava a dire che noi apriamo per Civita e per far fare soldi agli altri”. A volte, basterebbe saper ascoltare. Specie se quando si parla, è per fare domande di dubbia utilità, alle quali non possono che seguire risposte ovvie.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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