Esclusivo. Caso Discobolo: dalla Germania nessuna richiesta di restituzione


“La Glyptothek non ha richiesto la restituzione della scultura del Discobolo Lancellotti e non intende farlo”: così Florian Knauss, direttore della Glyptothek di Monaco di Baviera, risponde alla richiesta di Finestre sull’Arte attorno al caso della scultura comprata da Hitler e tornata in Italia dopo la guerra.

Molto rumore per nulla? Sul caso Discobolo Lancellotti non c’è nessuna richiesta di restituzione in arrivo dalla Germania. A confermarlo a Finestre sull’Arte è lo stesso direttore delle Staatlichen Antikensammlungen und Glyptothek di Monaco di Baviera, Florian Knauss. In risposta a una mail in cui la nostra redazione chiedeva un commento sulla vicenda, venuta alla luce a seguito di un articolo del Corriere della Sera, Knauss ha così scritto: “vorrei informarvi che la Glyptothek non ha richiesto la restituzione della scultura del Discobolo Lancellotti e non intende farlo”.

Come è nata dunque la notizia della richiesta di restituzione? Knauss ci fa sapere di non averne idea. Si può però ipotizzare l’equivoco. Nell’articolo del Corriere si legge che il direttore del Museo Nazionale Romano, Stéphane Verger, ha inviato al collega tedesco una richiesta di restituzione della base marmorea settecentesca del Discobolo, alla quale Knauss avrebbe risposto in maniera negativa, aggiungendo: “Non sono nella condizione di abbandonare la nostra rivendicazione legale di una restituzione del Discobolo al nostro museo”. In effetti, un conto è non abbandonare la rivendicazione di una restituzione. Ma questo non necessariamente comporta l’inoltro di una formale richiesta all’Italia. Dunque, è probabile che tutto si sia originato da un fraintendimento? Nel frattempo, a seguito delle parole del direttore Knauss, gli italiani possono tirare un sospiro di sollievo: non ci saranno richieste di restituzione per il Discobolo.

Il Discobolo Lancellotti venne ritrovato nel 1781 a Villa Palombara sull’Esquilino. Si tratta di una copia romana del II secolo d.C. dell’originale di Mirone del V secolo a.C., vincolata dal 1909, e oggi nelle raccolte del Museo Nazionale Romano. Il 9 giugno del 1938, il Discobolo arrivava alla Glyptothek di Monaco di Baviera come dono al popolo tedesco da parte di Adolf Hitler, cui l’opera era stata concessa per interessamento dell’allora ministro degli esteri Galeazzo Ciano, e malgrado il parere negativo dell’allora ministro dell’educazione nazionale (da cui dipendevano quelli che oggi chiamiamo i “beni culturali”), Giuseppe Bottai, e nonostante già un anno prima il Consiglio Nazionale dell’Educazione avesse ritenuto che un’eventuale esportazione avrebbe costituito una grave menomazione per il patrimonio italiano (“La statua Lancellotti”, si legge nella relazione del Consiglio del 12 luglio 1937, firmata da Carlo Anti, Amedeo Maiuri e Biagio Pace, “è monumento insostituibile per la conoscenza del Discobolo di Mirone e dell’arte di questo grande maestro, è […] monumento fra i più insigni dell’arte antica. […] Per tutte queste ragioni noi riteniamo che la eventuale esportazione […] costituirebbe un gravissimo detrimento per il patrimonio artistico nazionale”). La Germania pagò l’opera 5 milioni di lire (circa 4,5 milioni di euro attuali). Dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’Italia rivendicò la scultura, in quanto esportata illegalmente: il Discobolo poté così tornare in Italia il 16 novembre del 1948, come parte di un nucleo di 39 opere che i nazisti avevano portato in Germania.

Secondo l’Italia, si trattò di una vendita forzata, dal momento che i principi Lancellotti sarebbero stati costretti a vendere l’opera, per la quale la Germania nazista aveva espresso un forte interesse, nonostante i pareri contrari delle autorità all’epoca preposte alla tutela, e nonostante fosse vincolata (circostanza che quindi ne avrebbe vietato l’esportazione).

Nella foto: il Discobolo Lancellotti alla mostra sull’arte liberata alle Scuderie del Quirinale dello scorso anno. Foto: Alberto Novelli

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