Leonardo da Vinci a Livorno? Una mostra deludente, modesta e poco strutturata


Recensione della mostra “Leonardo da Vinci. Bellezza e invenzione”, a cura di Sara Taglialagamba (a Livorno, Museo della Città, dal 20 dicembre 2023 al 1° aprile 2024)

Inutile girarci attorno: a Livorno hanno un problema con le mostre. Dopo il pessimo show su Banksy dello scorso anno, una risibile parata di ventisei multipli dello street artist britannico che replicavano un format già visto e rivisto in lungo e in largo per tutta Italia, si sperava che il Museo della Città, forte anche d’una nuova direzione, dimenticasse quell’insensato esperimento e risalisse la china facendo quello che il principale museo d’una città importante deve fare: produrre mostre di qualità e di livello. Niente: le speranze sono state frustrate da un evento che punta ancora sul “grande nome”, stavolta quello di Leonardo da Vinci, per proporre però al pubblico una mostra raccogliticcia, che si regge su di un’impalcatura traballante, nonostante diversi buoni spunti che potevano essere meglio messi a frutto, magari con un lavoro più lento, più ponderato e meglio puntellato di quello che è stato fatto in vista di questa rassegna, incapace di trovare un filo conduttore che tenga assieme i suoi tanti pezzi.

Più che una mostra ben congegnata ed equilibrata, Leonardo da Vinci. Bellezza e invenzione (questo il titolo della rassegna visitabile fino al 1° aprile ai Bottini dell’Olio) sembra infatti un collage di tante mostre diverse e slegate tra loro: una prima introduzione sui rapporti tra Leonardo da Vinci e la costa livornese, che dovrebbe peraltro fungere da giustificativo dell’intera ‘operazione Leonardo a Livorno’, una parata di fogli del Codice Atlantico, una piccola raccolta di opere che dovrebbero testimoniare le suggestioni che Leonardo ha fornito ad artisti del Novecento e contemporanei, un nucleo di disegni e dipinti di leonardeschi, e infine le incisioni di Wenceslaus Hollar prestate dalla Fondazione Pedretti. Una congerie di materiale troppo eterogeneo per essere esposto in un percorso che abbia un’anima comune, e che sarebbe stato peraltro interessante per sviluppare piccoli focus tematici: lo dimostra il fatto che alle incisioni di Hollar è stata dedicata, nel 2019, una mostra a sé, che s’era tenuta nei locali della Fondazione Pedretti a Vinci e che si giovava di efficaci confronti con fogli autografi di Leonardo e altri artisti della sua cerchia.

E poi, è davvero utile organizzare l’ennesima mostra su Leonardo da Vinci a soli quattro anni di distanza dalle celebrazioni del 2019, quando in tutta Italia ci son state mostre su Leonardo, molte delle quali peraltro a breve distanza da Livorno e centrate sugli stessi argomenti? L’esempio è, giustappunto, quello della mostra di Vinci, ma si potrebbero ricordare la mostra degli Uffizi con i fogli del Codice Leicester, quella di Sansepolcro dedicata al tema del volo, quella di Montepulciano sul rapporto tra Leonardo e il territorio, e così via. Dopo una simile ubriacatura leonardesca, occorreva qualcosa di più e meglio strutturato, fosse anche un’intera mostra sull’eredità novecentesca di Leonardo: non avrebbe certo richiamato le folle (ma neppure Bellezza e invenzione pare lo stia facendo: con duemila visitatori nei primi dieci giorni, secondo i dati dichiarati dal sindaco, i numeri sono quasi dimezzati rispetto alla mostra su Banksy, che nello stesso periodo aveva attirato tremila persone), ma almeno avrebbe avuto un impianto più solido. Certo, quest’anno si viaggia su standard decisamente più alti rispetto a quelli della rassegna su Banksy, e la giovane curatrice Sara Taglialagamba ha svolto un impeccabile lavoro scientifico e anche un buon lavoro curatoriale per trovare un filo nella parte meglio organizzata della rassegna (quella con i fogli di Leonardo) e per trasmettere al pubblico il contenuto dei fogli nel miglior modo possibile (a chi lo desidera, peraltro, viene data la possibilità d’approfondire con dei QR code che consentono di scaricare le schede di catalogo relative ai fogli, un’idea interessante).

Allestimenti della mostra Leonardo da Vinci. Bellezza e invenzione
Allestimenti della mostra Leonardo da Vinci. Bellezza e invenzione. Foto: Metamorfosi
Allestimenti della mostra Leonardo da Vinci. Bellezza e invenzione
Allestimenti della mostra Leonardo da Vinci. Bellezza e invenzione
Allestimenti della mostra Leonardo da Vinci. Bellezza e invenzione
Allestimenti della mostra Leonardo da Vinci. Bellezza e invenzione. Foto: Metamorfosi

I contenuti della prima parte della mostra sono validi, ma siamo molto lontani dall’obiettivo, dichiarato in una nota del Comune, di “offrire l’occasione di immergersi nella mente dell’artista approfondendo il suo rapporto tra il disegno e la pittura”, un po’ perché mancano aree importanti della produzione grafica di Leonardo (per esempio non sono adeguatamente rappresentati gli studî sui fenomeni naturali: il visitatore troverà giusto un foglio con annotazioni sul volo degli uccelli, lo stesso Codice sul volo degli uccelli, e un foglio con alcune note sul movimento su un piano inclinato: il grosso del materiale è composto da studî bellici o ingegneristici), e un po’ perché in mostra non ci sono dipinti che possano aiutare il pubblico a comprendere questo rapporto. E non c’è neppure il foglio che dovrebbe essere stato il grande protagonista della rassegna, il numero 31645 dell’Istituto Centrale per la Grafica, presente a Livorno soltanto in facsimile (troppo delicato per la trasferta): per rendersi conto dell’assenza occorre però recarsi di persona a visitare la mostra e leggere la relativa didascalia, dal momento che nei comunicati l’informazione non è stata sottolineata. Il disegno è noto da tempo, ma in occasione di questa mostra ne è stata rintracciata la provenienza, grazie all’egregio lavoro di Massimo Signorini, che ha ricostruito i passaggi del foglio prima del suo ingresso nelle raccolte statali: dopo il 1915, il disegno venne ceduto dal pittore torinese Giuseppe Bocciarelli al collezionista livornese Ilo Giacomo Nunes, dopodiché, il 15 febbraio del 1921, il Ministero della Pubblica Istruzione notificò l’opera, e pochi anni dopo, verso il 1925-1926, Nunes offrì il disegno a Paul Joseph Sachs, direttore del Fogg Art Museum, che lo acquistò dopo che lo Stato concesse l’autorizzazione all’uscita dal territorio nazionale. Sachs, resosi conto dell’importanza del foglio, in uno slancio d’eccezionale generosità lo donò allo Stato italiano, a condizione che fosse sempre esposto con la dicitura “dono da parte del Fogg Art Museum dell’Università di Cambridge allo Stato italiano”. Poi, tra il 1937 e il 1938, la decisione del ministro Giuseppe Bottai di destinare il foglio all’Istituto Centrale per la Grafica. La mostra attribuisce a Nunes un ruolo importante nella salvaguardia dell’opera, dal momento che cedendola a Sachs la mise al riparo dalle espropriazioni fasciste dei beni delle famiglie ebraiche a seguito delle leggi razziali (la famiglia Nunes era di origine ebraica).

La mostra espone un piccolo nucleo di documenti (lettere, fotografie, articoli di giornale) a sostegno della ricostruzione: manca però il foglio, che s’apprezza solo attraverso una riproduzione. E parimenti riprodotta è l’evidenza più concreta del passaggio di Leonardo da Vinci sulla costa toscana, ovvero la mappa del foglio RL 12683r di Windsor, malgrado la mostra s’apra col racconto della visita dell’artista alle fortezze della Verruca e di Librafratta per studiare un’eventuale opera idraulica che deviasse il corso dell’Arno da Riglione, vicino Pisa, a Stagno, alle porte di Livorno. Il cuore dell’esposizione si limita a un gruppo di fogli del Codice Atlantico, raccolti attorno a un paio di progetti che attestano la presenza di Leonardo a Piombino, sebbene il materiale radunato al Museo della Città di Livorno sia in realtà piuttosto vario. Il percorso s’apre con tre fogli dedicati a studî per macchine da guerra (una balista, una catapulta, due disegni per bombarde) che introducono il tema di Leonardo progettista militare e conducono idealmente agli unici due fogli in mostra legati alla presenza dell’artista sul territorio. Il primo è il foglio 48v-a, con gli studî di fortificazioni per Piombino, dove Leonardo tratteggia un bastione a forma di stella proponendo varie soluzioni per la difesa della città: l’artista era stato incaricato dalla Repubblica di Firenze, nel 1504, di pensare a un progetto per la fortezza di Piombino per conto di Jacopo IV Appiani, signore della città costiera, alleata dei fiorentini. Il disegno mostra un Leonardo innovativo, aggiornato sulle teorie di Francesco di Giorgio Martini, sperimentatore anche nell’ambito delle opere d’ingegneria militare. S’incontra poi il foglio 48r-b, in cui s’osservano altri studî di fortificazioni, per le quali Leonardo immagina forme circolari ispirate, ancora, alle fortezze di Francesco di Giorgio Martini (nel foglio ci sono anche due piante di rocca quadrata con rivellini del tutto simili alla Rocca Sforzesca di Imola, dove Leonardo aveva lavorato come ingegnere militare). Lo stesso foglio è noto poi per la presenza, sul verso, di alcuni disegni osceni e soprattutto per il celeberrimo schizzo della bicicletta, sebbene in catalogo Sara Taglialagamba e Valentina Burgassi chiariscano che questa figura sia “da intendersi tassativamente una falsificazione moderna”, conclusione alla quale è giunta pressoché tutta la critica. Eppure ciò non ha impedito la curiosa esposizione d’una normalissima bicicletta da passeggio (con tanto di grosso lucchetto: chissà se l’organizzazione pensava che qualcuno potesse uscire dai corridoi del Museo della Città in sella al mezzo passando inosservato) proprio davanti al foglio del Codice Atlantico: ora, poiché alla vigilia della mostra l’assessore alla cultura fu colto da smanie competitive (“abbiamo quattro disegni in più della più imponente exhibition mai realizzata a Washington DC”!), sarebbe interessante sapere se anche nella capitale degli USA c’era una Graziella ad accompagnare i fogli di Leonardo da Vinci. Forse però da quelle parti non sono abbastanza “pop”, termine usato dal museo sui social per giustificare la presenza della bici, qualunque cosa vogliano dire.

Nel dubbio, si può proseguire nel percorso: esauriti i progetti del Leonardo ingegnere, la mostra dispiega una sequenza di fogli dedicata agli argomenti più diversi, dacché si passa dallo studio per il tiburio del Duomo di Milano al disegno di una pressa con calcoli numerici, da una figura di un poliedro allo studio per una macchina per la fabbricazione di corde per arrivare a un foglio con disegni di oggetti simili a bandiere lanciate in aria. Di qui, un corridoio che tratta in maniera sbrigativa il tema dell’eredità di Leonardo nel Novecento (ci sono alcune carte di Lucio Fontana di proprietà del Museo della Città di Livorno, mentre il resto della sezione sono alcune opere della collezione permanente, rimaste al loro posto, dunque lontane dalle sale della mostra, cui sono stati apposti cartigli per l’occasione: lo si scopre giusto andando a visitare la collezione permanente) conduce all’ambiente dov’è esposto il Codice sul volo degli uccelli, legato a una “sezione digitale” dove un video mostra il tentativo, da parte del Laboratorio di Robotica Percettiva della Sant’Anna di Pisa, di animare gli studî di Leonardo. Si torna indietro e si termina la visita con la sezione che raduna uno sparuto nucleo dipinti di leonardeschi (che di certo non brillano per qualità) e di disegni sempre realizzati dagli allievi, e con il capitolo conclusivo in cui vengono esposte le incisioni secentesche di Wenceslaus Hollar di cui s’è detto.

Leonardo da Vinci, Balista azionata da corde a torsione e quattro molle a balestra (1485 circa, iscrizioni aggiunte più tardi 1497-1500 oppure dopo il 1500; punta metallica, penna, inchiostro e tocchi di acquerello, 172 × 305 mm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 51v-b [145r])
Leonardo da Vinci, Balista azionata da corde a torsione e quattro molle a balestra (1485 circa, iscrizioni aggiunte più tardi 1497-1500 oppure dopo il 1500; punta metallica, penna, inchiostro e tocchi di acquerello, 172 × 305 mm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 51v-b [145r])
Leonardo da Vinci, Studi di fortificazioni per Piombino (1503-1504 circa; pietra nera ripassata a penna e inchiostro, 274 × 204 mm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 48v-a [134r])
Leonardo da Vinci, Studi di fortificazioni per Piombino (1503-1504 circa; pietra nera ripassata a penna e inchiostro, 274 × 204 mm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 48v-a [134r])
Leonardo da Vinci, Studi di fortificazioni (1502-1503 circa; penna e inchiostro, 221 × 300 mm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 48r-b [133r])
Leonardo da Vinci, Studi di fortificazioni (1502-1503 circa; penna e inchiostro, 221 × 300 mm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 48r-b [133r])
Leonardo da Vinci, Studio per il tiburio del Duomo di Milano con note e calcoli (1487-1490 circa; pietra nera ripassata a penna e inchiostro, 332 × 293 mm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 310r-a [850r])
Leonardo da Vinci, Studio per il tiburio del Duomo di Milano con note e calcoli (1487-1490 circa; pietra nera ripassata a penna e inchiostro, 332 × 293 mm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 310r-a [850r])
Leonardo da Vinci, Figura di poliedro semiregolare, archimedeo: icosidodecaedro (1498 circa?;, penna e inchiostro, tracce di puntinatura, 178 × 123 mm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 263r-b [707r])
Leonardo da Vinci, Figura di poliedro semiregolare, archimedeo: icosidodecaedro (1498 circa?;, penna e inchiostro, tracce di puntinatura, 178 × 123 mm; Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, f. 263r-b [707r])

Leonardo da Vinci. Bellezza e invenzione viene venduta al pubblico come una “grande mostra”, un “grande evento”, ma siamo ben lontani da qualsiasi segno di grandezza: alla fine, siamo semplicemente di fronte a un gruppo di fogli in trasferta dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano, dove la “grande mostra” di Livorno è, si potrebbe dire, un accadimento quotidiano, dal momento che la Sala Federiciana dell’Ambrosiana espone sempre, a rotazione, una selezione di fogli del Codice Atlantico. Tutti li possono vedere quando vogliono. Non è neppure un’evenienza così remota che piccoli gruppi di dieci-quindici disegni vengano concessi in prestito (l’ultima volta in Toscana era stata sempre nel 2019, quando dodici fogli vennero esposti a Firenze, nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio). Altro che grande mostra, insomma: come già lo scorso anno per Banksy, anche nel 2024 Livorno si limita ad accodarsi, a proporsi come l’ennesima città che ospita un nucleo di fogli del Codice Atlantico. E il materiale che accompagna i fogli dell’Ambrosiana è davvero insufficiente per mettere assieme non già una mostra imperdibile, che sarebbe stato chieder troppo, ma almeno una rassegna lineare, senza salti sconnessi tra una sezione e l’altra, senza un percorso con tante dissonanze.

Un vero peccato, perché l’incidente di percorso (Banksy) poteva anche esser contemplato: con una seconda mostra deludente, il rischio è quello di far perdere ulteriormente al Museo della Città di Livorno un orientamento che negli anni precedenti era stato uniforme, limpido, originale, prima con la mostra su Modigliani che, pur con tutti i suoi limiti, poteva comunque segnare l’avvio d’un percorso, poi con due mostre di qualità come quelle su Puccini e Grubicy che avevano delineato un ottimo indirizzo. Dopo, c’è stata l’involuzione, e perdere la consapevolezza d’una direzione significherebbe trasformare il Museo della Città di Livorno in un mero contenitore senza personalità, con l’aggravante che le ultime due mostre neppure spiccavano per originalità: il problema non è pensare a una mostra con l’idea di richiamare pubblico (ci sono realtà che riescono a contemplare benissimo la dimensione commerciale con l’originalità della proposta), ma è quello di caratterizzare in modo marcato l’offerta del museo, possibilmente con mostre di qualità, cosa che al Museo della Città di Livorno non sta riuscendo. La mostra di quest’anno, poi, è costata molto più di quella dedicata a Banksy: Leonardo da Vinci. Bellezza e invenzione è un’esposizione da più di 900mila euro. Per dare qualche termine di paragone con mostre recenti, di qualità, e che hanno ottenuto buoni riscontri di pubblico e critica a fronte di impegni economici paragonabili, la grande mostra sul Perugino alla Galleria Nazionale dell’Umbria è costata un milione e mezzo, quella sul Rinascimento a Vicenza della Basilica Palladiana un milione e 300mila, quella sui Fasti di Elisabetta Farnese a Piacenza appena 300mila euro. Chi ha visitato tutte queste mostre potrà fare i dovuti paragoni. Allora, ha senso organizzare una mostra da un milione di euro se il risultato è così sconfortante? Ha senso aver fatto passare per “grandi mostre” una misera parata di ventisei stampe di Banksy e un prestito di una quindicina di fogli del Codice Atlantico? Ha senso aver abbandonato una buona strada per cercare il successo di pubblico con eventi di qualità non proprio elevata? È vero che il pubblico tende a premiare le mostre che puntano sui nomi di richiamo, ma tende anche a essere sempre più accorto, ed è difficile convincerlo la terza volta se la prima gli si dice “grande mostra su Banksy” e gli si propone la versione ridotta di una mostra che aveva già girato ovunque, e la seconda gli si dice “grande mostra su Leonardo” e gli si offre poco più di quello che può vedere tutti i giorni all’Ambrosiana. Al Museo della Città di Livorno serve una decisa inversione di tendenza.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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