Senigallia perde un pezzo della sua storia con l'abbattimento della casa di Mario Giacomelli


Un pezzo di storia e di arte che se ne va: a dicembre è stata abbattuta, a Senigallia, la casa del fotografo Mario Giacomelli. Una vicenda che ha avuto risonanza solo locale ma che meriterebbe una riflessione più estesa.

Ha avuto un’eco solamente locale l’abbattimento della casa del grande fotografo Mario Giacomelli (Senigallia, 1925 - 2000) a Senigallia: eppure, da un mese esatto l’Italia non ha più il luogo dove uno dei suoi più illustri fotografi del secolo scorso sviluppò i suoi progetti, un luogo che lui stesso contribuì a creare, e la cui perdita è ancor più grave se si pensa che poco dopo la scomparsa di Giacomelli era già stata smantellata la storica tipografia di Via Mastai che vedeva nascere le sue opere. Nella casa di Via Verdi a Senigallia si trovava il laboratorio dove l’artista sviluppava le sue foto prima di affidarle allo stampatore Lucchetti, e inoltre in quella casa l’artista continuava a stampare i provini.

La villa di Giacomelli, risalente agli anni Settanta, era stata acquistata in estate da un privato. Da tempo era disabitata, anche se in città si parlava di farne un museo. Un museo che però non potrà mai più nascere. La villa non era tutelata, ed essendo proprietà privata non si è potuto fare niente per intervenire, dal momento che la scelta di demolirla è legittima: di conseguenza, adesso la città non può che rimpiangare un pezzo della sua storia che se ne va. Il coro di proteste è stato unanime, a partire dal gruppo FAI di Senigallia: “Nella città della fotografia”, hanno scritto in una nota, “abbiamo appreso con grande sconcerto e dolore che è stata abbattuta la casa di Mario Giacomelli. Azione sconsiderata, pari allo smantellamento della sua storica tipografia, subito dopo la sua morte. È urgente una legge regionale che favorisca la tutela e l’apertura al pubblico delle case e degli studi delle preminenti personalità del nostro territorio. Si potrà così far conoscere questo patrimonio, dove la cultura ha la forma di casa e i suoi illustri abitanti ci parlano ancora attraverso le stanze, le opere, gli effetti personali e di lavoro conservati. La perdita di questo luogo di memoria fa sì che il Gruppo Fai di Senigallia sostenga con ancora più vigore l’apertura di un museo dedicato a Mario Giacomelli, degno di ospitare le sue opere e tutte quelle già conservate nel Musinf”.

Il luogo di conservazione della memoria di Mario Giacomelli in città è proprio il Musinf - Museo di Arte Moderna, dell’Informazione e della Fotografia di Senigallia, che ha anche una propria associazione di sostenitori, gli Amici del Musinf, che hanno espresso a loro volta “profondo unanime sconcerto per le notizie dell’abbattimento della abitazione privata del maestro Mario Giacomelli e con esso dei luoghi di elaborazione e stampa delle sue opere”. L’associazione, nonostante si dichiari “consapevole della legittima autonomia di gestione della privata proprietà”, ha comunque fatto appello all’amministrazione comunale perché lavori per “comprendere se esistono modalità di conservazione almeno dei materiali relativi alla camera oscura del Maestro”.

Secondo la storica dell’arte Anna Pia Giansanti, “Con questo episodio scellerato la città di Senigallia ha dimostrato, ancora una volta, di non essere stata capace di rispettare la sua memoria storica e di valorizzare Mario Giacomelli come avrebbe meritato. Non è riuscita a salvaguardare un patrimonio artistico e culturale che non solo ha valore identitario per i senigalliesi ma avrebbe avuto un interesse di turismo culturale per chi senigalliese non è”.

L’assessore alla cultura Riccardo Pizzi ha dichiarato che “Trattandosi di un edificio privato non posso entrare nel merito delle scelte fatte ma una cosa è certa: fare memoria è importante. Ben venga quindi una legge, come suggerisce il Fai, a sostegno di luoghi simbolici”. Quanto al possibile museo dedicato a Giacomelli, Pizzi ha aggiunto che “Una parte di palazzo del Duca ospita già una mostra permanente di Mario Giacomelli, dove vengono esposte a rotazione le sue fotografie. Abbiamo inoltre riattivato il Musinf, presso la sede dell’ex ostello, ed è nostra intenzione, grazie anche al sostegno della Regione a Senigallia Città della fotografia, darne sempre maggiore risalto”.

Il ricordo più toccante è tuttavia quello di Simona Guerra, nipote dell’artista, che è intervenuta sull’argomento dal proprio profilo Facebook: “Oggi, con un peso al cuore, sono andata a salutare la casa di Mario Giacomelli. Un’enorme mostro con la faccia da drago cattivo la stava sventrando, sgretolando sotto ai miei occhi in un assordante fragore inumano. Ecco un colpo e la ruspa apre una parete della sala della tv, come fosse burro. In quella stanza ho passato tanti pomeriggi, assieme ai miei cugini Simone e Neris ed anche con lo zio. C’erano cinque poltrone e i gatti mi saltavano sulle ginocchia quando meno me lo aspettavo facendomi sobbalzare. Di nuovo la ruspa sbatte violenta contro una parete e vedo il soffitto della sala del camino creparsi. Nel mobile di quella sala la zia Anna ci teneva i dolci che mi offriva quando ero piccola. Aveva due ingressi e di una delle due porte ricordo il velluto che toccavo con il viso e con le mani. In quella stanza ricordo mio nonno Enrico che leggeva il giornale; ricordo le poltrone scomode ma belle dove giocava da piccola con mia sorella. Ricordo l’angolo dei liquori dove non dovevo andare e un dipinto grande con una faccia strana, che mi faceva paura, attaccata su in alto: da grande ho scoperto che era un’opera di Enrico Baj. Ho tanti ritratti fatti da Mario a mamma in quella stanza: bellissima e giovane. Ecco un altro colpo ed ora vedo parte della sua camera oscura, nella grande soffitta. Il colpo vibrato mi pare più forte degli altri. La scala per arrivare a quel piano, di ferro battuto, si contorce su sé stessa come i ferri che fotografava Mario. In quella soffitta ho riso, sognato, chiacchierato, scoperto autori, fotografie, parlato ore intere con Mario. Lì ho letto centinaia di lettere private, visto provini, annusato carta. Ho anche provato a fumare un sigaro un giorno; stavo per morire per la tosse, con Mario che rideva e diceva che ero solo una ragazzina curiosa che non sapeva stare al suo posto. Su un piano c’era una collezione di vecchie chiavi che amavo scomporre da piccola e poi rimettere in ordine. Quella casa l’aveva disegnata lui. Dal niente assoluto, lavorando come un somaro per anni, era riuscito a terminarla. Ricordo alcune lettere agli amici fotografi in cui scriveva quanto stesse tirando la cinghia per vederla pronta e dare un tetto sicuro alla sua famiglia. Ricordo tutto. Ricordo gli odori, più del resto, e ovviamente le immagini: primi piani, particolari; immagini talvolta color seppia, altre ruvide, in bianco e nero o sgranate, scomposte, mosse, sovrapposte. Infinite. Non mi pare possibile che tutto questo stia andando distrutto, che stia diventando davvero solo un ricordo passato, una fotografia che scatto ora con le mani insensibili al freddo; un fallimento del custodire, una decadenza, una mancanza. Con mio cugino Simone - ci siamo detti - non passeremo in quella via per molto, molto tempo a venire”.

Una vicenda dunque che si conclude con la perdita di un pezzo di storia e di arte della città, e che ha avuto una risonanza ristretta, ma che forse meriterebbe una riflessione più estesa per evitare che episodi simili possano nuovamente verificarsi.

Immagini: Anna Pia Giansanti/Simona Guerra

Senigallia perde un pezzo della sua storia con l'abbattimento della casa di Mario Giacomelli
Senigallia perde un pezzo della sua storia con l'abbattimento della casa di Mario Giacomelli


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