Novità caravaggesche: per la Giuditta romana e per quella di Tolosa


Una nuova datazione sulla Giuditta di Caravaggio conservata a Roma e alcune considerazioni su quella recentemente rinvenuta a Tolosa.

Un documento del 1602, riferito a un dipinto di Caravaggio (Milano, 1571 - Porto Ercole, 1610), ci informa del fatto che il grande pittore lombardo aveva ricevuto “dal Ill.re sr. Ottavio Costa a bon conto d’un quadro ch’io gli dipingo venti schudi di moneta questo dì 21 maggio 1602”. Non si è mai saputo con sicurezza quale fosse però il “quadro” citato nella nota, ma dal momento che un inventario del 1639 dei beni del banchiere genovese Ottavio Costa elenca, tra gli altri, un dipinto di Caravaggio raffigurante un san Giovanni Battista nel deserto, si pensava che oggetto del contratto fosse l’opera oggi conservata presso il Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City (appunto, il San Giovanni Battista). Contro questa ipotesi è arrivato però uno studio recente, proposto dal caravaggista Michele Cuppone, che trova riscontri in paralleli studi di Gianni Papi e Rossella Vodret e che ha già ricevuto il consenso di Nicola Spinosa e di Clovis Whitfield, e che è stato presentato nel corso di un convegno su Caravaggio (Caravaggio e i suoi) tenutosi il mese scorso a Monte Santa Maria Tiberina (gli atti saranno pubblicati l’anno prossimo). Secondo lo studio di Cuppone, il dipinto a cui si riferisce il documento sarebbe in realtà la Giuditta della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma.

Caravaggio, Giuditta e Oloferne
Caravaggio, Giuditta e Oloferne (1602?; olio su tela, 145 x 195 cm; Roma, Palazzo Barberini, Galleria Nazionale d’Arte Antica)

Come si è arrivati a tale conclusione? Un precedente studio dello stesso Cuppone aveva anticipato la datazione della celebre Natività di Caravaggio un tempo conservata presso l’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, quindi trafugata e oggi considerata perduta. Non più un quadro del 1609, come si credeva: troppe le differenze stilistiche rispetto ai dipinti del periodo siciliano per pensare che anche la Natività fosse stata dipinta negli ultimi anni della carriera di Michelangelo Merisi. Viceversa, lo studioso ha riscontrato analogie con i dipinti dei primi del Seicento, per esempio quelli realizzati per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma. Un paio di esempi, come la posa di san Lorenzo che somiglia a quello del giovane a capotavola nella Vocazione di san Matteo e quella del san Giuseppe che è identica a quella del soldato che compare nella volta della cappella, affrescata dal Cavalier d’Arpino, sembrano avallare l’ipotesi. Queste somiglianze, punto di partenza cui si sono aggiunte prove di carattere stilistico, diagnostico e soprattutto documentario, hanno indotto Cuppone a retrodatare la Natività di Palermo al 1600, ovvero al periodo in cui furono realizzati i dipinti per la Cappella Contarelli, che risalgono al 1599-1602.

Caravaggio, Natività
Caravaggio, Natività (1600?; olio su tela, 298 x 197 cm; già a Palermo, Oratorio di San Lorenzo. Quindi rubato e oggi ritenuto perduto)

Bene: se si osservano i volti della Vergine della Natività palermitana e della Giuditta di Palazzo Barberini, si può facilmente notare come la modella che ha posato per i dipinti sia la stessa. Tutti i connotati corrispondono: le spigolosità del naso, il taglio degli occhi, la forma della fronte. Addirittura la pettinatura è del tutto identica. Il punto, tuttavia, è che l’uso della luce, nella Giuditta romana, appare molto più sapiente rispetto a quello della Natività. I passaggi sono più graduali, la luce modella meglio le forme dei personaggi, gli effetti luministici che si intravedono su certi dettagli appaiono più studiati. Non bisogna poi dimenticare che la grande drammaticità della Giuditta non ha eguali nei dipinti che Caravaggio realizzò tra il 1599 (anno a cui la Giuditta veniva in precedenza riferita) e il 1602, anno in cui l’artista termina il ciclo della Cappella Contarelli dipingendo il San Matteo e l’angelo. Spostando quindi la datazione della Giuditta più avanti nel tempo, sembra ragionevole ipotizzare che il Giovanni Battista di Kansas City, dipinto più maturo, databile al 1604 circa (si pensava, sulla base del documento che attesta la ricezione di un acconto per il dipinto destinato a Ottavio Costa, che Michelangelo Merisi avesse terminato l’opera in un momento successivo) non sia il “quadro” a cui si riferisce il documento, nel quale invece si parlerebbe della Giuditta, anch’essa anticamente in collezione Costa.

Il volto della Giuditta di Roma e quello della Madonna nella Natività di Palermo
Il volto della Giuditta di Roma e quello della Madonna nella Natività di Palermo

Sono particolari che apparentemente potrebbero sembrare dettagli di questioni accademiche, materia per studiosi che difficilmente potrebbe trovare spazio in un sito dedito alla divulgazione. E ovviamente si tratta di ipotesi che dovranno essere sottoposte al vaglio della comunità scientifica. Ma in realtà c’è da sottolineare come i nuovi studi servano per ristabilire una corretta cronologia della produzione caravaggesca, con tutto ciò che ne consegue (apertura di nuovi punti di vista su dipinti già studiati, inquadramento più coerente delle varie fasi della carriera di Caravaggio e, ovviamente, della sua arte, informazioni più precise in vista dell’organizzazione di nuove mostre, e così via). E poi, le osservazioni di Michele Cuppone si legano a un fatto di stringente attualità, ovvero il dibattito sull’attribuzione della Giuditta recentemente ritrovata a Tolosa e che taluni vorrebbero ascrivere alla mano di Caravaggio. Nello studio di Cuppone si legge come la datazione più tarda della Giuditta dipinta per Ottavio Costa possa spiegare meglio il rapporto con la perduta Giuditta che Caravaggio dipinse a Napoli e la cui iconografia non è nota se non grazie a un paio di dipinti che la critica ha identificato per lo più come copie dell’originale caravaggesco: uno, di proprietà di Intesa-San Paolo, è conservato a Napoli, a Palazzo Zevallos, e l’altro è il dipinto di Tolosa di cui si diceva.

Attribuito a Caravaggio o a Louis Finson, Giuditta e Oloferne
Attribuito a Caravaggio o a Louis Finson, Giuditta e Oloferne (1606-1607; olio su tela, 144 x 173,5 cm; Tolosa, Collezione privata)

Se l’opera di Palazzo Zevallos è stata ormai da gran parte della critica “degradata” a copia realizzata da un modesto pittore anonimo (e non, come si riteneva, dalla mano del fiammingo Louis Finson, che ha prodotto opere di livello nettamente superiore rispetto a quella napoletana), la discussione sulla Giuditta di Tolosa è quanto mai accesa, soprattutto dopo che si è aperta a Milano, alla Pinacoteca di Brera, la mostra Attorno a Caravaggio in cui l’opera viene addirittura esposta con attribuzione allo stesso maestro, a Caravaggio. Principale sostenitore dell’assegnazione a Caravaggio è lo studioso (nonché curatore della mostra milanese) Nicola Spinosa, che fonda le proprie convinzioni sulla qualità di certi particolari che compaiono nel dipinto come, citiamo dal saggio a catalogo, “il particolare, di altissimo effetto nell’evidenziare e accrescere il clima infuocato che avvolge la terrificante rappresentazione della violenta morte di Oloferne, della tenda rossa sontuosamente annodata in alto a sinistra”, oppure “l’altissima la trattazione della ’mezza figura’ di Oloferne, non diversa per vigore di modellato da una scultura d’età ellenistica, che, pur replicando nelle apparenze quella dipinta nella versione di Palazzo Barberini [...] è, per stesure e tonalità di colore, di un’immediatezza e di una verità anche più toccanti”, e ancora “la resa dei tratti del volto di Oloferne, sconvolto, urlante, ma ora anche inferocito come una belva ferita a morte”. Sono presenti tuttavia passaggi di qualità inferiore (come il volto dell’ancella di Giuditta, e soprattutto la mano destra dell’eroina biblica), ma in sostanza Spinosa (che peraltro accetta l’ipotesi della datazione al 1602 della Giuditta romana) conclude dicendo che “per qualità indicate” è difficile pensare che si tratti, come molti vogliono, di una copia realizzata da Louis Finson.

La discussione sul dipinto francese (si tratta sicuramente di un’opera di grande qualità: è bene evidenziarlo) andrà avanti presumibilmente per diverso tempo, e ha già fatto nascere una controversia nell’ambiente. Basti pensare che lo studioso Giovanni Agosti si è dimesso dal comitato scientifico della Pinacoteca di Brera, in polemica con la decisione di esporre l’opera con l’attribuzione a Caravaggio, seppur affiancata a una nota che recita che si tratta di “una condizione del prestito e non riflette necessariamente la posizione ufficiale né della Pinacoteca di Brera, né del suo consiglio di amministrazione, del comitato consultivo, del direttore o del personale”. Al netto di queste polemiche, che abbiamo presentato solo per dar conto al lettore di quanto la questione sia sentita, è indubbio che gli ultimi contributi su Caravaggio qui presentati, quello di Michele Cuppone e quello di Nicola Spinosa, siano di grande interesse e non mancheranno di far discutere nei prossimi mesi.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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