I social, i creator, i reel stanno alimentando la crisi della storia dell'arte


I nuovi modi di comunicare l’arte, a colpi di social, creator, reel e quant’altro, alimentano la crisi della storia dell’arte poiché favoriscono una spettacolarizzazione della cultura attraverso un racconto che predilige l’intrattenimento e l’instagrammabile, spesso senza alcun rigore scientifico. Lo sostiene il CISDA – Comitato Idonei Storici dell’Arte.

Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta dal CISDA – Comitato Idonei Storici dell’Arte del concorso indotto dal Ministero della Cultura nel 2022, che ha per tema il modo di comunicare l’arte, specialmente a mezzo social. La lettera nasce a seguito di una riflessione sull’articolo di Federico Giannini intitolato Perché sui social è quasi impossibile trovare critica d’arte (si può leggere qui): il CISDA infatti aspira anche ad analizzare il corrente stato della cultura, le riforme del ministero e il progressivo depauperamento della figura dello storico dell’arte, che lentamente sta scomparendo dalle piante organiche del ministero stesso. E una comunicazione scadente contribuisce a tale depauperamento. Dopo la fotografia, la lettera del CISDA.

Seppellimento di santa Lucia e Madonna dei pellegrini di Caravaggio a Palazzo Reale per la Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi (Archivi Farabola)
Seppellimento di santa Lucia e Madonna dei pellegrini di Caravaggio a Palazzo Reale per la Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi (Archivi Farabola)

La Storia dell’Arte è una delle discipline fondative del pensiero moderno. Ha avuto un ruolo chiave nella nascita della coscienza civile e nella tutela del Patrimonio Culturale del nostro Paese. In tal senso lo stesso Ministero per i Beni Culturali, istituito nel 1975, è il frutto dell’impegno di tanti Storici dell’Arte. Già nel 1863, Giovanni Battista Cavalcaselle, rivolgendosi all’allora Ministro Matteucci, denunciava l’urgenza nell’Italia post-unitaria della conservazione dei “monumenti antichi e di belle arti”, mentre Adolfo Venturi, qualche decennio dopo, contribuì alla definizione universitaria della disciplina. Palma Bucarelli, prima direttrice donna di un museo pubblico italiano ‒ la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma ‒, ha avuto un ruolo chiave nella promozione dell’Arte Contemporanea nel nostro Paese, rivoluzionando inoltre la progettazione degli allestimenti museali, con la promozione dell’idea che il museo non fosse solo un luogo di conservazione, ma di dialogo e scoperta, e contribuendo così a rendere l’Arte più viva e vicina alle persone. Fernanda Wittgens metteva in salvo le opere di Brera, Poldi Pezzoli e Ospedale Maggiore durante la Seconda Guerra Mondiale. Ancora, Roberto Longhi, oltre al suo incredibile contributo alla disciplina, intervenne, ad esempio, nel 1938, nella definizione scientifica del Catalogo, suggerendo una tipologia di scheda che doveva contenere i dati identificativi essenziali e fondamentali dell’Opera. Nel 1938 Cesare Brandi fonda, con Giulio Carlo Argan, l’Istituto Centrale per il Restauro - considerato uno dei principali e più prestigiosi centri di eccellenza nel campo del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali a livello mondiale, ponendo le basi filosofiche e pratiche al concetto di Tutela e Restauro moderni.

Figure, queste, alle quali si aggiungono qui, sinteticamente, Lionello Venturi, Maria Andaloro, Ferdinando Bologna, Raffaello Causa, Antonio Paolucci, Salvatore Settis, Umberto Baldini, e molti altri, spesso operanti in ambito ministeriale o a stretto contatto con esso. Il loro, operato dimostra ancora oggi quanto la Storia dell’Arte sia stata e dovrebbe ancora essere una disciplina profondamente legata alla responsabilità pubblica, al senso di comunità, capace di trasformare l’erudizione e la conoscenza delle Opere d’Arte in elementi certi di coscienza civile necessari al nutrimento dell’identità nazionale.

La Storia e la Critica d’Arte sono discipline che si occupano di indagare, analizzare, interpretare l’Opera d’Arte e il suo contesto; la loro missione ultima è quella di plasmare e indirizzare la percezione del pubblico sull’importanza civica rivestita dal nostro Patrimonio. Tuttavia, nell’ultimo decennio stiamo assistendo a un progressivo impoverimento di tale scopo, sembra mancare una tensione condivisa verso l’assunzione di responsabilità del pensiero critico.

La crisi di queste discipline - che come altre sempre di natura umanistica, soffrono da decenni di un ridotto riconoscimento sociale ed economico ‒ viene identificata con l’imporsi di nuovi mezzi di comunicazione, i social media. Il medium non è più dunque il libro, la rivista o la televisione ‒ si nota infatti una progressiva scomparsa di trasmissioni scientifiche dedicate alla Storia dell’Arte nella tv generalista. L’attore non è più lo Storico dell’Arte ma il Creatore di Contenuti, favorendo una nuova comunicazione modellata da tweet, reel e meme, caratterizzata da contenuti brevi, veloci e d’impatto, che favorisce una spettacolarizzazione della cultura. Un nuovo modo di comunicare l’Arte, sovente non sostenuto da alcun rigore scientifico, che predilige un’esperienza culturale volta all’intrattenimento, al vendibile, “all’instagrammabile”, dove l’Opera d’Arte viene così privata dei suoi valori, della sua aurea, diventando una merce di consumo.

È questo il punto: lo Storico dell’Arte è un narratore esperto della materia, che ci chiarisce come funziona l’Opera d’Arte, cosa distingue l’originale dal banale, inserendola nel suo contesto di nascita, tracciando la fortuna che attraverso i secoli l’ha portata fino a noi. È un professionista che, nonostante venga considerato “mero teorico” della disciplina, ha una missione chiara e determinante: studiare e trasmettere i caratteri del Patrimonio Culturale, così che la coscienza civica si faccia comunità. Dunque, non si mette in discussione il progresso tecnologico, bensì il contenuto, il fine della comunicazione, di fatto ci sono degli eccellenti storici dell’arte e istituzioni culturali che fanno un ottimo uso dei social media e delle nuove tecnologie.

Ci chiediamo se ci sia ancora spazio per lo Storico e Critico dell’Arte. In tutta risposta siamo convinti di SÌ! Pensiamo, per esempio, alla mostra di Caravaggio alle Gallerie Nazionali di Arte Antica ‒ Palazzo Barberini a Roma, che ha raccolto, dopo venti giorni dalla sua apertura al pubblico, 240.000 visitatori paganti. La fortuna di pubblico del pittore lombardo dipende, sì dalla sua immediatezza comunicativa, ma ci piace ricordare come, almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento – nello specifico fino alla prima e iconica mostra curata da Roberto Longhi nel 1951 a Palazzo Reale –, fosse considerato un pittore marginale, un ribelle, un provinciale. La ricerca storico artistica a partire da Longhi, passando per Ferdinando Bologna, Claudio Strinati, Rossella Vodret, Mina Gregori, Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi, Thomas Clement Salomon, solo per citarne alcuni, è stata fondamentale nella costruzione dell’immagine che oggi abbiamo del pittore. Senza questo instancabile lavoro di recupero, interpretazione e divulgazione, il pubblico non avrebbe avuto gli strumenti per comprendere la portata innovativa dell’artista. Si ama ciò che si conosce, è anche questo uno dei compiti dello Storico dell’Arte: condurre il fruitore attraverso una più consapevole esperienza culturale, possibile solo grazie gli studi prodotti.

Caravaggio è il paradigma di un processo virtuoso che è necessario attivare nel nostro Paese. Se si ama ciò che si conosce, il Ministero della Cultura ha il dovere di rimettere al centro la conoscenza, lo studio, la comprensione del nostro Patrimonio Culturale. Di fatto il riconoscimento e lo studio del Bene Culturale costituiscono le fondamenta del nostro Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, al fine di Tutelare, Valorizzare e far Fruire il nostro Patrimonio.

Il CISDA – Comitato Idonei Storici dell’Arte del concorso pubblico indetto dal Ministero della Cultura per il reclutamento di un contingente complessivo di 518 unità di personale non dirigenziale, chiede dunque al MIC di riportare al centro la Storia dell’Arte. Investendo sull’eccellenza del servizio pubblico, introducendo quelle competenze scientifiche nello svolgimento della riforma del MIC - oggi in attuazione, arricchendo il suo comparto di ulteriori 251 unità e portando ad esaurimento la graduatoria degli idonei. Il tutto; attraverso una revisione della pianta organica degli Storici dell’Arte in forza al Ministero, e alla eventuale ridistribuzione dei posti nuovamente disponibili in seguito alle numerose rinunce ‒ oltre 100 posti dei funzionari dei diversi profili banditi, assunti nei mesi scorsi in seno alla stessa procedura concorsuale.

Una rivoluzione culturale ‒ quella auspicata da noi idonei Storici dell’Arte, che, forte di una lungimiranza programmatica, non solo garantirebbe la conservazione del Patrimonio Culturale del nostro Paese, ma sosterrebbe anche l’introduzione di nuovi significati, la riscoperta di luoghi e opere oggi dimenticati. Sappiamo di essere in linea con il Governo in carica, che prospettava di proiettare l’Italia in un nuovo Rinascimento.


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