Termina il restauro della Pala di Bosco ai frati, capolavoro del Beato Angelico


È terminato dopo un anno il restauro della Pala di Bosco ai frati, uno degli ultimi capolavori del Beato Angelico: l'opera torna adesso al Museo di San Marco di Firenze.

Dopo l’intervento di restauro, torna al Museo di San Marco di Firenze la Pala di Bosco ai Frati, capolavoro del Beato Angelico (Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro; Vicchio, 1395 circa - Roma, 1455), restaurata da Lucia Biondi grazie al contributo dei Friends of Florence. Il ritorno dell’opera nella Sala del Beato Angelico aggiunge un’opera fondamentale all’esposizione monografica degli straordinari capolavori del pittore e frate domenicano, che riunisce le tavole monumentali, i dipinti di dimensioni minori, le raffinatissime predelle e i reliquari.

La Pala di Bosco ai Frati è l’ultima, grande impresa su tavola dal grande artista domenicano, eseguita probabilmente negli anni 1450-52, in concomitanza con i pannelli affascinanti dell’Armadio degli Argenti per la chiesa della Santissima Annunziata di Firenze, quando l’artista rivestiva l’incarico di Priore del Convento di San Domenico di Fiesole, prima di partire per Roma dove si sarebbe spento nel 1455. Quasi alla fine della sua esperienza umana e artistica, il Beato Angelico rinnovò con questa prestigiosa commissione, quasi certamente affidatagli da Cosimo il Vecchio il suo legame profondo con i Medici e con il loro architetto prediletto, Michelozzo di Bartolomeo. La pala infatti fu eseguita per la chiesa del convento francescano di Bosco ai Frati in Mugello, di cui i Medici erano patroni e che fu progettato da Michelozzo.

La composizione della pala è dominata dalla figura centrale della Vergine affiancata da due angeli, assisa non sopra un trono, ma su un singolare seggio completamente celato da un fastoso drappo dorato, con un cuscino sontuoso di lontano ricordo bizantino, anch’esso dorato. Il manto della Madonna si espande ai suoi piedi fino ad occupare quasi l’intero gradino marmoreo e, inoltre, per la larghezza dell’ampia nicchia sullo sfondo, anch’essa nascosta da un altro drappo dorato di grandi dimensioni. In primo piano, sulla sinistra, sono dipinte le figure dei Santi Francesco, Ludovico di Tolosa e Antonio da Padova, caratterizzate da un forte accento naturalistico. Sulla destra, si vedono i santi medici Cosma e Damiano e San Pietro martire, patroni della famiglia Medici. L’opera nel suo complesso è una mirabile sintesi fra la sontuosità di un’opera cortese e la semplicità francescana, sostenuta dall’inarrivabile preziosità della stesura pittorica angelichiana.

La pala di Bosco ai frati restaurata
La pala di Bosco ai frati restaurata

“La Pala di Bosco ai Frati”, spiega Angelo Tartuferi, Direttore del Museo di San Marco, “è certamente da annoverare nel nucleo dei grandi capolavori all’interno della copiosa produzione del frate pittore arrivata fino ai nostri giorni. Quasi alla fine della sua esperienza umana e artistica, il Beato Angelico rinnovò con questa prestigiosa commissione il suo legame profondo con i Medici e con il loro architetto prediletto, Michelozzo di Bartolomeo. Quest’ultimo aveva infatti ricevuto nel 1438 da Cosimo il Vecchio l’incarico di ristrutturare l’antico convento di San Bonaventura al Bosco ai Frati dove i francescani osservanti avevano fissato la sede della loro congregazione, non lontano dalle ville medicee del Trebbio e, soprattutto, di Cafaggiolo. Quindi l’opera fu commissionata al pittore quasi certamente da Cosimo il Vecchio, cui avrebbe potuto subentrare forse il figlio Piero de’ Medici, alla luce della presenza apparentemente incongrua del domenicano san Pietro martire, eponimo per l’appunto del figlio di Cosimo. Come è stato rilevato dalla critica, la pala esprime il linguaggio alto e solenne, si direbbe ’senza tempo’, che caratterizza gli affreschi con le Storie dei santi Stefano e Lorenzo della Cappella Niccolina in Vaticano dipinti nel 1447-1448, con i quali condivide in particolare la preminenza assegnata all’architettura, giustamente definita ’pre-bramantesca’, alla luce della stretta dipendenza dagli esemplari romani. Altrettanto evidente appare il fascino dell’Antico, assaporato dall’artista nel suo primo soggiorno romano, evocato dalla grandiosa nicchia entro la quale siede la Vergine, nella quale è stato individuato un rimando diretto al Pantheon. Tuttavia, insieme agli accenti appena descritti, il dipinto offre in alcuni brani autentici vertici di naturalismo ’alla fiamminga’, quali le fisionomie e le vesti dei santi, oppure i dettagli dell’architettura sullo sfondo. L’opera nel suo complesso è una mirabile sintesi fra la sfarzosità medicea e la semplicità francescana, sostenuta dall’inarrivabile preziosità della stesura pittorica angelichiana”.

“Sia la pala che la predella”, aggiunge Tartuferi, “subirono una sensibile decurtazione, di circa 12 centimetri per lato, per essere adattate al vano del grande complesso barocco costruito nel 1626 per l’altare maggiore della chiesa del convento del Bosco ai Frati. Come in moltissimi altri casi, anche questo capolavoro non è sfuggito alle sconsiderate puliture aggressive del passato, che hanno compromesso sensibilmente alcune parti, ad esempio le fisionomie dei santi Antonio da Padova e Pietro martire alle estremità laterali della tavola, oppure l’architettura e lo sfondo di paesaggio oltre quest’ultima. Il sapiente, meditato restauro di Lucia Biondi, reso possibile dal finanziamento dei Friends of Florence, conferisce all’opera una nuova leggibilità, il cui dato saliente risulta la percezione di un’assoluta omogeneità tra le diverse parti e, soprattutto, in maniera tale che l’intervento sia veramente avvertibile in maniera assai ridotta. Autentico banco di prova, quest’ultimo, di ogni restauro veramente ben riuscito. La pala viene riunita finalmente alla sua predella, già restaurata alcuni anni or sono, e potrà essere ammirata nella rinnovata sala del Beato Angelico, dalla quale manca adesso soltanto il Trittico francescano, eseguito per una compagnia religiosa annessa alla chiesa di Santa Croce a Firenze, attualmente in restauro presso i Laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure alla Fortezza da Basso”.

Come in moltissimi altri casi, anche questo capolavoro non è sfuggito alle sconsiderate puliture aggressive del passato, che hanno compromesso sensibilmente alcune parti, ad esempio le fisionomie dei santi Antonio da Padova e Pietro martire alle estremità laterali della tavola, oppure l’architettura e lo sfondo di paesaggio. Con il restauro, durato un anno ed eseguito da Lucia Biondi, il dipinto ha riacquistato i suoi valori pittorici, l’estrema trasparenza e luminosità. A parte le note scure del cielo “notturno” in alto e delle tonache dei santi a sinistra, i colori sono ovunque chiari, stesi in strati sottili, così che la luce penetra sino alla preparazione di base, e in molti casi è visibile il disegno preparatorio. La tavolozza è accordata su tonalità fredde. La nota calda e avvolgente è rappresentata essenzialmente dal baldacchino della Vergine, tutto in oro zecchino inciso con maestria stupefacente. Le campiture azzurre sono totalmente a base di lapislazzuli, nella sua varietà più preziosa, proveniente dall’Afghanistan. Il largo impiego di oro zecchino e lapislazzuli, un pigmento molto costoso, confermano una committenza importante quale era quella di Cosimo de’ Medici.

La pala di Bosco ai frati nella sala del Beato Angelico al Museo di San Marco
La pala di Bosco ai frati nella sala del Beato Angelico al Museo di San Marco

“Il restauro della Pala di Bosco ai Frati, protrattosi per un anno dal maggio 2020 al maggio 2021 e finanziato dall’associazione Friends of Florence”, spiega Lucia Biondi, “ha consentito di raggiungere gli obiettivi che ci eravamo proposti nella progettazione e nelle fasi preliminari. Come abbiamo già avuto modo di dire la visione del dipinto appariva vistosamente penalizzata dallo sporco e dall’alterazione della vernice e dei vecchi ritocchi, risalenti all’ultimo restauro del 1955. Pur essendo questo problema molto frequente sui dipinti antichi, esso assumeva nel nostro caso un peso ancora più negativo. Ci troviamo infatti di fronte a uno dei capolavori del Beato Angelico nella fase matura, quando la sua tecnica, sempre basata su pigmenti mescolati a tempera d’uovo, assume tuttavia una leggerezza e una trasparenza estreme, che nella pala apparivano attutite da uno strato grigio e opaco. È apparso quindi evidente da subito che il fulcro del nostro intervento sarebbe stata la pulitura, un’operazione particolarmente delicata su tale genere di campiture. Per questo motivo il lavoro è stato preceduto da una campagna completa di indagini diagnostiche, finalizzata a mettere a punto sia il giusto metodo di intervento, sia la conoscenza della tecnica e dei materiali usati dall’artista. A questo proposito ci è stata di grande aiuto l’esperienza acquisita nel 2019, quando abbiamo restaurato un’altra opera emblematica del Beato Angelico, in tal caso del suo periodo giovanile, cioè il Giudizio Finale, sempre del Museo di San Marco e anch’essa restaurata l’ultima volta nel 1955”.

“Abbiamo così avuto il privilegio di approfondire la conoscenza della tecnica impiegata dall’artista che molto si evolve nel corso della sua produzione, ma sempre è caratterizzata da uno standard altissimo di qualità”, aggiunge la restauratrice. “Durante il nostro lavoro abbiamo messo insieme una serie di scoperte inedite, un’avventura culturale di immenso fascino per chi svolge il nostro mestiere, che sarà condivisa con gli studiosi nel corso di due pubblicazioni previste a breve. Un altro momento cruciale del restauro è stato il ritocco delle abrasioni del colore provocate dalle puliture antiche, che su una materia rarefatta come quella che abbiamo descritto hanno avuto gravi conseguenze. Per intervenire in punta di pennello, con grande leggerezza e con rispetto assoluto, ci ha guidato questa volta lo studio accurato degli altri lavori dell’Angelico conservati nel Museo di San Marco, un’isola di pace che ci ha accolto sovente in quest’anno di clausura e pandemia. Speriamo ci sia un consenso condiviso nell’affermare che questa opera, simbolo dell’Umanesimo e del Rinascimento fiorentino, possa essere nuovamente inserita a pieno titolo nella corrente della ’pittura di luce’. Una definizione coniata dalla critica per descrivere un breve (1439-1460) ma importante momento dell’arte italiana di metà Quattrocento, legato soprattutto a Firenze e alla Toscana”.

“La pala, accostata alla sua predella già restaurata alcuni anni or sono, può essere ora ammirata grazie al supporto sempre costante dei Friends of Florence nella rinnovata sala del Beato Angelico”, afferma Stefano Casciu, Direttore regionale musei della Toscana. “Il magnifico restauro ha restituito i valori più sottili di questa tavola sontuosa e allo stesso tempo essenziale, che ancora una volta dimostra i legami sotterranei tra l’arte del Beato Angelico e le contemporanee esperienze della pittura fiamminga”.

“Alcuni dei nostri Friends of Florence sono veri appassionati del Beato Angelico”, sottolinea Simonetta Brandolini d’Adda, Presidente di Friends of Florence, “e riconoscono la sua meravigliosa maestria e la sua intensa spiritualità come un tratto così evidente in tutte le sue opere. L’eccellente restauro di Lucia Biondi ha evidenziato sempre di più l’importanza di questa pala valorizzandone i colori, i volti e l’architettura sublime. Siamo contenti di aggiungere anche quest’opera nella rinnovata Sala Beato Angelico adesso finalmente riaperta al pubblico”.


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