È già stato scritto molto sulla mostra Da Cimabue a Morandi, il progetto di Genus Bononiae curato da Sgarbi che è in allestimento per il prossimo anno a Bologna, a Palazzo Fava. Non ci sarebbe molto da aggiungere rispetto a quanto ha scritto Romeo Cristofori su Mostre-rò in un pezzo molto sensato, che condivido. Anche in relazione ai riferimenti longhiani del titolo del progetto. Aggiungo solo una cosa: anche noi di Finestre sull’Arte abbiamo aderito all’appello per fermare l’esposizione, e se anche voi lettori volete aggiungere le vostre firme, potete farlo cliccando su questo link dove troverete i riferimenti.
Alcune considerazioni però sono necessarie. Gli ultimi anni della vita politica italiana ci hanno portato a sviluppare una forma mentis particolarmente manichea, che ci induce sempre a pensare che su un argomento debbano per forza esserci due fazioni contrapposte, una che incarna gli aspetti positivi e una che invece è il ricettacolo di quelli negativi. E in genere chi si schiera da una parte, tende ad attribuire agli avversari le qualità opposte rispetto a quelle che pensa di rappresentare. La mostra di Bologna non fa eccezione. I sostenitori di Sgarbi si scagliano contro i “professoroni”, i “baroni”, colpevoli di immobilismo ed elitarismo, e soprattutto di aver dato vita alla loro azione per semplice antipatia e pregiudizio nei confronti di Sgarbi. Dall’altra parte, ci sono invece quelli che considerano Sgarbi come un mero intrattenitore (per non dir di peggio) e quindi, a loro volta, si scagliano preventivamente contro tutto quello che fa o dice.
Innanzitutto c’è da dire che sarebbe meglio per tutti superare questi atteggiamenti, e capire, in questo caso, che da una parte il problema non è Sgarbi (sono convinto che la mostra avrebbe ricevuto lo stesso tipo di critiche anche se fosse stata curata da chiunque altro) e tra i firmatari dell’appello ci sono anche persone lontane da logiche di immobilismo e accademismo elitario, e che dall’altra, se ci sono così tante persone a cui Sgarbi piace, quando parla d’arte, bisogna almeno porsi il problema di capire perché la comunicazione artistica sgarbiana per molti risulti interessante.
Fatta questa premessa per sgombrare il campo e per affermare la nostra totale mancanza di pregiudizi di qualsiasi sorta, ribadisco la contrarietà di Finestre sull’Arte al progetto Da Cimabue a Morandi per almeno cinque motivi, che vi elenco:
Su molti di questi argomenti (le mostre “blockbuster”, la percezione del pubblico, gli obiettivi di un’esposizione) ci sarebbe molto da dire, e lo spazio di un solo post, incentrato su un singolo progetto, non è sufficiente: motivo per cui torneremo a parlare di questi temi. Tuttavia, dalla vicenda bolognese possiamo trarre un insegnamento: il pubblico sente l’arte, e lo dimostra seguendo con trasporto la discussione. Sta quindi a noi cambiare tipo di approccio nei confronti del pubblico e mettere in piedi ogni tipo di sforzo per fare una divulgazione di qualità. La divulgazione è la materia che raccorda gli studiosi al grande pubblico: se iniziative come Da Cimabue a Morandi andranno a proliferare, è anche perché manca quella connessione tra studiosi e pubblico che consentirebbe, tra le tantissime cose, ai primi di far percepire l’importanza del loro lavoro ai secondi, e a questi ultimi di distinguere un prodotto di qualità da un prodotto che di qualità non è. Gli appelli dunque sono importanti, ma non sono sufficienti: occorre lavorare per colmare la distanza tra ricerca e pubblico. Siamo ancora in tempo, dobbiamo solo lavorare meglio e lavorare insieme.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Federico Giannini
Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.
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